Ma siamo proprio sicuri che sia stata una buona idea ? A mio parere e’ stata una pessima decisione e vi spiego perché. L’8 novembre 2012 e’ arrivata l’ufficialità dall’Unione Europea che la ciliegia tipica di Vignola ha ottenuto il riconoscimento IGP (vedi). Chi legge questa notizia su Internet o sui giornali non può non essere contento. In realtà le cose stanno diversamente.
La prima cosa che non mi va bene è stato il metodo. L’IGP non è nata dai produttori, ma è una iniziativa del Consorzio di Tutela della Ciliegia Tipica, delle varie associazioni di categoria, quindi ai produttori non è stato chiesto nulla. La comunicazione ai produttori in via ufficiale è avvenuta la sera del 14 marzo 2013 presso l’Asta Frutta del Nuovo Mercato Ortofrutticolo. Chi c’era ha saputo della riunione dal passaparola. La scadenza per le domande per aderire all’IGP era per la fine di marzo, prorogata alla prima settimana di aprile. Quindi adesso bisogna iscriversi, bisogna portare foglio catastale, particelle dove è ubicato il terreno, numero di piante e che varietà di ciliegia, perché adesso si paga per riavere il marchio Vignola. E fin qui anche se il metodo lascia molto a desiderare (stile Adani-Denti tanto per capirci) poteva comunque trovare il mio appoggio. Ma adesso entriamo nel merito.
Non è vero che tutte le ciliegie di Vignola hanno ottenuto l’IGP. Solo le varietà presenti almeno da 20 anni hanno ottenuto l’IGP (Moretta, Anella, Anellone, Bigarreau, Nero I e II … ma chi le produce più queste varietà? Sono scomparse). Ad esempio, anche la varietà Celeste per quest’anno è fuori dall’IGP (per pochi mesi). Sono fuori praticamente tutte le nuove varietà di ciliegie cioè in pratica il 50% della produzione delle ciliegie di Vignola. Anzi bisogna specificare meglio: il 50% delle ciliegie di Vignola non possono più fregiarsi del nome di Vignola. Sono diventate anonime. I produttori dovranno avere due imballaggi: uno per l’IGP con il marchio Vignola; le altre anonime. Morale della favola: mentre prima dell’IGP tutte le varietà del nostro territorio potevano essere marcate Vignola adesso più della metà saranno anonime. Vi lascio immaginare quando si cercherà di vendere queste ciliegie anonime alla grande distribuzione che prezzi potranno spuntare. L’IGP non coprirà queste perdite.
La ciliegia di Vignola era già abbastanza cara sul mercato, non si può pensare che il cliente finale vada a comprare le ciliegie IGP da Bulgari o da Cartier.
La mia produzione di ciliegie è irrisoria. Oltretutto ho sempre piantato le vecchie varietà, quindi la questione non mi tocca più di tanto. Il mio problema è che io sono figlio di uno di quei “pomari” che hanno fatto conoscere nel mondo il nome di Vignola. La mia famiglia fece parte di quei 7 commercianti che in via Liberta’ negli anni 60 fondarono la “VignolExport”. Il marchio Vignola era ormai talmente conosciuto che sicuramente non aveva bisogno di una IGP fatta in questo modo. Tutte le varietà di ciliegie dovevano essere IGP non solo alcune. Qualcuno mi deve spiegare come mai Marostica (in Veneto) ha avuto l’IGP per tutte le sue ciliegie, mentre Vignola no. Un bel regalo alla concorrenza.
Ah dimenticavo: adesso chi fa l’IGP oltre a tasse di iscrizione deve seguire tutto un bel disciplinare, che comprende anche analisi di maturazione e altre analisi. E chi paga?? I produttori direte voi. Sì, ma dal quarto anno, perché per i primi tre anni pagheranno i comuni della provincia di Modena, per quelli di Bologna non è ancora dato di sapere (ad es. il comune di Savignano per quest’anno pagherà circa 10.000 euro).
E il comune di Vignola, in tutta questa vicenda?? Come al solito un silenzio assordante. Ma dico io, ce n’era proprio bisogno di questi tempi di un tale pasticcio? Non bastava il prof. Monti ad impallinare le imprese agricole, anche dal fuoco amico adesso bisogna stare attenti? Per favore qualcuno mi dica che mi sto sbagliando.
Arcadio Boschi

La sede del Consorzio della ciliegia tipica di Vignola presso il nuovo Mercato Ortofrutticolo (foto dell’1 novembre 2012)
PS Il 26 ottobre 2012 la Commissione Europea ha adottato il regolamento di esecuzione n.1032/2012 relativo all’iscrizione nel registro delle Indicazioni Geografiche Protette la “Ciliegia di Vignola IGP”. Qui il disciplinare di produzione (pdf) che dispone che la denominazione “Ciliegia di Vignola” sia riservata ad alcune cultivar:
- Bigarreau Moreau;
- Mora di Vignola;
- Durone dell’Anella;
- Anellone;
- Giorgia;
- Durone Nero I;
- Samba;
- Van;
- Durone Nero II;
- Durone della Marca;
- Lapins;
- Ferrovia;
- Sweet Heart;
coltivate nel territorio di 28 comuni, di cui 15 in provincia di Modena:
- Castelfranco Emilia;
- Castelnuovo Rangone;
- Castelvetro di Modena;
- Guiglia;
- Lama Mocogno;
- Marano sul Panaro;
- Modena;
- Montese;
- Pavullo nel Frignano;
- San Cesario sul Panaro;
- Savignano sul Panaro;
- Serramazzoni;
- Spilamberto;
- Vignola;
- Zocca;
e 13 in provincia di Bologna:
- Bazzano;
- Casalecchio di Reno;
- Castel d’Aiano;
- Castello di Serravalle;
- Crespellano;
- Gaggio Montano;
- Marzabotto;
- Monte S.Pietro;
- Monteveglio;
- Sasso Marconi;
- Savigno;
- Vergato;
- Zola Predosa.
Il disciplinare di produzione della Ciliegia di Marostica IGP (vedi), prima ciliegia italiana ad ottenere il marchio IGP, è stato approvato originariamente nel 2001. Il marchio IGP è riservato alla produzione cerasicola proveniente dal territorio di 8 comuni del Veneto. Il disciplinare è stato quindi aggiornato nel 2012 con l’inclusione di nuove cultivar (qui il nuovo disciplinare: pdf).
PS del 25 marzo 2013. Sulla Gazzetta di Modena del 24 marzo 2013 (p.23) un articolo con le dichiarazioni di Stefano Zocca, direttore del mercato ortofrutticolo di Vignola, e di Andrea Bernardi, presidente del Consorzio della ciliegia e della susina tipica di Vignola, in merito all’applicazione dell’IGP ed ai suoi effetti – riconosciuti “problematici” (pdf). Una sorta di risposta ad alcune considerazioni di Arcadio Boschi.
Grazie Arcadio per queste informazioni…terrene!
Sulla Gazzetta di Modena di domenica 24 marzo 2013, Stefano Zocca, direttore del mercato ortofrutticolo, e Andrea Bernardi, svolgono alcune osservazioni sulla “Ciliegia di Vignola IGP”, dando l’impressione di voler replicare alle considerazioni di Arcadio Boschi (pur senza citarlo). In particolare Stefano Zocca conferma che i produttori che non aderiranno al Consorzio, ovvero non applicheranno il “disciplinare”, non potranno più commerciare cliegie con la denominazione “Ciliegie di Vignola”. “La dizione Ciliegia di Vignola si potrà associare solo all’IGP”. Così, paradossalmente, ciliegie provenienti da Castel d’Aiano, in provincia di Bologna, potranno essere vendute come “Ciliegie di Vignola IGP”. Mentre ciliegie prodotte a Vignola senza preoccuparsi del disciplinare (o di varietà diverse da quelle incluse nel disciplinare) non potranno più essere vendute come “Ciliegie di Vignola”! Andrea Bernardi riconosce che la denuncia fatta da Arcadio Boschi ha un fondamento. Dice infatti: “E’ evidente che quest’anno potremo pagare pegno per il fatto che il ministero non ha fatto rientrare nell’IGP tutte le varietà di ciliegia presenti sul territorio. Tuttavia, già alla fine della campagna di quest’anno ci impegneremo affinché, fin dal prossimo anno, siano inserite le varietà rimaste fuori”. Ovviamente, secondo questa dichiarazione, la responsabilità sarebbe del Ministero dell’agricoltura. Mi sembra opportuno verificare. Davvero il Consorzio avrebbe fatto richiesta perché fosse inserito nel disciplinare della “Ciliegia di Vignola IGP” un numero più alto di varietà? E quali varietà (aggiuntive) avrebbe proposto il Consorzio? Meglio verificare.
Qui l’articolo sulla Gazzetta di Modena del 24 marzo 2013:
Fai clic per accedere a consorzio_primo-anno-con-ciliegie-igp-gazzetta-24mar2013.pdf
Sono un produttore biologico di ciliegie e condivido in pieno il post di Arcadio.
Rilevo inoltre alcuni punti, nel disciplinare che non condivido:
1) non viene citata la possibilità di trasformare le ciliegie a differenza del disciplinare della ciliegie di Marostica che dice “I frutti destinati ad altri usi (es. industria dolciaria) possono essere senza peduncolo, parzialmente integri e avere una pezzatura anche inferiore a 23 mm. “ possibile che a nessuno interessi la possibilità di trasformare le ciliegie che per qualche leggero difetto non rientrano nell’IGP?
2) non è stata data sufficiente rilevanza alle tecniche agronomiche; mi spiego meglio, per la ciliegia di Vignola, a differenza di quella di Marostica si potrà produrre “attuando la lotta convenzionale in uso nella zona, con osservanza delle norme di buona pratica colturale dettate dalla Regione Emilia Romagna” quindi sono incluse pratiche che non rispondono ad alcun disciplinare (a differenza della lotta integrata e del biologico) oltretutto “L’utilizzo di regolatori di crescita per l’incremento dell’allegagione e del calibro dei frutti e prevenzione dello spacco è ammesso nei termini previsti dalla normativa vigente.” Mi sembra evidente che non si è tenuto in nessun conto la “salubrità” del prodotto nonostante la forte richiesta da parte dei consumatori. (ps. Andate a vedere cosa sono i regolatori di crescita)
Come produttori biologici del comprensorio (siamo veramente pochi) negli ultimi anni avevamo adottato sull’etichetta la dicitura BIOVignola che da quest’anno non potremo più utilizzare ma del resto, fortunatamente, i nostri prodotti seguono differenti percorsi di commercializzazione. Per questi motivi non aderirò all’IGP anche se come cittadino vignolese e come produttore mi sento un po’ defraudato dal non poter usare liberamente il nome della mia città.
mi sto interessando ora per la igp ed io ho qualità antiche.ma mi chiedo? se conferisco le mie ciliegie senza igp ad un commerciante il quale ha il registro all’igp, anche le mie diventano igp!?!? MAH???
Provo a dire quello che ricordo di una procedura di cui ho visto l’inizio, ma ormai sono passati 4 anni. Mi sembra che le osservazioni di Boschi e Toschi siano oneste e corrette ma è importante anche contestualizzare la questione. Prima questione, la Comunità europea (che è l’organo sovrano in agricoltura) non riconosce prodotti tipici che non siano IGP o DOP, o sei in queste categorie o non sei e quindi non puoi giovare di nessun finanziamento, aiuto o trattamento particolare nemmeno da altre autorità pubbliche locali. Anche gli ultimi finanziamenti sulla copertura dei ciliegi sono stati possibili in quanto c’era una procedura di IGP avviata, mentre negli ultimi anni in cui ero sindaco ci avevano sempre escluso a più riprese ai finanziamenti del fondo rurale in quanto non IGP e quindi non tipico.
La seconda questione è più generale, in quanto la legge prevederebbe l’impossibilità di utilizzare un marchio geografico fuori da IGP e DOP, i marchi geografici sono marchi che appartengono ad un territorio e non a singoli soggetti pubblici o privati di quel territorio.
Inoltre l’IGP rappresenta la protezione di un marchio pubblico e la relativa procedura può essere avviata da chiunque, che proponga un disciplinare e un marchio, avrebbe potuto farlo per esempio Slow Food o gli agricoltori della Valsamoggia proponendo come varietà la moretta, il nero primo e il nero secondo biologici. In realtà è la fase di audizione sul territorio, che si dovrebbe essere svolta in questi anni, a mettere a punto la procedura. è quella la fase partecipativa. Rimane quindi il fatto che se si vuole tutelare un marchio territoriale l’unico modo previsto dalla normativa si chiama IGP o DOP e da questo punto di vista mi sembra che il Consorzio non avesse scelta. Dopodichè dobbiamo anche avere presente la realtà, perchè quando si parla di ciliegia sembra che quello che c’era prima fosse sempre migliore. Io ho abitato per un certo periodo a Parma, nelle botteghe della frutta di quella città che non è tanto lontano da Vignola, c’erano sì delle ciliegie marcate Vignola, ma in gran parte non con il marchio proprietà del Consorzio e vi assicuro che quelle ciliegie di fianco alle anonime Ferrovia della Puglia facevano la figura delle marasche. Bisogna aver presente che chiunque poteva marcare qualunque cosa come Vignola prima dell’IGP e che questo succedeva anche, ma nulla si poteva fare per impedirlo.
Forse anche certe ciliegie “doc vignolesi” è meglio che non ci finiscano dentro a imballaggi marcati vignola se si vuole tutelare quel marchio e forse è anche ora che alcuni agricoltori della domenica si rendano conto che bisogna curare la qualità del prodotto se si vuole apporre il marchio Vignola. Per dire che ancor prima che una questione di varietà è una questione di qualità del prodotto. Sulle varietà, io sono arrivato fino ad un certo punto, perchè ho accompagnato diverse volte a Roma i rappresentanti del Consorzio e vi devo dire che trattare con un ministero italiano è una questione di una certa complessità. In dieci anni saranno cambiati decine di volte i funzionari incaricati e ognuno di essi aveva la sua idea, chi bisognava fare la DOP, chi non si poteva, chi bisognava fare l’IGP, chi non importava le varietà, chi dovevano essere storiche di cento anni chi di uno, chi bisognava inserirle tutte subito, chi in fase di audizione, chi dopo aver ottenuto l’IGP da Bruxelles.
Ho visto girare Andrea Bernardi e Munari del Consorzio come delle trottole avanti indietro, in Provincia, in Regione, al Ministero ed a me che li ho seguiti solo in parte è bastato per prendere la “balla” e capire che questo paese difficilmente ce la farà. Ma posso assolutamente assicurare che queste persone ci hanno messo l’anima in particolare negli ultimi anni in cui la cosa si cominciava a concretizzare, quindi non hanno fatto le cose con superficialità ma portare a casa l’IGP è stato sufficientemente complesso. Perchè noi da Vignola diamo un pò di cose per scontate, ma anche solo a Roma dicevano che non c’era documentazione storica che motivasse che la ciliegia di Vignola fosse riconosciuta dal consumatore nel tempo come diversa da tutte le altre. Le bolle, le fatture i documenti commerciali parlano di ciliegie provenienti da Vignola. Quindi a Roma pensavano che non fosse nemmeno un prodotto tipico…figuriamoci a Bruxelles cosa avrebbero pensato. Quindi questioni che qui sembrano banali, lo sono un pò meno quando si esce dai propri confini. Detto questo, se ricordo bene, nell’ultimo incontro a cui ho partecipato nel 2009 le varietà erano ancora in parte in discussione e il funzionario del ministero ne faceva una questione di numero, per lui non si poteva mandare a Bruxelles un prodotto di estrema nicchia con più di 4 o 5 varietà. Un bel da spiegare che gli agricoltori vignolesi sono dei creativi e che tutte le volte che salta fuori una varietà provano a piantarla. In ogni caso il ministero ha sempre sostenuto che tutti hanno completato la lista varietale dopo aver ottenuto l’IGP. Ora negli ultimi anni non ho assolutamente seguito la questione, ma è chiaro che l’IGP non è un qualcosa di statico, ma va seguito come un bambino che deve crescere, i primi a doverlo fare sono gli agricoltori, perchè oggi il marchio appartiene al territorio e quindi appartiene pienamente a loro, i tecnici del ministero infatti immagino siano venuti a sentire loro sull’IGP della ciliegia non altri. Penso comunque che le istanze di Boschi e Toschi siano corrette e possano essere inserite nel disciplinare sia le questioni relative al prodotto trasformato (se possibile) sia le ulteriori varietà, magari facendo qualche scelta senza andare sempre allo sbaraglio nel decidere cosa piantare a Vignola, perchè l’anarchia è bella ma il mondo vive di regole. Sulla questione invece dei costi, gli accordi di allora con Provincia e Regione erano che tutta la fase di avviamento del progetto sarebbe avvenuta a costo zero per gli agricoltori. Bisogna però comprendere che l’IGP è uno strumento da utilizzare per raggiungere il fine della tutela di un prodotto di qualità, senza un prodotto di grande qualità, non c’è marchio che tenga nel tempo. Certo per avere qualità bisogna fare investimenti, per fare investimenti servono risorse, l’IGP va usato per portare risorse agli agricoltori vignolesi. Pretendete che vengano finanziamenti non a pioggia ma che essi si concentrino sui prodotti di qualità riconosciuti dalla comunità europea. La grande debolezza degli agricoltori vignolesi è sempre stata quella di essere divisi, in tutti questi anni in cui le risorse andavano alle OP (organizzazioni di agricoltori) gli agricoltori vignolesi non hanno mai voluto costituirla, hanno sempre voluto essere liberi fino all’ultimo secondo di dove, a chi e cosa vendere. L’IGP può essere una nuova occasione di unirsi attorno alla propria storia per difendere il proprio territorio, spero che su questo non vi dividerete e al contrario prenderete possesso di un marchio che è vostro e deve di conseguenza corrispondere ad un vostro progetto comune di valorizzazione. Altrimenti le ciliegie di Vignola saranno quelle che si vendono lungo la strada. Buon Lavoro.
Aggiungo, ma non penso che abbiate bisogno dei miei consigli, per gestire con l’intelligenza tipica degli agricoltori vignolesi la questione del catasto e delle famiglie varietali in modo da far rientrare la quasi totalità del prodotto sotto il marchio IGP in attesa di completare il più in fretta possibile la lista varietale.
A proposito di Ciliegia di Vignola IGP
Ho letto con molto interesse quanto è stato scritto in merito il riconoscimento dell’IGP a una delle eccellenze agro-alimentari del ns territorio. Perché di questo si tratta, come ha ben ricordato anche Boschi ricordando l’epoca dei “pomari” di Vignola.
Sentir parlare di ciliegie richiama sempre la mia attenzione, sia perché anche io provengo da una famiglia vignolese che per generazioni le ha coltivate (e le coltiva ancora nell’azienda ora gestita da mio fratello), sia perché mi occupo comunque di agricoltura (nello specifico di frutticoltura) pressol’Università di Bologna.
Condivido pienamente l’analisi di Adani, così come le critiche sollevate da Toschi e, in primis, da Boschi, dal quale però dissento per alcune sue affermazioni, in particolare quando scrive che l’IGP “è stata una pessima decisione”.
Provo a fare alcune considerazioni sull’argomento.
La partecipazione e il contributo dei produttori al processo di riconoscimenti dell’IGP
Su questo aspetto non mi trovo d’accordo con Boschi, perché se è vero che la pratica è stata condotta dal “Consorzio di tutela della ciliegia e della susina di Vignola”, è anche vero che tale ente l’ha fatto su mandato del suo consiglio di amministrazione, nel quale sono rappresentate tutte le realtà territoriali interessate alla ciliegia, produttori inclusi. Ho fatto parte del c.d.a. del Consorzio della ciliegia negli anni ’90 (quando da lavoratore precario ancora avevo “un piede nell’Università e l’altro nell’azienda agricola di famiglia”) e ricordo bene che ogni realtà aveva il suo rappresentante (la Coldiretti il suo, la CIA il sua, i commercianti il loro, l’industria il suo, così come le singole cooperative di produttori, allora denominate Valle del Ciliegio, Agra, La Vignola, Garagnani, ecc). Mi risulta che oggi sia ancora così e, quindi, sposterei il problema dal mancato coinvolgimento dei produttori, all’efficacia e consistenza del loro contributo (e più precisamente quello dei loro rappresentanti) durante il lungo percorso per il riconoscimento dell’IGP. Non essendo io un produttore, non ho elementi per rispondere, ma sarebbe interessante conoscere il parere di chi oggi rappresenta i produttori nel c.d.a. del consorzio.
I limiti del disciplinare della Ciliegia di Vignola IGP
Sia Boschi che Toschi ne hanno evidenziati diversi, confermando un certo malumore che anch’io ho raccolto in questi mesi, parlando soprattutto con i produttori, ma anche con colleghi che si occupano di ciliegio (ricerca e sperimentazione) all’Università di Bologna.
Che il disciplinare sia uno strumento dotato (necessariamente) di una sua “dinamicità” nel tempo è quasi scontato e d’obbligo, pena l’abbandono della coltivazione da parte dei produttori. Lo confermano anche i “cugini” cerasicoltori di Marostica, il cui disciplinare è stato recentemente aggiornato con altre varietà, alcune delle quali curiosamente hanno una storia abbastanza recente (es. Black Star e Grace Star, solo per citarne due).
L’elemento che più sorprende in negativo è certamente quello della ristretta lista delle varietà; inoltre, per sei di esse (su un totale di 13 ammesse) si tratta di varietà “autoctone”, da tempo abbandonate dalle aziende specializzate. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che se il comparto della ciliegia è riuscito a risollevarsi dalla crisi strutturale degli anni ’70-’80, lo deve proprio all’innovazione tecnica e tecnologica, soprattutto all’introduzione di nuove varietà (ottenute inizialmente in Canada e USA, poi in Francia e più recentemente anche in Italia), nuovi portinnesti e sistemi di impianto, nuove tecniche (es. la copertura con i teli antipioggia).
La Mora di Vignola, così come il Nero I, sono il top per ciò che riguarda le caratteristiche organolettiche, ulteriormente amplificate dalla vocazionalità ambientale (clima e suolo) e dalla professionalità degli agricoltori di Vignola e dintorni. Questi ultimi due fattori (ambiente e professionalità) incidono positivamente anche sulle nuove varietà, che comunque oggi vengono sempre selezionate a partire da uno standard qualitativo medio-elevato.
Non conosco nei dettagli l’iter dell’IGP della ciliegia di Vignola, ma forse chi ha trattato col Ministero ha dovuto alla fine cercare un compromesso sulla lista delle varietà, per non dover tornare a casa a mani vuote, lista da aggiornare poi subito dopo l’ottenimento dell’IGP (sarà poi così? sarà fattibile farlo in una anno, come ha sostenuto Bernardi?).
Quello che non è chiaro è chi ha preteso o imposto nel disciplinare solo varietà presenti nel territorio da almeno 20 anni (limite che dubito valga per SAMBA). E’ stato il Ministero? Allora qualcuno deve spiegarmi perché quelli di Marostica hanno inserito varietà con storia relativamente recente.
Detto questo, c’è un altro elemento sul quale pesa maggiormente la responsabilità di chi ha gestito la pratica dell’IGP della ciliegia di Vignola, e che si ricollega sempre alla lista delle varietà ammesse. Boschi ha riportato che il 50% (ma ho ragione di credere che tale percentuale sia nettamente superiore) della produzione di ciliegie che potevano fregiarsi fino alla campagna 2012 del marchio “Vignola” oggi è esclusa dall’IGP e quindi dall’uso del nome “Vignola” sull’imballaggio. Tale esclusione avviene non tanto per la non volontà di adesione all’IGP da parte del produttore, ma piuttosto perché gli viene impedito di poterlo fare avendo scelto, magari 5 o 10 anni fa, di piantare una varietà non inclusa nella lista dell’IGP approvata dal Ministero alla fine del 2012.
Quale soluzione propone il Consorzio della ciliegia tipica a tali produttori esclusi loro malgrado dall’IGP?
Non era forse meglio sospendere per un anno l’entrata in vigore dell’IGP e insistere per ottenere da subito una revisione del disciplinare?
Su questo aspetto mi permetto di dire che qualcuno (anche tra i produttori) ci ha “dormito sopra”, forse convinto che poi una soluzione (magari anche non del tutto legale, si legga oltre) si sarebbe trovata.
L’aspetto dei controlli
Ha ragione Adani quando sottolinea come ci si debba preoccupare più della qualità del prodotto piuttosto che della varietà. La ciliegia di Vignola si è fatta conoscere e apprezzare nel mondo per la qualità intrinseca del prodotto e per come lo stesso veniva presentato al consumatore. Sono convinto che la maggior parte dei produttori di ciliegie lavorano in questa direzione; non basta però un’elevata professionalità a fare qualità. Occorre che ci siano anche dei controlli seri e credo che uno dei banchi di prova dell’IGP sia rappresentato dal controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare. Mi spiace dirlo, e anche scriverlo, ma sul successo di questo aspetto nutro più di un dubbio. Il primo si ricollega ancora una volta alla questione della lista “ristretta” di varietà ammesse nel disciplinare. In attesa che tale lista sia aggiornata, è alto il rischio (confermato anche da voci provenienti dalla piazza e dalla campagna) che venga etichettato come ad es. Nero I (o altra cv in lista) un prodotto appartenente ad altra varietà. Tanto sempre ciliegie sono, per di più provenienti dalla zona doc, ma si tratterebbe di un “falso”, oggi facilmente smascherabile (se c’è la volontà di farlo) sia attraverso un semplice confronto pomologico sia attraverso tecniche analitiche divenute oramai di routine (es. l’analisi del DNA).
Un altro aspetto è da chi e come saranno eseguiti questi controlli; chi conosce la realtà vignolese sa bene la difficoltà di ritirare (se non nei casi più scandalosi) dalla vendita all’ingrosso (mercato ortofrutticolo, cooperativa o semplice commerciante) il prodotto non conforme ai regolamenti già in vigore. Gli ispettori dell’IGP saranno inflessibili? Anche questa è una sfida che l’IGP dovrà vincere se vuole avere successo.
Concludo ribadendo che l’IGP della ciliegia di Vignola rappresenta certamente un’opportunità per tutto il territorio vignolese, ma soprattutto per la sua agricoltura, che non sta certamente vivendo momenti facili, ma che ha nel comparto cerasicolo, non solo uno dei suoi fiori all’occhiello ma anche un settore che in questi ultimi 10 anni è andato controcorrente, garantendo reddito alle aziende agricole. L’auspicio è dunque che tutti i soggetti interessati lavorino insieme per sfruttare al meglio questa opportunità.
Sig Boschi, quando per la prima volta ho letto che la ciliegia di vignola si pregiava del marchio IGP,
ho pensato in effetti che finalmente qualcosa si stesse muovendo per tutelare il nostro prodotto ed il suo prezzo!
Io che vivo da decenni a Parma, ma penso che tale realtà sia anche in altre città, posso confermare quanto riportato dal Sig Adani,
su come si comportino diversi negozianti,e Le posso garantire di NON essermi solo soffermato a guardare (!) ma di avere protestato sino a costringere
il negoziante a ritirare il loro prodotto.
Ora il marchio IGP dovrebbe proteggere i produttori da tali negozianti e quindi tutelare i consumatori, quindi benefici per tutti (?).
Poi mi sono pensato consumatore, e cercato di vedermi mentre vado al supermercato e sinceramente penso di non aver mai verificato se un porodtto fosse
IGP,DOC,DOGP,DOP, ma di aver guardato prezzo,azienda ed a volte luogo provenienza. Ma sicuramente esperti di marketing, spero non bocconiani, Monti docet,
avranno fatto le loro valutazioni.
Mi domando se questi esperti, abbiano verificato a quali prezzi arrivi il nostro prodotto al dettaglio. A Parma le ciliegie di Vignola o presunte tali,
vengono vendute dai 8/14 euro a cestino (0,500 kg !!)
Pensate che i consumatori continueranno a comprare ciliegie di vignola (IGP) a tali prezzi, quando potranno avere un buon prodotto del Trentino a metà prezzo?
Non sarebbe meglio cercare di tutelare, oltre che la qualità e la certificazione del proddotto, anche il prezzo.
Leggo che non tutte le varietà sono presenti nel IGP,ma dove sta scritto che nel IGP possono rientrare solo prodotti aventi “un tot di anni”?
Ma gli esperti dicono che è un buon punto di partenza, ci dicono che “piutost che nient le mei piutost”,ma mei per chi?
Penso che in questa fretta di fregiarsi del IGP, si sia dimenticato che la produzione del consorzio di Vignola,
è determinata anche da diversi piccoli coltivatori ,che si “ostinano” a mantenere tale produzione.
Certamente il mercato non lo fanno i piccoli produttori,ed occorrono continue strategie e soluzioni per mantenere il prodotto appetibile,
ma attenzione possiamo renderlo bello,pieno di medaglie quanto vogliamo, ma se il prezzo non sarà congruo sia per il produttore che il consumatore,poveri noi,
povera Ciliegia di Vignola.
Il fregio IGP temo sia diventato uno sfregio. Provando a fare i cosidetti “conti della serva”, mi sembra di capire che oltre ai vari oneri burocratici, tassa compresa,
si dovrà gestire un doppio imballaggio:uno per IGP e l’altro per…l’industria;le varietà non rientranti nella lista, potenzialmente (sicuramente) avranno un prezzo
di seconda…..che bravi. Gli esperti consapevoli di ciò cosa dicono: “Chi froda sarà punito”, bella scoperta.
Forse, oltre al controllo dovuto, si poteva pensare di tutelare anche le altre varietà, cercando cosi’ di tutelare chi sicuramente ne avrà un danno economico,
affinchè il suo prodotto non diventi La ciliegia di Bari !
Il Vignolese Luca da Parma .
Sembra che alla manifestazione vignolese dedicata alle ciliegie (Vignola è tempo di ciliegie) dell’8 e 9 giugno scarseggino proprio le ciliegie IGP. Comunque, intanto a Bologna si promuovono le nuove varietà realizzate grazie a ricerche dell’Università di Bologna e che hanno coinvolto anche il prodotto vignolese (oltre che la Fondazione di Vignola):
http://www.magazine.unibo.it/Magazine/UniBoIniziative/2013/05/29/Cogli_il_frutto_della_ricerca.htm
Dato che teoricamente l’IGP dovrebbe essere un’indicazione riguardante il territorio, includendo anche ma in seconda battuta i fattori umani e naturali, penso dovrebbe esistere un IGP anche per le altre ciliege, magari diverso. Per le coltivazioni si potrebbe scegliere “L’antica ciliegia di Vignola”, per le altre “La ciliegia di Vignola”, anche se non so quanto un IGP possa agevolare un produttore. Questa p una domanda che vorrei porre: quale effetto economico ha una dichiarazione IGP su un produttore? Ringrazio tutti per le parole spese e l’attenzione accordata!