A pochi mesi dall’incarico di ministro, Mariastella Gelmini ha delineato la sua idea di scuola, alimentando un intenso dibattito (istruttiva, per comprendere la genealogia di questa idea di scuola, è l’intervista a la Padania del 22 agosto 2008; vedi). Con l’approvazione del decreto legge n.137 dell’1 settembre 2008 “Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università” il dibattito, anche a mezzo stampa, si è decisamente acceso, anche perché (dopo i tagli alla spesa del decreto legge 112/2008), si è entrati nel merito di come “riorganizzare” la scuola (primaria). Questo dibattito ha consentito di chiarire, a chi lo avesse seguito con puntualità (come ho cercato di fare), alcune cose che provo qui a riepilogare. In ogni caso queste sono le cose che io ho appreso:
[1] Il famigerato articolo 4 del decreto legge 137/2008 (quello che al comma 1 recita “le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate a un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali”) ha colto di sorpresa osservatori, mondo della scuola, opposizione, non essendo inizialmente previsto ed essendo stato inserito solo all’ultimo momento, al Consiglio dei Ministri del 28 agosto. Della sua presenza si è saputo solo al momento della pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale l’1 settembre. In modo elegante Il Sole 24 Ore – Scuola (12-15 settembre 2008) afferma che “la sequenza degli avvenimenti ha dato ancora una volta la sensazione precisa che il ministero dell’Economia vigila in modo particolare sulle spese per l’istruzione.” Nonostante il ministro Gelmini abbia provato ad ammantare di motivazioni pedagogiche il provvedimento – serve un’unica figura di riferimento agli alunni di età 6-10 anni (dimenticando che non è così già per la maggior parte dei bambini di età 3-5 anni che frequentano la scuola dell’infanzia) – è risultato evidente che la motivazione reale è semplicemente quella di trovare un modo rapido ed efficace per rispettare i tagli di spesa per la scuola già stabiliti dal decreto legge 25 giugno 2008, n.112 (poi convertito in Legge 6 agosto 2008, n.133): complessivi 7,8 miliardi di euro nel triennio 2009-2011. I tecnici del ministero hanno tradotto questa riduzione del budget dell’istruzione in un taglio di circa 129.000 unità di personale (87.000 insegnanti e 42.000 ATA), sempre nel triennio. Il “maestro unico” serve dunque al governo per introdurre questo taglio massiccio alla spesa (e quindi al personale).
[2] Anche gli osservatori possibilisti circa la reintroduzione del maestro unico hanno però stigmatizzato il ricorso al decreto legge, ovvero alla decretazione d’urgenza (vedi Muraro su LaVoce.info che conclude: “discussione non preconcetta su un eventuale disegno di legge, opposizione decisa a un decreto”). Il decreto dovrà essere approvato entro 60 giorni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e non consentirà il dovuto approfondimento né con i tecnici e gli esperti di scuola, né in sede parlamentare, né con le parti sociali (organizzazioni sindacali, rappresentanza dei genitori, vari “portatori di interessi”). E’ il caso di ricordare che fino a pochi giorni prima del Consiglio dei Ministri del 28 agosto la trattazione della materia era prevista sotto forma di disegno di legge – un provvedimento che avrebbe consentito i dovuti confronti, approfondimenti, valutazioni. Sempre Il Sole 24 Ore – Scuola del 12-15 settembre 2008 osserva: “Si ha … la sensazione che si proceda senza un piano preciso, facendo un uso improprio, come sempre, delle manovre economiche e della decretazione d’urgenza.” Evidentemente il governo si sente sufficientemente forte, sia in Parlamento (in termini di parlamentari disposti a votare l’approvazione del decreto), sia nel paese (in termini di consenso), da procedere speditamente con un decreto legge, ritenendo di poter barattare una riduzione di spesa per la scuola (di cui ritiene di aver bisogno per tenere in ordine il bilancio dello stato) con un inevitabile abbassamento della qualità dell’istruzione (cercando, semmai, di escogitare qualcosa per contenere tale abbassamento). Forse anche confidando sul fatto che prima che l’abbassamento della qualità sia percepito passeranno comunque diversi anni. In ogni caso la campagna di comunicazione del governo, centrata sulle esternazioni del ministro Gelmini, è stata particolarmente intensa, mentre sino ad ora è risultata piuttosto scarsa quella del principale partito d’opposizione, il PD (vedi) – anche se, in vista della manifestazione nazionale del 25 ottobre, ora il PD sta mettendo maggior impegno sul tema scuola (con tre giornate di mobilitazione nelle città: 26, 27 e 29 settembre).
[3] E’ comunque chiaro a tutti – almeno a tutti coloro che si sono presi la briga di analizzare con accuratezza i fatti del governo e le opinioni degli esperti – che dietro la scelta del maestro unico non c’è alcuna reale motivazione pedagogica. C’è, come si ricordava, semplicemente la volontà di fare economia e dunque di rispettare il progress delle riduzioni di spesa voluto da Tremonti. Anche Antonio Rusconi, capogruppo del PD in commissione istruzione al Senato, riconosce in modo equilibrato “che molti temi oggi indicati dalla ministra sono in linea con la serietà impressa alla scuola dal governo precedente.” (su Europa del 17 settembre; vedi) L’introduzione dell’insegnamento di “Costituzione e cittadinanza” è condiviso. Il ripristino del voto in condotta può servire per dare un segnale di maggior rigore e responsabilità. Il recupero dei voti, al posto dei giudizi, è una misura scarsamente significativa, ma anche questa riflette il bisogno di maggiore chiarezza e semplificazione nel rapporto scuola-famiglie (vedi). Ma, alla fine, questi provvedimenti riguardano la “superficie” della scuola italiana (anche perché sono pensati non solo per fare effetto sulla scuola, ma anche – o forse soprattutto – per fare effetto sull’opinione pubblica). Il provvedimento che la tocca, la intacca, la trasforma è quello del maestro unico, della riduzione dell’orario, del taglio del personale scolastico. Sul versante del maestro unico le cose sono (purtroppo) chiare: pensare di ripristinare oggi un’unica figura insegnante per classe significa necessariamente arretrare sul fronte della specializzazione disciplinare. Significa avere una trattazione delle diverse discipline meno mirata, meno precisa, meno approfondita, meno tarata sulle esigenze effettive dello specifico gruppo-classe. Nella stessa direzione opererà l’innalzamento del rapporto alunni/insegnanti (si parla di portare a 31-32 il numero di alunni per consentire lo sdoppiamento di una classe)! Tutto questo ha un solo nome: abbassamento della qualità dell’insegnamento.
[4] Gli interventi degli esperti, sollecitati dai provvedimenti del governo (prima i tagli alla spesa per il prossimo triennio, quindi la misura per “materializzarli”: soppressione dei moduli e ripristino del maestro unico), hanno in realtà richiamato l’attenzione su altri e più importanti interventi che debbono essere fatti, se si vuole davvero lavorare per dare più qualità al sistema scolastico italiano. Ad oggi gli interventi del governo o rimangono in superficie (grembiule, ecc.) o, se intaccano il sistema, lo fanno nella direzione di abbassare la qualità. Tra l’altro intervenendo “con urgenza” proprio sull’unico segmento scolastico che già oggi ha una buona performance (come viene riconosciuto dalle indagini internazionali; per una lettura “critica” della positiva valutazione che ottiene la scuola primaria dalle indagini internazionali si veda l’articolo di Panunzi e Perotti su LaVoce.info). Allora sul Corriere della Sera del 17 settembre Maurizio Ferrera, professore universitario specialista di “welfare state comparato”, richiama l’importanza dei dispositivi di valutazione della performance degli istituti scolastici e degli insegnanti (vedi). Su Il Sole 24 Ore del 12 settembre Andrea Ichino, economista del lavoro, ritiene indispensabile dare maggior potere all’utente, inteso qui come “cliente”, introducendo il voucher (buono-scuola) come strumento di incentivazione della competizione tra scuole e di premio delle scuole migliori (soluzione forse applicabile alle Università, non certo alla scuola primaria!), ma anche rafforzando i sistemi di valutazione delle politiche e delle istituzioni scolastiche (e qui sono pienamente d’accordo) (vedi). Ritiene invece “fumo negli occhi” la proposta del grembiule, del voto in condotta, dei voti al posto dei giudizi – proprio perché proposte ideologiche non sottoposte a valutazione di efficacia. Insomma, la scuola italiana meritava davvero di più in termini di riflessione e di articolazione di una proposta di innovazione. Il rischio che oggi essa corre è che si vada ad indebolire l’unico segmento che funziona dignitosamente. Certo, come rilevano Panunzi e Perotti, questo non significa che la scuola primaria sia già sufficientemente efficiente. Ci si può anche impegnare a migliorare l’efficienza (un certo numero di proposte sono state avanzate in un dossier pubblicato da TuttoScuola; vedi), senza però penalizzare in modo così consistente la qualità.
[…] del governo è quello di fare economia, senza preoccuparsi della qualità della scuola elementare (vedi). Il decreto legge n.137/2008 è oggi in fase di conversione. E’ questo il momento di far sentire […]