Ancora una settimana per ammirare uno dei capolavori di Johannes Vermeer (1632-1675), per la prima volta in Italia, esposto a Palazzo Fava a Bologna (vedi) fino al 25 maggio: La ragazza con l’orecchino di perla (1665 circa). Il quadro e le altre opere esposte (in tutto 37) provengono dal Museo Mauritshuis dell’Aia, chiuso per ampliamenti (lavori finanziati, intelligentemente, mandando in tournée mondiale questo gruppo di opere). A Bologna l’unica tappa europea. La mostra ha suscitato vivaci polemiche, ma sta avendo un grande successo di pubblico (più di 300mila i visitatori ad oggi) ed offre l’opportunità per una riflessione sulle politiche culturali.

Johannes Vermeer, La ragazza con l’orecchino di perla (particolare), 1665 circa (foto del 16 maggio 2014)
[1] 37 opere (non tante), che raccontano la golden age olandese (la parte centrale del XVII secolo), organizzate in sei sale espositive di Palazzo Fava di Bologna di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna e appartenente al circuito Genus Bononiae-Musei nella città (vedi). Tra le opere di rilievo esposte non c’è, ovviamente, solo “La ragazza” di Vermeer. Alcuni bellissimi Rembrandt (tra cui Ritratto di uomo con cappello piumato, 1635-1640 circa e Ritratto di uomo anziano, 1667), due ritratti di Frans Hals (1625), Il cardellino di Carel Fabritius (1654), Natura morta con cinque albicocche di Adriaen Coorte (1704) ed altro. Ma ovviamente è stata La ragazza con l’orecchino di perla, in quanto fenomeno mediatico, a richiamare l’attenzione del grande pubblico.
[2] Il modo in cui La ragazza con l’orecchino di perla è divenuta un’icona mondiale è descritto nel bel libro di Francesca Bonazzoli e Michele Robecchi, Io sono un mito. I capolavori dell’arte che sono diventati icone del nostro tempo, Electa, Milano, 2013 (vedi). Tra le opere di Vermeer emerge come opera importante relativamente tardi, solo nel XX secolo. Ma riconoscibilità e fama presso il grande pubblico sono conseguenza della pubblicazione del romanzo di Tracy Chevalier, La ragazza con l’orecchino di perla, Neri Pozza, Vicenza, 2000 (vedi; l’edizione originale in lingua inglese è del 1999), un vero best seller con qualche milione di copie vendute al mondo, e soprattutto dal successivo film (tratto dal libro) del regista Peter Webber e con Scarlett Johanson e Colin Firth come protagonisti. Nominato a tre premi Oscar nel 2004 il film catapultò il quadro nel cuore dell’immaginazione popolare. Da allora La ragazza è divenuta l’attrazione principale del Mauritshuis, scavalcando opere come Lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp (1632) di Rembrandt.
[3] La mostra bolognese ha suscitato sin dall’inizio forti polemiche venendo descritta come un’operazione puramente commerciale o comunque avente nulla a che fare con la “cultura” (vedi). “Guru” della critica d’arte come Philippe Daverio e Vittorio Sgarbi hanno emesso giudizi stroncanti (personaggi di fama in quanto televisivi, dunque pure loro “commerciali”). Daverio ha paragonato spregiativamente La ragazza ad una Barbie, mettendo dunque in discussione il valore del dipinto (l’accostamento ad una figura stereotipata come quella di una Barbie ha tuttavia qualcosa di vero visto che La ragazza non è un ritratto di persona reale, ma un tronie, ovvero la raffigurazione di un modello anonimo, fittizio – ma anche il Ritratto di uomo con cappello piumato di Rembrandt lo è). Ma poi Daverio si spinge a mettere in discussione persino il sistema complessivo delle mostre itineranti, osservando che “Il lavoro [di Vermeer] va osservato con attenzione andando al museo dell’Aia, nel suo contesto” (vedi). Per Sgarbi si tratterebbe addirittura di una forma di prostituzione dell’arte (vedi). Più articolato, ma sempre severo, il giudizio di Tomaso Montanari: “la menzogna è che l’esibizione del dipinto di Vermeer abbia qualcosa a che fare con la cultura. In effetti, non c’è nulla di culturale in tutto questo: si tratta solo dello spostamento materiale di un’opera unito a una abilissima operazione commerciale. Senza una ricerca, un progetto scientifico, un senso intellettuale: un qualunque valore aggiunto di conoscenza” (vedi). Si potrebbe anche convenire, ma poi bisognerebbe ammettere che è così per il 90% delle mostre d’arte temporanee in Italia (e non solo).
[4] Qualsiasi cosa si pensi dei giudizi di Sgarbi e Daverio (quest’ultimo consulente della Fondazione bolognese fino a poco tempo prima – lo abbiamo potuto ascoltare dal vivo anche a Vignola: vedi) – io ad esempio li considero decisamente eccessivi – la mostra su Vermeer e la golden age olandese ha avuto il previsto successo in termini di pubblico. Inaugurata l’8 febbraio (rimarrà aperta fino a domenica 25 maggio) la mostra ha avuto oltre 200mila visitatori nei primi 65 giorni (vedi). Ad oggi sono più di 300mila. Circa 20mila a settimana; circa 3.000 al giorno (vedi). Secondo i dati riportati nelle pagine culturali di la Repubblica, ogni domenica, in tutte queste settimane è stata la mostra d’arte più visitata in Italia (23.388 visitatori la settimana antecedente l’11 maggio). Un evento unico per una città come Bologna, non appartenente al circuito nazionale delle città che con continuità organizzano grandi mostre d’arte e dunque cercano di promuovere un “turismo culturale”.

Il mito della Golden Age. Da Vermeer a Rembrandt. Bologna, Palazzo Fava, 8 febbraio – 25 maggio 2014.
[5] E’ giusto non considerare il numero dei visitatori o partecipanti l’unico parametro di successo di un evento culturale. Tra l’altro neppure l’alto numero di visitatori della mostra bolognese ha garantito il pareggio economico dell’operazione (vedi). L’evento è stato progettato ed organizzato in funzione del marketing cittadino, dunque la funzione di “richiamo” dell’opera era proprio quella ricercata (vedi). “La Ragazza ha portato a Bologna un’enorme ricchezza in termini materiali, vale a dire a beneficio dei servizi dell’accoglienza e del commercio, ma ha fatto crescere anche il tessuto culturale della città” ha affermato Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente del museo comunale MAMbo (vedi). Il primo aspetto, tuttavia, è più plausibile del secondo. L’elemento di debolezza dell’operazione è il non essere riusciti a “fare sistema” anche dal punto di vista culturale, ovvero usare la capacità attrattiva di un’icona mediatica come La ragazza per portare turisti e cittadini dentro ad un percorso culturale più articolato anche dal punto di vista cognitivo. Una sorta di esca, dunque, ma che doveva trovare un’offerta culturale in città organizzata in modo tale da integrarsi, da risultare di complemento alla mostra sulla golden age olandese. L’offerta messa in campo a tal fine dalla Fondazione bolognese è risultata troppo fragile, anche se aveva correttamente individuato l’elemento della complementarietà: “Bologna ai tempi di Vermeer” (vedi) – qui alcuni eventi, sulla musica (vedi) e sui mestieri (vedi). Perché in effetti anche il ‘600 bolognese, sia dal punto di vista economico (città della seta), sia dal punto di vista artistico (in primis Guido Reni, 1575-1642), si prestava particolarmente bene ad un confronto con una delle potenze economiche e culturali (gli anni di Vermeer sono anche quelli di Baruch Spinoza, filosofo, mentre al periodo subito precedente appartiene Huig Van Groot, da noi conosciuto come Ugo Grozio, giurista) di quell’epoca.

Guido Reni, Ritratto della madre Ginevra Pucci, 1610 circa. Una delle numerose opere di valore esposte alla Pinacoteca Nazionale di Bologna (foto del 16 agosto 2013)
E proprio il confronto tra l’Aia (e la vicina Delft, città di origine di Vermeer) e Bologna, pur in fasi diverse del loro ciclo di vita (decisamente in ascesa i Paesi Bassi, stagnante Bologna e l’Italia) poteva essere un’occasione di arricchimento culturale e magari di ulteriore attrazione turistica (con conferenze, mostre, eventi a rappresentare gli elementi più significativi di questa comparazione). Certo, per fare questo servirebbe un sistema di governance che anche a Bologna non funziona adeguatamente – là principalmente a causa della competizione, anziché collaborazione, tra amministrazione comunale e Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna (quest’ultima ha sempre rimarcato orgogliosamente la sua completa autonomia). Da qui anche le critiche dell’assessore alla Cultura Alberto Ronchi: “Questo è spettacolo, non cultura. I quadri per le mostre si prestano, non si affittano come fa Goldin [il curatore della mostra, considerato il sommo sacerdote delle mostre-blockbuster]. Stiamo finanziando l’ampliamento di un museo olandese, pazzesco” (vedi). Dichiarazione che testimonia in primo luogo dell’esistenza di un problema non risolto appunto di governance cittadina della cultura.
Sono sempre stato diffidente delle opere “manifesto” con cui si tende superficialmente ad identificare un artista, il quale può essere compreso solo nel contesto del suo percorso interno ed esterno (cioè rapportato al suo tempo e al suo ambiente culturale), e ho visitato la mostra pur non avendola come priorità ma apprezzando l’occasione di vedere a due passi da casa opere di pregio indiscutibile. Anche se di Vermeer a mio avviso ci sono opere migliori, che purtroppo ho visto solo in piccola parte, e sicuramente mi hanno colpito di più i Rembrandt e non solo. Si parla spesso di “operazioni mediatiche”, ma in fondo è inevitabile che i media (a partire forse dalle Vite del Vasari) si concentrino, anche involontariamente o casualmente, su aspetti specifici che attirano poi l’attenzione del grande pubblico, e nei tempi moderni rimbalzano fra stampa, TV, fiction e blog, quando prima comunque si diffondevano fra lettere di appassionati e salotti.
Devo dire che l’unico aspetto discutibile nella mostra, oltre alle giuste considerazioni sullo scarsa capacità di interazione con altre iniziative culturali, sta nell’iconizzazione/santificazione del quadro presentato come opera principale del percorso di visita. Fra l’altro l’ultima sala si presenta quasi al buio in modo da far risaltare su una parete di grandi dimensioni, assolutamente non congrua all’opera, l’illuminazione di questa inconsapevole icona pop del XXI secolo. Sempre che si riuscisse a sbirciare qualcosa dietro la parete di visitatori che già si erano pestati i piedi nelle precedenti anguste salette rivestite di capolavori, molti dei quali avrebbero potuto – sarebbe stato interessante vedere le reazioni del pubblico – prendere il posto della perlata donzella sull’altare. Sulla parete opposta un pannello con una lunga introduzione storico-artistica era praticamente illeggibile a causa del buio.
Ecco, utilizziamo pure le (poche) opere d’arte conosciute dalle masse come strumenti di marketing, anche per raccogliere fondi per le istituzioni museali ma non guasterebbe un poco di attenzione e di rispetto in più per il “contorno”, che in realtà in molti casi è il piatto principale.
Termina oggi (alle ore 23) la mostra bolognese “Il mito della Golden Age. Da vermeer a Rembrandt”. Nei prossimi giorni avremo modo di conoscere in dettaglio i dati sul numero dei visitatori. Ad oggi sappiamo comunque già che sono più di 300mila (in 106 giornate di esposizione). Circa 3.000 a giornata come media. Come già indicato nel post la mostra è stata in queste settimane prima in classifica tra le esposizioni più visitate in Italia (circa 20mila visitatori a settimana). Sembra che – così riporta la Repubblica Bologna di ieri, 24 maggio – solo il 27% dei visitatori siano bolognesi (circa 81mila). Se interpretiamo ciò come residenti a Bologna (ma potrebbe anche essere riferito alla residenza in provincia di Bologna) ne consegue che, in una città di 380mila abitanti, di cui circa 300mila adulti, “solo” 81mila cittadini sono andata a visitare la mostra. Insomma il 27%. Poco più di un quarto, in una città culturalmente evoluta come Bologna. E questo nonostante una campagna mediatica imponente. Cito questi dati perché probabilmente questo è realisticamente il target di questi eventi culturali: una minoranza (una larga minoranza, in verità) nelle nostre città economicamente ricche. Cito questi dati anche come sviluppo del ragionamento di Itappens, perché il “marketing” della cultura ha la sua importanza (svolgendo la funzione del “butta-dentro”). La Ragazza con l’orecchino di perla, icona mediatica, è stata “usata” come potente attrattore. Ed in questo ha funzionato. I visitatori con un minimo di sensibilità estetica, però, si sono accorti presto che non era affatto l’unica opera di valore presente e che altre le stavano alla pari. Ogni operazione di massa, anche culturale, dovrebbe in realtà essere congegnata per accogliere e dare soddisfazione ai diversi tipi di pubblico che coinvolge, da quello più sofisticato a quello più elementare. Questa è una sfida reale per i musei, innanzitutto dal punto di vista delle abilità cognitive che presuppongono nei loro visitatori (l’eterogeneità del pubblico dovrebbe essere tematizzata e portare alla messa in campo di specifiche strategie di differenziazione del servizio/esperienza proposta), ma anche per le mostre d’arte. Qui c’é un nodo che non è ancora stato adeguatamente affrontato.
Post scriptum del 31 maggio 2014. Ultimi aggiornamenti. I visitatori alla mostra sono stati 342.626 (il 5% stranieri). La mostra sembra aver generato un indotto turistico da circa cinque milioni di euro, con 15.943 camere affittate in più durante i 107 giorni della mostra. Complessivamente, Genus Bononiae stima una spesa turistica totale (compresi i visitatori «mordi e fuggi» e i circa 125.000 bolognesi che hanno pagato il biglietto per Palazzo Fava) di 27 milioni di euro. Nonostante il grande successo di pubblico la mostra ha chiuso con un «rosso» di 550.000 euro da parte di Genus Boloniae, ovvero da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna.
http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cultura/2014/29-maggio-2014/ragazza-l-orecchino-perla-ha-portato-bologna-27-milioni-euro-223303392614.shtml
E anche:
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2014/05/29/news/ragazza_con_l_orecchino_indotto_da_27_milioni_a_bologna-87567775/
Ecco il dato preciso sul numero dei visitatori alla mostra bolognese con La ragazza con l’orecchino di perla: 342.626!
http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cultura/2014/26-maggio-2014/ragazza-l-orecchino-lascia-bologna-qui-l-hanno-vista-oltre-342-mila-223286775860.shtml
Nell’edizione cartacea del Corriere di Bologna (di oggi 27 maggio) l’articolo è più ampio e dà conto del dibattito che questo evento ha acceso in tema di politiche culturali a Bologna. Il direttore dell’Istituzione Musei, Gianfranco Maraniello, afferma: “Mai una mostra in città ha avuto tanto pubblico, ha fatto parlare tanto di Bologna, e mai ha aperto un dibattito così acceso sul modo di realizzare mostre. (…) [La lezione è] che ora bisogna fare un passo avanti e valorizzare Bologna come museo diffuso”. Certo, l’espressione “museo diffuso” è stata usata di recente anche a proposito della realtà dell’Unione Terre di Castelli. Il fatto, però, è che da noi gli ingredienti sono alquanto squilibrati ed in genere, salvo poche eccezioni, tutti con una debole capacità di attrazione e di produzione di cultura. Come osserviamo da tempo, servirebbe un vero e proprio piano strategico per la cultura.
https://amarevignola.wordpress.com/2008/11/30/politiche-per-la-cultura-a-vignola-e-nellunione-terre-di-castelli/
La ragazza con l’orecchino di perla è da poche settimane tornata definitivamente a casa sua, ovvero al Mauritshuis dell’Aia in Olanda, e di lì non si muoverà più. Chi vorrà vederla, dovrà recarsi nei Paesi Bassi. Ciò sia per ragioni conservative (perché opera troppo fragile e troppo preziosa), sia perché opera-icona del museo olandese che ha riaperto i battenti il 27 giugno scorso dopo due anni di cantiere per l’ampliamento:
http://www.mauritshuis.nl/en/press/persarchief/2014/koning-willemalexander-opent-mauritshuis/
Qui l’articolo sulla sua inamovibilità apparso su The Guardian il 21 luglio scorso:
http://www.theguardian.com/artanddesign/2014/jul/21/paintings-masters-mona-lisa-pearl-earring
E’ stata dunque offerta un’occasione importante agli appassionati d’arte italiani con la mostra bolognese promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna.
Nonostante le polemiche la mostra su Vermeer, o meglio, sulla sua opera “Ragazza con orecchino di perla”, è stata la mostra con più visitatori in assoluto nel 2014. 342.626 ospiti, in un periodo relativamente breve, dall’8 febbraio al 25 maggio 2014. Quest’anno, caso rarissimo (forse anche unico), il primo posto in questa classifica va a Bologna:
http://www.repubblica.it/speciali/arte/recensioni/2014/12/28/news/ragazza_del_vermeer_e_lei_la_pi_vista_del_2014-103887121/?ref=HREC1-32
Importante anche il decimo posto ottenuto dal Museo di San Domenico di Forlì (Forlì!) con la mostra “Liberty. Uno stile per l’Italia moderna”, che dall’1 febbraio al 15 giugno 2014 ha richiamato 130.000 visitatori.
Salve Andrea,
desidero inviarti un bell’augurio di un proficuo 2015 e, nel contempo, complimentarmi per quanto scrivi relativamente alla storia (specialmente sul Medioevo e sul Rinascimento che sono le epoche che mi interessano più di altre) perchè, e me ne scuso, non credevo facessero parte dei tuoi, pur vasti, interessi.
Ti leggo spesso un po’ qua e là senza un ordine preciso, trovando sempre argomenti interessanti e spiegati molto bene: l’istinto sarebbe sempre di inserirmi, di “corrispondere” poi lascio stare perchè non sempre mi sento all’altezza…ma mi piace…poi però vedere quell’orribile facciotto verde mi disturba.
Allora ciao e…ai prossimi “scritti”.
Ciao Diana! Innanzitutto grazie per gli auguri. Anche io sono in realtà un dilettante di storia locale (e quest’anno mi ha incentivato anche l’impegno ad aiutare mio figlio nei compiti di storia), ed essendo un modenese che lavora a Bologna mi trovo a cavallo di queste due realtà (e rispettive storie). Per quanto riguarda l’orribile facciotto verde (in gergo un “avatar” che contraddistingue ogni diverso commentatore) posso solo dire che è generato in automatico dalla piattaforma di wordpress. Io non ne ho il controllo! Per salvarsi dal facciotto occorre crearsi un account. Ciao!
Nel 2015 una mostra d’arte ha “fatto meglio” (in termini di numero di visitatori) della mostra bolognese sulla golden age olandese del 2014. Si tratta della mostra dedicata a Van Gogh tenutasi a Milano a Palazzo Reale (anche se al primo posto si piazza la “Biennale d’Arte di Venezia”, un evento però non paragonabile): “al secondo posto delle mostre più visitate del 2015, dopo la 56/a edizione della Biennale di Venezia, si è piazzata ‘Van Gogh. L’uomo e la terra’, che nella Milano dell’Expo ha richiamato ben 355.292 persone.” Risalta ancora di più, dunque il successo bolognese del 2014.
http://www.repubblica.it/speciali/arte/recensioni/2015/12/30/news/le_mostre_del_2016_gli_appuntamenti_con_l_arte_da_non_perdere-130365530/
Assai minore, invece, il successo di pubblico della più importante mostra bolognese del 2015, sempre organizzata da Genus Bononiae – Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna a Palazzo Fava. “Solo” quasi 80mila visitatori (in 6 mesi di apertura) per la mostra «Da Cimabue a Morandi. Felsina Pittrice», curata da Vittorio Sgarbi, un percorso nei capolavori dell’arte bolognesi dei secoli passati.
http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2015/28-agosto-2015/chiude-da-cimabue-morandi-sei-mesi-80-mila-visitatori–2301844194689.shtml
La più visitata mostra d’arte bolognese del 2016 è quella dedicata a Edward Hopper, realizzata a Palazzo Fava dalla Fondazione Carisbo ed aperta dal 25 marzo al 24 luglio 2016. In tutto 192.041 visitatori. Una media di 1.574 spettatori al giorno, con punte di 5.000 presenze a settimana.
Qui la notizia riportata da la Repubblica – Bologna:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/07/26/in-192mila-per-hopper-uno-su-dieci-e-stranieroBologna07.html
Qui la presentazione della mostra (dal sito ufficiale):
“La mostra che apre dal 25 marzo 2016 al 24 luglio 2016 a Palazzo Fava – Palazzo delle Esposizioni di Bologna, prodotta e organizzata da Fondazione Carisbo, Genus Bononiae. Musei nella Città e Arthemisia Group in collaborazione con il Comune di Bologna e il Whitney Museum of American Art di New York, darà conto dell’intero arco temporale della produzione di Edward Hopper, dagli acquerelli parigini ai paesaggi e scorci cittadini degli anni ‘50 e ’60, attraverso più di 60 opere, tra cui celebri capolavori come South Carolina Morning (1955), Second Story Sunlight (1960), New York Interior (1921), Le Bistro or The Wine Shop (1909), Summer Interior (1909), interessantissimi studi (come lo studio per Girlie Show del 1941) che celebrano la mano di Hopper, superbo disegnatore: un percorso che attraversa la sua produzione e tutte le tecniche di un artista considerato oggi un grande classico della pittura del Novecento.
L’esposizione è curata da Barbara Haskell – curatrice di dipinti e sculture del Whitney Museum of American Art – in collaborazione con Luca Beatrice.”
http://www.mostrahopper.it/mostra-edward-hopper-produzione-e-curatori/
Certo, bisogna interrogarsi sul successo di una mostra dedicato ad un pittore come Edward Hopper che certamente non sta alla pari a molti pittori italiani ed europei suoi contemporanei (1882-1967). Ma il figurativo Hopper rappresenta l’ordinario “disagio” della società (un costante senso di solitudine, incomunicabilità e di separatezza, sia fisica che psicologica, emerge in molte opere). E forse in questo sta la sua fortuna. Tardiva. Per anni non ha venduto un quadro, in America. Qui una bella presentazione di Federica Rinaldi.
http://www.lindiependente.it/edward-hopper-lo-straordinario-pittore-mediocre/
Il modo in cui la giovane donna, con la bocca appena socchiusa, porge il suo sguardo volgendo il capo suscita in noi quasi la sensazione di aver disturbato i suoi sogni. Il quadro invita alla congettura e questo aspetto ha sicuramente contribuito alla straordinaria popolarità del più famoso dipinto di Vermeer.
Ha fatto meglio, in termini di numero di visitatori, la mostra su Van Gogh organizzata da Linea d’Ombra di Marco Goldin (lo stesso ente che ha portato la Ragazza con l’orecchino di perla a Bologna) a Vicenza, nella Basilica Palladiana.
https://www.lineadombra.it/ita/mostre-eventi/van-gogh/van-gogh-la-mostra/van-gogh-introduzione.php
La mostra “Van Gogh tra il grano e il cielo” (7 ottobre 2017 – 8 aprile 2018) è stata infatti visitata da 446.218 persone. Così gli organizzatori su la Repubblica del 15 aprile 2018.
Qui le ultime mostre di Linea d’ombra a Vicenza:
https://www.lineadombra.it//ita/chi-siamo/mostre/le-mostre-vicenza.php
Caro Andrea, detesto FB e da anni mi sono “tolta”, ora però tu sei là e io non posso raggiungerti anche se, volendo, qualcosa posso vedere!
Mi scuso ma provo a rispondere relativamente alla mia amata e straletta Oriana:
…l’Oriana è sempre l’Oriana!!!
Ciao
Diana Garofani 19/1/2020