Alla domanda del giornalista de Il Riformista che le chiede se il ritorno del maestro unico deriva da motivi di cassa il ministro Gelmini ha risposto: “No. Innanzitutto è una scelta pedagogica. I bambini devono passare dalla mamma a una persona che sia in grado di stabilire una continuità e un legame affettivo, che conosca il bambino e lo tratti come una persona. Poi, certo, c’è anche un’esigenza economica” (il corsivo è mio, per rimarcare questo passaggio; per il testo completo dell’intervista apparsa l’11 settembre vedi). Prendiamo per un attimo sul serio questa dichiarazione del ministro e chiediamoci quanto c’è di vero in questa supposta motivazione pedagogica. Per capire che affermazioni come questa non sono credibili basta ricordare quello che succede nella scuola dell’infanzia, ovvero nel segmento scolastico che precede la scuola elementare (ed accoglie i bambini di 3-5 anni). In Italia la quasi totalità dei bambini in età 3-5 anni frequenta la scuola dell’infanzia (a Vignola sono il 96-97%). Sempre a livello nazionale l’81,5% di questi bambini di 3, 4 e 5 anni iscritti alla scuola statale frequenta sezioni di 40 ore e oltre ed ha dunque due insegnanti che garantiscono l’attività ludico-didattica al mattino ed al pomeriggio (con un periodo limitato di compresenza). E questo è un modello che funziona assolutamente bene dal punto di vista pedagogico, come sa bene qualsiasi genitore che ha avuto un figlio alla scuola dell’infanzia. Con questo non voglio dire che anche qui non ci possano essere problemi (lo è, ad esempio, il frequente turn over del personale), ma semplicemente che il problema non è certo la mancanza del “maestro unico”. Allora, se già alla scuola dell’infanzia le educatrici sono due, perché mai alla scuola elementare, con bambini più grandi (dai 6 ai 10 anni), il “maestro unico” deve essere un imperativo?
Il gioco è chiaro. Più si approfondisce l’argomento, più risulta evidente che i termini della questione debbono essere invertiti rispetto a come li ha presentati il ministro Gelmini: la motivazione vera è di carattere economico (è dai tagli imposti da Tremonti che si deve partire; ecco il resoconto da Il Sole 24 ore del 6 settembre; vedi); l’argomento secondo cui il “maestro unico” è pedagogicamente più rispondente alle esigenze dei bambini è una semplice copertura! D’altro canto vorrà pur dire qualcosa il fatto che l’unico segmento della scuola italiana che fa bella figura nei confronti internazionali è la scuola elementare (quella con i due o tre maestri!). Mi sembra che il “gioco” del ministro ora sia chiaro. Forse la posta in gioco – la qualità della scuola italiana – lo è un po’ meno (tutti noi facciamo fatica a valutare la performance della scuola, specie in assenza di indicatori oggettivi e basandoci solo sulle nostre percezioni). Per questo motivo è importante che dalle forze politiche di opposizione alle organizzazioni sindacali, dalle associazioni professionali alle società scientifiche, ai comitati di genitori, ciascuno, per la propria parte, faccia il possibile per contrastare questo disegno di modifica della scuola elementare. Bene ha fatto dunque il PD di Walter Veltroni ad impegnarsi in prima linea per questa “battaglia”, organizzando una mobilitazione straordinaria il prossimo 26, 27 e 29 settembre (vedi). Ugualmente bene ha fatto il “ministro ombra” Pierluigi Bersani – ad oggi un po’ solo, per la verità – a richiedere le dimissioni del ministro Mariastella Gelmini, per la vicenda poco edificante dell’esame di abilitazione da avvocato: nel 2001 la Gelimini cambiò per un anno residenza, da Brescia a Reggio Calabria, per poter sostenere l’esame da avvocato nella regione con la più alta percentuale di promozioni (più del 90% contro il 35% a livello nazionale ed il 34% a Brescia, dove il ministro risiedeva; ecco il resoconto di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 4 settembre: vedi). Bersani osserva che la Gelmini non può presentarsi come colei che chiede serietà e rigore alla scuola italiana, dopo aver agito da “furbetta” (ecco l’intervista a Bersani su Il Riformista del 12 settembre; vedi). Questo paese ha terribilmente bisogno di politici credibili (e dunque coerenti), specie quando si vogliono fare politiche impegnative come quelle necessarie alla scuola italiana!
Ma c’è un’altra cosa che sarebbe bene ricordare agli italiani – e lo ha fatto il deputato PD Giovanni Bachelet sul Corriere della Sera del 24 agosto (vedi). E’ il fatto che ad eliminare il “rigore” dalla scuola italiana sono stati soprattutto due ministri dei governi Berlusconi (proprio così!). Il ministro D’Onofrio nel 1994 che ha eliminato gli esami di stato di riparazione. Quindi il ministro Letizia Moratti che, nel 2002, ha eliminato i membri esterni delle commissioni di maturità. Tutte cose rispetto a cui, nel 2006-2007, il ministro Fioroni (del Governo Prodi) ha posto rimedio. Per tutte queste cose risulta difficile credere alla “narrazione” del ministro Gelmini. Ed è bene dunque che gli italiani che condividono queste valutazioni si mobilitino per contrastare questi progetti del ministro. Ad esempio firmando una delle varie petizioni per segnalare al ministro che il suo disegno di riforma della scuola elementare non è affatto condiviso!
E’ questo il quarto post sul tema degli interventi del governo Berlusconi sulla scuola (e specialmente sulla scuola elementare) pubblicato nel giro di pochi giorni. Il primo (La scuola delle tre “c” di Mariastella Gelmini, del 31 agosto) ha cercato di valutare i diversi aspetti della proposta del ministro Gelmini sulla scuola elementare. Con l’approvazione del decreto legge n.137 dell’1 settembre 2008 la discussione si è focalizzata sui tagli al personale scolastico e, soprattutto, sulle motivazioni – pedagogiche secondo il ministro – che stanno dietro all’intervento. Ritengo non sia così, come ho provato ad argomentare (senza faziosità): Puntuali arrivano i tagli di Tremonti sulla scuola (3 settembre) e Scuola che vince si cambia (9 settembre).