Parlare di sociale e sanità a livello locale non significa solo ragionare su quali politiche fare per dare una risposta a bisogni di assistenza e cura della comunità locale che cambiano con l’invecchiamento della popolazione, la crisi economica prolungata, la presenza di cittadini stranieri tra noi. Ugualmente importante è ragionare sui meccanismi decisionali, ovvero sul funzionamento delle istituzioni che prendono le decisioni su programmi ed allocazione di risorse. E’ il tema della “governance”, visto che da tempo la gestione di servizi sociali e sanitari non è più direttamente gestita e controllata dall’amministrazione comunale. Anche di questo si è parlato mercoledì 9 aprile in occasione del primo dei 4 incontri con i cittadini della “Vignola civica” (vedi). La possibilità di una gestione di sanità e sociale più equa ed attenta ai cittadini passa anche dalla capacità di innovazione nei meccanismi di governance – tema considerato lontano ed oscuro ai più. Se la gestione estemporanea della vicenda dell’ospedale di Vignola e del suo pronto soccorso (vedi) servisse almeno a richiamare l’attenzione sui “buchi” degli attuali dispositivi di governance almeno un effetto positivo l’avrebbe prodotto. Vediamo.

Aprire le istituzioni alla partecipazione per spezzare il circolo autoreferenziale della politica. Una vignetta di Altan
[1] Ci sono chiaramente differenze tra l’organizzazione dei “servizi sociali” e di quelli sanitari. Qui le trascuriamo e focalizziamo l’attenzione sugli aspetti comuni. In entrambi i casi la “gestione” dei servizi è affidata ad un’azienda pubblica. Un’azienda provinciale nel caso della sanità (Azienda USL di Modena); un’azienda distrettuale per il sociale (Azienda di Servizi alla Persona “G.Gasparini”). In entrambi i casi, dunque, si determina un “dislocamento” del centro decisionale. Con la vecchia USL 19 di Vignola i politici (o loro rappresentanti) sedevano direttamente nel consiglio di gestione. Ed era un ente di distretto. Il passaggio ad un’azienda provinciale ha portato benefici sul versante dell’efficienza, della specializzazione, della separazione tra responsabilità tecnica e politica, ma ha, appunto, allontanato il centro decisionale (ora la funzione di indirizzo in merito alla politica sanitaria ed all’organizzazione dei servizi sono assunte dalla Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria – CTSS – in cui siedono i 47 sindaci dei comuni della provincia o loro delegati). Sul versante sociale la gestione distrettuale si è affermata sin dagli anni ’70, ma è evoluta nelle forme: Consorzio socio-sanitario, gestione affidata all’USL, COISS e ora ASP G.Gasparini. L’assemblea dei soci (in cui siedono sindaci o loro delegati e presidente dell’Unione Terre di Castelli) è per l’ASP il luogo di formulazione degli indirizzi (teoricamente). Il Comitato di distretto (dove siedono i 9 sindaci dei comuni del distretto ed il direttore del distretto sanitario) è il luogo di decisione dei servizi socio-sanitari (quelli “integrati”, a cavallo tra sociale e sanitario).

Nell’attesa occorre che anche la “società civile”, nelle sue migliori espressioni, si dia da fare. Una vignetta di Bucchi
La dislocazione del centro decisionale al di fuori dei comuni (e del suo organismo politico di indirizzo, il consiglio comunale) ha portato a due conseguenze rispetto a cui la politica locale non ha ancora preso le misure. L’opacità dei processi decisionali ai cittadini ed ai loro rappresentanti politici (non solo le minoranze, ma anche i consiglieri comunali di maggioranza sono tagliati fuori, di fatto, dai processi decisionali – contano i sindaci). L’inadeguatezza della cultura di governo dei sindaci, preoccupati di fronteggiare i problemi con un approccio punto-a-punto (ho un problema, alzo il telefono e chiamo il direttore generale) piuttosto che ridisegnare il circuito di indirizzo-controllo-rendicontazione. Certo, può esserci un sindaco più o meno bravo e questo fa differenze significative (dopo l’esperienza del sindaco Denti a Vignola lo si è capito chiaramente). Ma è questo “dispositivo di governance” che, incorporando meccanismi ed incentivi che in genere non spingono verso l’alto la qualità delle decisioni, andrebbe modificato. Sarebbe dunque importante riconoscere il problema e ricercare quelle innovazioni nelle regole di funzionamento delle istituzioni (e dei “centri decisionali” in esse incardinate) che possono migliorare i processi decisionali.
[2] Le istituzioni possono essere intese come insieme di vincoli ed incentivi. Rendono probabili certi comportamenti. La loro performance è però determinata da come gli attori che le popolano interpretano tali regole, ovvero dalle loro intenzioni e comportamenti. Spesso tra regole istituzionali e comportamenti degli attori si innesca un circolo vizioso con il risultato, appunto, di degradare la performance istituzionale. Riusciamo a spezzare questo circolo e ad innescare un controprocesso che spinga la performance verso l’alto? Questo è il tema. Ecco alcune suggestioni.
- Serve una nuova cultura di governo che riconosca l’importanza di “presidiare” i centri decisionali. Non solo maggiore presenza (penso alla CTSS modenese ed alla scarsa partecipazione del sindaco di Vignola), ma maggiore elaborazione a supporto dei processi decisionali. Gli apparati tecnici (es. ufficio di piano) debbono essere investiti del compito di istruttoria in vista delle decisioni, elaborando dati e raccogliendo l’intelligenza presente sul territorio (le “conoscenze” di associazioni e cittadini interessati). Serve dunque gente nuova che entri in politica facendosi portatrice di questa nuova cultura di governo (come esempio positivo posso citare il sindaco di Forlì Roberto Balzani. La sua esperienza è condensata in un libro: Cinque anni di solitudine. Memorie inutili di un sindaco, Il Mulino, Bologna, 2012: vedi). Fino a quando questi “devianti positivi” non saranno adeguatamente cresciuti in numero prevarrà una cultura di governo improntata all’opacità ed all’affiliazione di clan/politica. Per inciso: ogni nomina che non risponde a questi criteri è un danno alla collettività (per questo occorre dire basta all’occupazione delle istituzioni da parte del PD o di ogni altro partito o clan: vedi).
- Occorre rivedere il circuito di indirizzo-controllo-rendicontazione con cui i “committenti” (gli enti locali) guidano le aziende a cui hanno affidato funzioni e compiti gestionali nel campo sociale e sanitario. Ogni fase di questo processo deve essere pubblica (ovvero pienamente trasparente) e (possibilmente) partecipata. Oggi non è così. Le sedute di CTSS, Comitato di distretto, assemblea dei soci ASP non sono pubbliche. Davvero non si possono “aprire”? Davvero non possono essere trattate alla stregua di una seduta del consiglio comunale (che è stato spogliato di quelle funzioni di indirizzo)? A livello locale (più complesso è per le CTSS) si potrebbe iniziare a dare il buon esempio: total disclosure, trasparenza totale. Indirizzi, controlli e rendicontazione devono essere pubblici (non può essere, però, che l’ASP approva il proprio bilancio sociale 2012 ad aprile 2014! come succede). I cittadini debbono sapere quali obiettivi, ad esempio, sono assegnati al CdA (usare il web per questo, please). Inoltre nulla vieta di aprire alla partecipazione (es. dei rappresentanti del terzo settore, degli utenti e dei cittadini) questa fase di formulazione degli indirizzi. Uguale trasparenza e partecipazione può essere introdotta nella fase del controllo e della rendicontazione. Perché ad esempio non istituire una “consulta” o una assemblea allargata come palestra e luogo di presidio del circuito di indirizzo-controllo-rendicontazione? Ci si può anche spingere oltre immaginando (ma qui è richiesto l’intervento del legislatore) la presenza di rappresentanti degli utenti e dei cittadini nei “collegi di direzione” delle aziende sanitarie (oggi dominate da professionisti medici) oppure la loro presenza nella “cabina di regia” della riorganizzazione del Servizio Sanitario Regionale (vedi). Non è questo ambito, il ridisegno dei confini tra istituzioni pubbliche e “società civile”, un fronte trascurato dalla sinistra?
- Occorre riconoscere il diritto degli utenti a partecipare al controllo della qualità dei servizi a loro erogati. E dire chiaramente che si tratta di un diritto, non di una concessione (vedi). E come diritto questo va trattato. L’esperienza dei “Comitati Consultivi Misti” in sanità è tutt’altro che entusiasmante, ma questa non è una ragione sufficiente per liquidarla o per lasciarla nello stato comatoso in cui si trova oggi. In ogni caso gli strumenti per fare ciò sono noti: organismi misti partecipati, audit civico (vedi), indagini di customer satisfaction o una combinazione di questi (o magari di altro ancora). Bisogna dire che ad oggi solo le liste civiche (Vignola Cambia in primis) hanno messo a fuoco l’importanza di questo aspetto. Sono loro, infatti, che hanno colto l’occasione della modifica dello Statuto dell’Unione Terre di Castelli per inserire un articolo sui diritti degli utenti (vedi)!
Ovviamente trasparenza e partecipazione, per dare un contributo positivo, hanno come pre-requisito l’esistenza di una “società civile” consapevole dei propri diritti e disposta a battersi per la loro affermazione, ovvero per l’innovazione delle istituzioni e della politica e dunque della loro capacità di risposta ai bisogni della società. La cosa non è scontata.
Caro Andrea grazie per questo articolo. Una domanda: come mai siamo tutti così “speed” sul altre questioni, specie se di
schieramento, di “alta politica”, ma su queste cose fatichiamo tanto, me compreso, a intervenire? Eppure, demografia insegnando e sociologia seguendo, sarà “pane quotidiano” nei prossimi anni.
Certamente c’è interesse a “troncare e sopire”, ma anche noi dovremo, come tu dici, sforzarci nel segno del civismo, visto che le strategie dei partiti sembrano essere delegate, “mani e piedi”, ai tecnici e a qualche sciamano.
Dimer Marchi.