Il progetto Portoghesi verso il capolinea?

Giovedì 1 settembre ore 15 è convocato il Comitato di Distretto di Vignola con all’ordine del giorno, oltre ad altro, “determinazioni in ordine al progetto di costruzione di una nuova struttura residenziale per anziani (progetto Portoghesi)” (qui la convocazione: pdf). E’ un peccato che le sedute del comitato non siano pubbliche, come lo sono, ad esempio, quelle di un consiglio comunale. Purtroppo è la “nuova opacità” della governance locale – con un comune che “affida” parti importanti dei servizi per i propri cittadini ad enti di secondo livello, di cui però il consiglio comunale (e con esso i cittadini) perde capacità di controllo. L’impegno alla trasparenza ed alla partecipazione in questi “snodi”, contenuto nel programma “civico” del sindaco Smeraldi, rimane tuttora inapplicato (si veda quanto scritto a pag.28 del programma elettorale). Comunque sia, è bene ribadire che la ristrutturazione della casa protetta di Vignola con progetto affidato ad una archistar (Paolo Portoghesi od altri) non è una delle priorità di questo territorio. E neppure dell’ASP G.Gasparini che quel progetto ha sin qui promosso (vedi). Il tema vero rimane la qualità della vita degli ospiti (anziani non autosufficienti) e più in generale la qualità dei servizi residenziali, semi-residenziali, domiciliari, ecc. E’ bene non cadere nell’equivoco secondo cui sono le strutture a fare la qualità dei servizi (vedi). C’è dunque da sperare vivamente che il Comitato di Distretto e soprattutto i sindaci che ne fanno parte in rappresentanza delle corrispondenti amministrazioni facciano proprio questo orientamento, dopo alcuni anni di incertezza ed ambiguità rispetto ad un progetto troppo enfatizzato (del progetto si parla dal 2013: vedi).

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Il Resto del Carlino, 27 settembre 2014

[1] Il “progetto Portoghesi” vorrebbe dare qualità, grazie a una nuova architettura e a nuovi arredi, alla casa protetta per anziani di Vignola (vedi). Intenzione meritevole. Ma la strada prefigurata non è quella giusta. Ancora di più in condizioni di ristrettezze di bilancio comunale come quelle attuali. Detto in breve: i fattori della qualità della vita degli ospiti di strutture residenziali sta più in aspetti di tipo organizzativo e relazionale che nei muri o nella qualità architettonica. Ed è dunque sui primi fattori che massimo dovrebbe essere l’impegno. Anche con il coinvolgimento delle famiglie degli utenti ed eventualmente di loro “rappresentanze”. Questo, d’altro canto, è quanto stava scritto, non a caso, nel programma elettorale 2014 della coalizione civica vignolese (qui per una introduzione al tema: vedi). Ovvero “coinvolgere gli utenti, i loro famigliari e/o le loro rappresentanze nella rilevazione della qualità degli interventi e dei servizi erogati, rendendoli parte attiva nei processi di miglioramento; sperimentare forme congiunte di controllo della qualità dei servizi come l’audit civico (es. per servizi semiresidenziali e residenziali); adottare forme di compartecipazione degli utenti alla pianificazione e gestione dei servizi (es. consigli di gestione, conferenze di pianificazione e/o organizzazione partecipate.)” (p.28) Un compito ancora largamente inattuato, nonostante alcune prime iniziative in tal senso del presidente dell’ASP Marco Franchini.

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Il cantiere per la costruzione della nuova sede dell’ASP G.Gasparini, sul retro della casa protetta di Vignola (foto del 13 luglio 2013)

[2] Ma il caso del progetto Portoghesi solleva una seconda questione su cui sarebbe bene che gli amministratori locali focalizzassero l’attenzione. Ripartiamo di nuovo dal programma elettorale che, anche qui non a caso, aveva individuato uno dei nodi critici dell’attuale situazione: “L’intero settore del sociale e dei servizi socio-sanitari integrati necessita in ogni caso di un ridisegno del processo di indirizzo – controllo – rendicontazione improntato alla totale trasparenza ed al coinvolgimento di utenti, loro rappresentanze e cittadini nella programmazione e nel controllo della qualità e della performance. Bilancio di missione, audit civico, comitati misti, conferenze di pianificazione partecipate (con il coinvolgimento di utenti e cittadini) ne sono strumenti. Si ritiene importante, inoltre, rendere pubbliche le sedute degli organi di governo come l’assemblea dei soci dell’ASP e le sedute del Comitato di distretto.” (p.28) Il fatto è che il “progetto Portoghesi” non è mai entrato in questo processo di indirizzo, controllo, rendicontazione. La “committenza”, ovvero i comuni che hanno nell’ASP il proprio braccio operativo per la gestione di un pezzo importante del welfare locale, non ha mai affidato al presidente dell’ASP l’obiettivo di un rinnovo delle “strutture”, men che meno grazie al coinvolgimento di archistar. Il fatto è che gli obiettivi annualmente assegnati non vengono esplicitati in un apposito documento; non vengono resi pubblici; non vengono “filtrati” da un dibattito nella sfera pubblica. Mancando questo il processo funziona in senso inverso: gli obiettivi nascono, per così dire, dal lato dell’ASP e, in un qualche modo, vengono fatti propri dalla committenza (gli enti locali), spesso secondo modalità tutt’altro che lineari. E’ esattamente quanto avvenuto con il progetto Portoghesi. Ed è un modo di procedere che deve essere corretto, anche mediante un’adeguata pubblicità circa gli obiettivi affidati. Non è questione di “persone” – vorrei chiarirlo – ma di modalità operative delle “istituzioni”. Eppure una nuova modalità di governance non si è ancora affermata – nonostante le promesse elettorali delle liste civiche vignolesi.

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Inaugurazione del “giardino alzheimer” presso la casa protetta di Vignola (foto del 12 giugno 2012)

[3] Insomma, non solo va rivisto il giusto ordine di priorità dei fattori per la qualità dei servizi assistenziali (e nello specifico dei servizi residenziali e semiresidenziali). Occorre anche procedere – finalmente! – al ridisegno della governance locale (vedi). Da questo punto di vista l’amministrazione “civica” vignolese si è troppo agevolmente e rapidamente accomodata allo status quo ricevuto in eredità. In modo speculare, troppo rapidamente il PD di Vignola (nel frattempo divenuto minoranza) ha rinunciato all’innovazione su questo fronte (ma di questa irrilevanza questo non è certo l’unico esempio: vedi). Un sistema politico svuotato di “energie utopiche” sta trascurando un tema fondamentale per migliorare efficacia ed efficienza dei servizi di welfare locale. A ben vedere anche la vicenda del progetto Portoghesi richiama l’attenzione su questo aspetto.

PS Bisogna dare atto all’ASP G.Gasparini di essere uno dei pochi enti pubblici del territorio a redigere annualmente uno specifico documento di rendicontazione circa la propria attività (vedi). In assenza di un’adeguata pubblicità del percorso di indirizzo e controllo, il tema della “rendicontazione” rimane tuttavia in secondo piano. Ovviamente questo non è un invito a rinunciare a questo “momento”, ma a completare il ridisegno del processo (riconoscendo uno specifico ruolo innanzitutto ai consigli comunali, oggi di fatto “espropriati” di una effettiva funzione di indirizzo e controllo, e quindi ai cittadini). Nel frattempo l’impegno ad un coinvolgimento di utenti e cittadini nel sistema di controllo e miglioramento della qualità dei servizi pubblici locali (tra cui quelli di welfare) è entrato nello Statuto dell’Unione Terre di Castelli (vedi) – pur rimanendo sino a qui inapplicato.

2 Responses to Il progetto Portoghesi verso il capolinea?

  1. Marco Franchini ha detto:

    Al capolinea ci sono gli anziani allettati e malati, spesso con gravi patologie degenerative (oggi sempre più incidenti) svuotati nel corpo e nell’anima, assistiti 365 giorni l’anno, 24 ore su 24, a cui dedichiamo con professionalità e passione un servizio di qualità.
    Vi chiedo per un attimo uno sforzo di immaginazione, così da farvi entrare all’interno della nostra struttura e comprendere, da dentro, come il progetto di ristrutturazione della Casa Residenza risponda, tra spazi e persone, alla più importante e valorosa delle sfide che la nostra società, sempre più invecchiata, ha davanti: come mostrare il proprio sentimento di gratitudine verso coloro che hanno speso una vita, tra sudore e fatica, a fare del nostro territorio un eccellenza e che si trovano oggi fragili e bisognosi di assistenza ad affrontare l’ultimo miglio?
    Non so voi, ma io la penso così: come per il maratoneta sono gli ultimi chilometri che ne decretano la vittoria, per una società è l’aver cura dei propri anziani in fine vita a renderla un società vincente. Una società che non nutre un sentimento di gratitudine è una società che non ha futuro.
    Lasciamo per un momento da parte il nome, per quanto altisonante, del Prof. Paolo Portoghesi (vi ritornerò) e cerchiamo di conoscere i nomi, più cari, di coloro che la vivono: anziani ospiti, famigliari e operatori. Chiedo fin d’ora scusa a chi, leggendo queste parole, si sentirà toccato nella propria sensibilità, ritrovando e rivivendo l’esperienza della propria madre o del proprio padre ammalato e allettato, ma è primariamente a loro che vorrei mandare un concreto messaggio di vicinanza e risposta ad una sofferente e poco ascoltata voce.
    Provate, dunque, ad immaginarvi allettati, affaticati in un corpo, un tempo mai domo, e oggi (troppo) fragile. Cosa vorreste? Certamente di essere a casa, luogo insostituibile e amato, ma è proprio quel corpo che non ve lo permette più. Accettate di lasciare il vostro domicilio, già carichi di quel insieme di dolore-rabbia-senso di colpa non solo vostro ma anche di chi vi accompagna, e di farvi assistere in cambio di sollievo. Qualcuno che vi curi e lo faccia al meglio. Quel qualcuno c’è e, con passione e professionalità, lo fa. Giorno dopo giorno. Non da solo ma in una equipe che conta medici, infermieri, operatori socio-sanitari, supervisori, animatori, coordinatori, responsabili, manutentori, cuochi – ci costa un po’ di più ma il corpo si cura anche con ciò di cui lo nutriamo, come a casa, e noi non vogliamo la minestra riscaldata- e volontari. Ma non basta. Vorreste gli affetti più cari al vostro capezzale. E anche quelli, se siete fortunati e non soli, ci sono. Magari qualcuno deve cercare di conciliare gli impegni, qualcuno sta distante, qualche amico o conoscente non potete più incrociarlo e, comunque, non siete più nel vostro ambiente ma in una struttura fra altri ospiti. Ora vi guardate intorno, avete l’assistenza e, talvolta, qualcuno di caro al vostro fianco. Ma non basta. Perché? Perché sentite la nostalgia di casa, di quel quartiere o di quella piazza; della relazioni che la attraversano. Vi mancano quegli spazi ricchi di voi e lo spazio, ora, è terribilmente ristretto: una stanza, una struttura e per i meno invalidati anche un, curato, giardino. Come vi sentite ora? Vi sentite terribilmente soli. Ecco la verità. Ecco la più grave delle patologie. Perché se per l’anzianità non c’è medicina, è alla solitudine che è nostro dovere dare risposta. Perché, curato il corpo, bisogna prendersi cura degli affetti. Non basta una tinteggiata di bianco che ricorda, tristemente, gli imbiancati sepolcri. Noi quegli anziani non vogliamo lasciarli soli. Perché se oggi un ristorante di qualità si misura anche da come ci accoglie negli spazi, perché se le nostre eccellenze industriali o i nostri valorosi artigiani fanno del loro luogo il più bello, tanto da confondere alcune officine con gioiellerie, se i musei sembrano atelier che non si accontentano semplicemente di esporre le proprie opere, se le nostre case sono accoglienti e belle, non lo facciamo perché in quei luoghi manca la cura, tutt’altro: è proprio perché c’è che progrediamo! Tanto meno lo facciamo perché siamo in vena di disperdere risorse: è proprio nel rendere quegli spazi così attenti a chi li vive, sia esso l’operaio o l’industriale, l’artigiano o il cliente, il genitore o il figlio, l’anziano o l’operatore, che ne miglioriamo la vita e ne permettiamo il fiorire delle risorse. Perché se oggi siamo così attenti a fare degli asili luoghi stimolanti, consapevoli che là si gioca il nostro futuro, degli ospedali luoghi ospitali, perché in quelle sale si opera il presente, ancor più dovremmo fare per le case residenza, perché lì si commemora la nostra, vivente, memoria. E’ doveroso pensare all’ultimo dei luoghi come il migliore dei luoghi possibili. Ecco perché la nostra casa residenza deve divenire un luogo che fa entrare. Lo dobbiamo primariamente ai nostri ospiti e al loro bisogno di affetto, ai famigliari, che non devono sentirsi soli nel percorso del commiato, agli operatori, che fanno un mestiere duro, spesso dimenticato, tra dolore e morte. Ma lo dobbiamo anche alla comunità perché tra quei fragili corpi si nasconde un valore che non si misura con la produttività ma con la qualità: il rispetto per la vita. Lo sapevano nei nostri casolari quando al tavolo sedeva l’anziano (capotavola!) insieme al bambino e all’adulto passando per l’adolescente. Oggi quello spazio non è più proponibile in quella forma, ma forse possiamo riattualizzarlo, conservandone il valore, proprio all’interno della struttura. Come? Creando luoghi condivisi, con al centro l’anziano e intorno la comunità. Come un asilo per i bambini che fa incontrare vite, nel tempo del corpo distanti ma nell’esperienza degli affetti vicine, un centro studi per adolescenti (abbiamo gli studenti delle superiori dietro alla struttura), così bisognosi di dare un tempo al loro incedere irruento e talvolta disorientato o per gli universitari che si stanno specializzando nelle discipline socio-assistenziali, misurando così la loro formazione sul campo. Saranno loro che, se saremo in grado di fare entrare (non si attrae per moralismo o coercizione), con la loro presenza offriranno una vitale linfa alla nostra Casa Residenza, perché non c’è pet-therapy che tenga rispetto alla relazione umana; ma saranno anche loro che prendendosi cura degli ospiti saranno curati perché impareranno, incrociando e incontrando gli sguardi, che la vita ha un tempo e la memoria è la virtù di chi vuole guardare avanti con carattere. Dunque uno spazio bello, sì, perché capace di far star bene chi lo vive e attrattivo per coloro che passano ma, oggi, non si fermano.
    E come sostenere tutto questo? Come realizzarlo? Va bene sognare ma se i desideri non si realizzano diventano frustrazioni. Testa in alto, certo, ma piedi ben piantati per terra. Partiamo da quello che c’è e da cui abbiamo iniziato: un investimento impegnato a bilancio di circa un milione di euro per mettere a norma la struttura. Il restante? Non possiamo pensare di gravare sulle già stritolate casse comunali. Non volgiamo in alcun modo far pagare ai tar-tassati cittadini con un ulteriore imposta (lì bisognerebbe alleggerire). Si deve cercare, come per le imprese che hanno saputo solcare la crisi trovando nuove rotte commerciali, trovare nuove forme di finanziamento. Anzitutto bisogna ripartire la spesa diversificando i fondi di investimento. Secondariamente, oggi esistono strumenti (come i trust o i bond sociali, fundraising o sponsorizzazioni sociali) in forte espansione nel terzo settore e capaci di smuovere importanti capitali che inutilmente ristagnano nei conti correnti a fronte di un mercato, da troppo tempo, instabile. Ancora, abbassare il costo dell’opera promuovendo uno scambio di servizi, come ad esempio l’utilizzo di materiale dato in cambio di visibilità in considerazione del prestigio dell’opera. E infine, incrementare i servizi offerti dalla struttura con l’obiettivo di generare economie e promuovere una universalità moderna dove l’eccellenza sia accessibile a tutti. Per fare questo bisogna dare garanzie agli investitori. Da un lato, che il progetto abbia una solidità di impresa e, in questo, l’impresa pubblica, se moderna ed efficiente, è un ottimo attrattore. Noi ci siamo. Dall’altro, particolari elementi di innovazione del progetto che porti a sostegno la garanzia di una firma importante, che nella sua vita si è conquistata i crediti sul campo. Come dire: non basta avere una casa d’aste importante, ma ci vuole anche la firma di valore dell’opera da vendere se si vuole alzare l’offerta. Ecco dunque arrivati al Prof. Paolo Portoghesi, la cui sensibilità, passione e umanità a fronte di una vita ricca di successi (84 anni!) lo vedono quanto più lontano da un archistar che io conosca. Per darvi un esempio concreto se nel 2014 abbiamo avuto un evento dedicato al Salone del Cersaie (https://www.youtube.com/watch?v=-UsuChY2eR4) mettendo il nostro progetto sotto riflettori di investitori internazionali, è merito suo. Se il rendering è stato finanziato con risorse private è, ancora, merito suo. Questo ci fa capire la potenza attrattiva che ha per la realizzazione della nostra opera. Ma ancor più di valore è stata la sua capacità di coagulare, in un rendering meraviglioso, i 21 progetti dei 70 studenti di architettura del Politecnico di Milano, di cui bisognerebbe parlare orgogliosamente di più avendo, come impresa pubblica, messo in vetrina i nostri giovani talenti su cui tanto investiamo (110.000€ alla fine del diploma) salvo poi lasciarli colpevolmente partire. Un rendering che sa dare alla forma la sostanza di una casa residenza di e per la comunità. E’ un opera del cui valore umano e artistico, non monetizzabile, dobbiamo essere orgogliosi. Già hanno sostenuto questa impresa una notevole quantità di persone, di territori diversi (penso, solo ad esempio, ai quadri donati), partecipando a molteplici iniziative. Ne hanno dedicato attenzione testate anche di rilevanza nazionale, come Mondadori, il Giorno o il Corriere della Sera. La stessa Regione, per voce della VicePresidente (https://www.youtube.com/watch?v=LqS7iRR-D1c), ne ha tessuto l’elogio comprendendo la sfida sia di sostenibilità che di innovazione che questo progetto porta rispetto al prossimo welfare: il welfare di comunità.
    È soprattutto il sostegno forte e entusiastico, che dagli ospiti e arriva fino alle istituzioni, passando per famigliari, operatori e tecnici che ci sprona a non indugiare.
    Tutto questo, in questi dolorosi giorni di morti e macerie ci fa capire quanto bisogno abbiamo di rinnovare e di farlo bene! Senza economizzare sulla vita e sui luoghi delle persone, senza compromessi di cartapesta, partendo proprio da quei luoghi più sensibili per vocazione, come la nostra Casa Residenza. Alle mortifere macerie dobbiamo anteporre ed erigere luoghi di vita. Alla mortifera solitudine rispondere con vitali spazi.
    E allora penso che, forse sì, siamo al capolinea, perché abbiamo deciso di lasciare il noto treno e prendere il più innovativo aereo per volare alto e lontano, come la terra d’Emilia sa fare. Vorremmo forse perdere questo volo? Abbiamo forse paura di volare? Non credo. La nostra terra, la nostra Comunità, alle sfide, al saper coniugare bellezza e concretezza e al puntare in alto non si è mai tirata indietro. Non a caso siamo la (bella) Terra dei Castelli, delle solide rocche e delle svettanti torri.

    Ps. Volevo essere più sintetico ma ora che ho terminato comprendo che sarebbero ancora molte le cose da convidere. Ma poiché credo che per approfondire realmente la conoscenza il virtuale debba lasciare spazio al reale, il touch del cellulare alla mano che mi piacerebbe incontrare, chi vuole visitare la struttura e conoscere il progetto sentiamoci all`indirizzo franchini.m@aspvignola.mo.it o tramite messenger sulla pagina ASP (https://www.facebook.com/ASP.Vignola) in modo da vederci direttamente. Da dentro, come quando si superano le nuvole o si sale sulla torre, tutto è più chiaro.

    A presto,
    Marco.

  2. Andrea Paltrinieri ha detto:

    Una semplice informazione di servizio: la seduta del comitato di distretto, originariamente convocata per giovedì 1 settembre, è stata posticipata di una settimana: a giovedì 8 settembre ore 15.00, presso la sala consiliare del municipio di Vignola:
    http://www.unione.terredicastelli.mo.it/unione/l_amministrazione/comunicazioni_istituzionali/convocazione_comitato_di_distrtetto_di_vignola_giovedi__01_settembre_2016_alle_ore_15_00_presso.htm
    Bisognerebbe davvero che una tale seduta fosse pubblica! Un po’ di coraggio, signori amministratori!

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