Occhio alle bufale! Cosa dice davvero lo studio ministeriale sulla fusione dei piccoli comuni

Nonostante sia addirittura il Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero degli Interni, nella sua relazione del febbraio 2015, a sostenere che le dimensioni dei nostri Comuni, in Unione Terre Castelli, siano ottimali nel rapporto costi/ benefici” – inizia così la “lettera aperta” ai consiglieri dell’Unione Terre di Castelli firmata da Omer Bonezzi, presidente dell’associazione “Spilamberto, Cittadinanza Attiva” (e opposizione nell’ombra a Spilamberto: vedi), volta ad esortare il rigetto dello studio di fattibilità sulla “fusione di comuni” qui da noi (qui il testo in pdf). Peccato che lo studio ministeriale non dica affatto così. Insomma, lo studio ministeriale non contiene alcun dato che possa essere usato contro lo studio di fattibilità sulla fusione di comuni nelle Terre di Castelli. Omer Bonezzi ha preso un granchio e però, con grande determinazione, … spaccia “bufale”. Non è l’unico, per la verità. Lo stesso è successo a Maurizio Tedeschi, consigliere “civico” di Savignano (vedi). Vediamo dunque cosa dice “per davvero” il citato (e oramai famigerato) documento ministeriale.

Dall'esposizione

Dall’esposizione “The bridges of graffiti”, Arterminal c/o Terminal San Basilio, Venezia (foto del 28 maggio 2015)

[1] Gli estensori del documento ministeriale Fusioni: quali vantaggi? Risparmi teorici derivanti da un’ipotesi di accorpamento di comuni di minore dimensione demografica, datato febbraio 2015, intendono stimare l’impatto (positivo) sulla finanza pubblica di un generalizzato accorpamento dei piccoli comuni facendo nascere, dalla loro fusione, comuni con almeno 5.000 abitanti. Se per magia si riuscisse a compiere un’operazione di questo tipo si avrebbe un risparmio “teorico” di spesa, a livello nazionale, di 3,5 miliardi di euro su base annua (tabella J a pag.20). Tutto lo studio è costruito per dimostrare l’importanza di un’opera di “razionalizzazione” istituzionale di questo tipo (si tratta in sostanza di un “invito” al legislatore a predisporre incentivi per l’accorpamento dei comuni con meno di 3.000 o 5.000 abitanti). A tal fine gli autori mettono in campo molti dati interessanti, ma nessuno di questi può essere usato contro l’ipotesi di una (eventuale) fusione di comuni nel nostro distretto. Chi dice il contrario dimostra di non aver letto il documento o di non averlo capito.

Dall'esposizione

Dall’esposizione “The bridges of graffiti”, Arterminal c/o Terminal San Basilio, Venezia (foto del 28 maggio 2015)

[2] Gli oppositori allo studio di fattibilità sulla fusione di comuni (che è anche uno studio sulla “manutenzione straordinaria” dell’attuale architettura istituzionale comuni + Unione: vedi) hanno fatto riferimento soprattutto ai dati relativi alla spesa pro-capite dei comuni italiani suddivisi per classe dimensionale. I comuni sono stati suddivisi in 12 “fasce”: la n.1 è relativa ai comuni con popolazione fino a 499 abitanti (si tratta di 771 comuni); la n.12 ai comuni con 500.000 abitanti e oltre (6 comuni); in mezzo le altre. Se analizziamo la “spesa pro-capite media” dei comuni così aggregati per classi dimensionali risultano valori che assumono un andamento ad U: la spesa pro-capite è alta nei comuni di piccole dimensioni, cala per la fascia intermedia, torna a crescere per quelli di maggiori dimensioni.

Distribuzione della spesa corrente in valore medio pro-capite (al netyto delle spese di personale) per fascia demografica (fonte: Fusioni:quali vantaggi?, graf.6, p.16)

Distribuzione della spesa corrente in valore medio pro-capite (al netyto delle spese di personale) per fascia demografica (fonte: Fusioni:quali vantaggi?, graf.6, p.16)

Ecco la prova! – hanno urlato gli oppositori allo studio sulla fusione (ovvero Omer Bonezzi e soci). Ecco la prova che i comuni più efficienti sono quelli con popolazione compresa tra 5 e i 20mila abitanti! Oppure che i comuni di quelle dimensioni sono “ottimali nel rapporto costi/ benefici” (Bonezzi). Purtroppo (per loro) non è così. Lo studio non dimostra nulla sull’efficienza dei comuni. Rileva, dalle elaborazioni statistiche, che la “spesa pro-capite” è più alta nei piccoli comuni (e qui è davvero plausibile che ciò sia a causa di inefficienze date dalle piccole dimensioni, ovvero da “diseconomie di scala”), ma non afferma certo che i comuni maggiori (per intenderci, quelli con più di 60mila abitanti) siano anche essi inefficienti. Scrivono gli autori: “L’andamento evidenziato è diretta conseguenza anche dei problemi di ottimale dimensionamento dei comuni per la gestione delle risorse. Per i piccoli comuni si evidenziano, infatti, diseconomie di scala che rendono maggiormente onerosa la gestione dei servizi. Di contro, per i comuni di maggiore dimensione demografica esiste la necessità di un sovradimensionamento dei servizi legato alla funzione di polo di attrazione per i comuni limitrofi di minore dimensioni” (pp.14-15). Ecco spiegato perché nei comuni di dimensioni maggiori la spesa pro-capite torna a salire. In queste “fasce” si collocano i comuni di più grandi dimensioni (dai 60mila abitanti in su), generalmente comuni capoluogo di provincia che esercitano un’attrazione verso un bacino più ampio e debbono però, di conseguenza, offrire servizi non solo ai residenti, ma anche alla quota dei city-user (es. pensiamo al trasporto pubblico). Insomma, non è affatto vero che i comuni di dimensioni maggiori sono meno efficienti di quelli delle fasce intermedie (o meglio, lo studio non intende dire ciò e neppure produce dati a sostegno di questa tesi). Ma non è tutto. In realtà una valutazione dell’efficienza dei comuni implica non solo la considerazione della spesa complessiva rapportata alla popolazione servita, ma anche una valutazione del livello dei servizi offerto. Sappiamo infatti che mentre alcuni servizi debbono essere erogati in ogni comune (es. anagrafe), altri sono discrezionali e si ritrovano, in genere, soprattutto nei comuni di maggiori dimensioni. Insomma, valutare la spesa senza rapportarla al profilo dei servizi non è metodologicamente corretto e dunque non consente di inferire nulla circa l’efficienza. Dunque, come ho già ribadito (vedi), solo manipolando il contenuto dello studio ministeriale esso può essere usato per dire no allo studio di fattibilità!

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Dall’esposizione “The bridges of graffiti”, Arterminal c/o Terminal San Basilio, Venezia (foto del 28 maggio 2015)

[3] Se gli oppositori allo studio di fattibilità vogliono, possono usare altri argomenti per motivare la loro opposizione, ma non questo! Eppure nei micro-dibattiti locali, tanto a Spilamberto, quanto a Savignano lo studio ministeriale è stato spacciato come argomento contro l’ipotesi di una fusione che, accorpando più comuni, potrebbe dar vita ad un nuovo comune da 40mila o 60 mila o 70mila abitanti. Come abbiamo visto quello studio non dice nulla che possa essere usato per argomentare la non-efficienza o la non-ottimalità nel rapporto costi/benefici (qualsiasi cosa si intenda con questa formula) di un comune “fuso” nelle Terre di Castelli. Certo, a questo punto, se fossero dotati di onestà intellettuale, questi energici, ma un po’ troppo disinvolti oppositori dovrebbero ammettere di essersi sbagliati e chiedere scusa per aver spacciato bufale.

Dall'esposizione

Dall’esposizione “The bridges of graffiti”, Arterminal c/o Terminal San Basilio, Venezia (foto del 28 maggio 2015)

PS Qui il testo dello studio ministeriale: R.Pacella, G.Milanetti, G.Verde, Fusioni: quali vantaggi? Risparmi teorici derivanti da un’ipotesi di accorpamento di comuni di minore dimensione demografica, febbraio 2015 (pdf). In questo post mi limito a contestare l’uso di questo studio ministeriale per contrastare lo studio di fattibilità per la “fusione di comuni” nell’Unione Terre di Castelli. Spero così che su questo si smettano di spacciare bufale. Per una valutazione più ampia degli argomenti degli oppositori: vedi.

2 Responses to Occhio alle bufale! Cosa dice davvero lo studio ministeriale sulla fusione dei piccoli comuni

  1. Maurizio ha detto:

    Onestamente sto perdondo entusiasmo per questo dibattito che si trascina, anche perchè soffro un pò nel prendermi dell’incapace conta bufale in modo così determinato e certo.

    Non penso mai di avere la verità in tasca, ma speravo di non sbagliarle proprio tutte, comunque prima di “spegnermi” due parole…

    Se in uno studio ministeriale, e non di civici incapaci e falsi, viene certificato che nei comuni da 5000 a 20000 abitanti la spesa pro capite per abitante della macchina comunale va da 540 a 547, mentre da 20.000 a 60.000 è di 594 per poi salire oltre i 60.000 a 730:
    Cosa c’è di “bufala” nel dire che è dimostrato dal ministero che una fusione di comuni di 10.000 abitanti non produce risparmi??? (ma semmai il contrario).
    Ribadisco: questo inutile dibattito che è nato su uno studio già fatto, è solo il prologo di quello che ci sarà sullo studio che verrà fatto in UTC.
    Coloro che sono “pro fusione” grideranno al miracolo,coloro che sono “contro la fusione” diranno che è sbagliato.
    Tutto già visto.
    Del resto la fusione è una scelta politica e non tecnica, a volte viene realizzata e a volte bocciata. Qualcuno se ne farà una ragione!

    • Andrea Paltrinieri ha detto:

      Ciao Maurizio, neppure io sono entusiasta. Soprattutto di questa discussione sullo studio ministeriale che – come mi confermi con questa tua risposta – non hai letto adeguatamente e, consentimi, non hai comunque capito. Scusa, ma a questo punto bisogna davvero parlare chiaro. (1) Come dicono gli autori del documento la spesa pro-capite dei comuni di maggiori dimensioni (quelli dai 60mila euro in su) aumenta per un semplice motivo: visto che in quella classe dimensionale vi ricadono tutti i comuni capoluogo di provincia o di regione, quei comuni offrono servizi non solo per i residenti, ma anche per i city-user, ovvero lavoratori, studenti, turisti, ecc. che “usano” le grandi città pur non essendone residenti. Dunque aumenta la spesa complessiva che andrebbe però rapportata non solo ai residenti, ma ai residenti più i city-user. (2) In secondo luogo l’aumento della spesa pro-capite non dice assolutamente nulla circa il grado di efficienza dei comuni medio-grandi. Per un semplicissimo motivo. Per poter dire qualcosa circa l’efficienza della spesa, la spesa va rapportata ai servizi erogati (considerati dal punto di vista quantitativo e qualitativo). Di solito le grandi città offrono PIU’ servizi dei piccoli comuni e anche questo spiega plausibilmente la maggior spesa pro-capite media rilevata dagli autori elaborando i dati del 2013. (3) Detto questo, non si capisce proprio perché dei valori medi calcolati a livello NAZIONALE – e questo è il terzo argomento – dovrebbero dirci qualcosa sull’efficientamento o meno che si andrebbe ad ottenere accorpando due o più dei nostri comuni. I valori medi sono, appunto, valori medi. Oltre alle medie vi sono misure di distribuzione, di dispersione. Potrebbe pure essere che noi rientriamo nel decile dei comuni più efficienti e dunque i valori medi nazionali non ci rappresentano adeguatamente. Ragionamento del tutto teorico (io non dispongo i dati), ma utile per ribadire che quello studio non dice davvero nulla a chi si sta interrogando se fare o meno una fusione di comuni da noi. Per queste tre ragioni, lo ridico in modo chiaro a costo di apparire scortese ed irritante, non hai capito quello che lo studio ministeriale dice. Questo mio post si focalizza su uno degli argomenti che tu, Bonezzi e qualcun altro avete usato – ed usato impropriamente – per dire che lo studio di fattibilità non serve e comunque che accorpando comuni di dimensioni superiori ai 5.000 abitanti la situazione (di “efficienza”) può solo peggiorare. Ma non è così. Quindi te ne farai una ragione se insisto nel dire che stai … spacciando bufale. Mi accontenterei di sgombrare il campo da questo “equivoco”: smettiamola di dire che lo studio ministeriale contiene argomenti contro l’eventuale fusione dei nostri comuni. Non è così.

      Per il resto è verissimo che la scelta di procedere con la fusione è una scelta politica (ma questo non vuole affatto dire che non si debbano evitare i cattivi argomenti a sostegno della propria posizione).

      Aggiungo comunque un’ultima considerazione. Tu sei tra coloro (quasi tutti in verità – su 28 presenti vi furono solo 2 astenuti) che hanno approvato il programma di legislatura dell’Unione Terre di Castelli, ovvero la delibera n.3 del 22 gennaio 2015. Quel programma dice testualmente che “è necessario (…) riflettere se lo strumento che stiamo utilizzando [l’Unione di comuni] sia idoneo o non sia piuttosto opportuno percorrere la strada della fusione per il raggiungimento degli obiettivi che stiamo assumendo.” Insomma, hai approvato un programma di legislatura che PREVEDE lo studio anche della fusione. Lo ricordo solo ad onor di cronaca. Detto questo vorrei aggiungere, in tutta franchezza, che mi sento assai più vicino alle posizioni del sindaco di Savignano Germano Caroli che pur avendo forti perplessità sull’ipotesi fusione era comunque disponibile (stando a sue dichiarazioni nella giunta dell’Unione, in consiglio e sui giornali) a procedere con lo studio, anche perché, come risulta chiaro a chi si prende la briga di leggere il testo della convenzione, lo studio metterà a confronto l’ipotesi fusione con l’ipotesi “manutenzione straordinaria” dell’Unione. A quel punto gli amministratori avranno tutti gli elementi per passare da un’impressione (o, se vuoi, da un pre-giudizio pro o contro) ad una convinzione minimamente solida. Se dovesse essere che per la maggioranza l’ipotesi della “fusione” risulterà più convincente, già da ora sappiamo che comunque l’ultima parola non l’avranno loro, ma i cittadini tramite il referendum.

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