Classi ponte. Anche Vignola partecipa al dibattito sulla mozione leghista

Anche l’Istituto di Istruzione Superiore “Primo Levi” di Vignola è risultato coinvolto nella polemica sulle “classi ponte”. All’origine della vicenda sta una mozione presentata da parlamentari della Lega Nord Padania e del Popolo della Libertà (primo firmatario l’onorevole Roberto Cota, capogruppo della Lega Nord Padania) alla Camera dei Deputati, approvata con 256 voti a favore (e 246 contrari). Tale mozione impegna il governo all’istituzione di “classi ponte” per gli alunni stranieri che non conoscono la lingua italiana (l’espressione originaria, “classi ponte”, è stata sostituita con “classi di inserimento” nel corso del dibattito alla Camera, il 14 ottobre). Infatti su Il Giornale, il quotidiano di proprietà del fratello del Presidente del Consiglio, del 16 ottobre è riportata un’intervista alla presidente dell’istituto vignolese, Iole Govoni (vedi). Il messaggio che il quotidiano vuole far passare è chiaro: le classi ponte esistono già e sono state istituite per facilitare l’inserimento degli alunni stranieri. In realtà, se mettiamo a confronto l’esperienza del Primo Levi di Vignola e la proposta della mozione leghista vediamo che ci sono differenze significative che è bene non cancellare. Allo stesso tempo è bene riflettere serenamente sulla mozione approvata alla Camera che, pur proponendo un modello di intervento non condivisibile, affronta un problema reale.
[1] Sgombriamo subito il campo da facili conclusioni. Nel testo della mozione non vi sono né affermazioni, né echi “razzisti” (ecco il testo in pdf). E’ bene dirlo con chiarezza, proprio perché qui si vuole argomentare che la proposta della Lega Nord è criticabile innanzitutto in quanto inadeguata per risolvere il problema che dichiara di voler affrontare: “la riduzione dei rischi di esclusione” degli alunni stranieri. Nella mozione si afferma che “la scuola italiana deve (…) essere in grado di supportare una politica di «discriminazione transitoria positiva», a favore dei minori immigrati, avente come obiettivo la riduzione dei rischi di esclusione”. Si tratta di una affermazione assolutamente condivisibile, anzi particolarmente avanzata visto che riconosce la necessità di “azioni positive”, ovvero di risorse ed opportunità impiegate per eliminare un handicap (quello linguistico) che penalizza un certo numero di alunni stranieri (quelli appena giunti in Italia e che, dunque, non conoscono la lingua).
[2] Perché dunque si è gridato l’allarme razzismo? La ragione è piuttosto semplice e sta nella (scarsa) credibilità della Lega Nord Padania quale soggetto volto a promuovere politiche di accoglienza e di integrazione di cittadini (ed alunni) stranieri. Chi propone l’impiego delle motovedette della polizia per ricacciare a mare i barconi di profughi, chi propone di rendere più complicata la procedura di ricongiungimento familiare per gli stranieri regolarmente soggiornanti, chi dimostra da tempo di tollerare a fatica la presenza degli stranieri (anche regolari) può essere creduto quando propone un intervento volto a ridurre il rischio di esclusione scolastica degli alunni stranieri?

[3] Conviene comunque guardare la proposta nel merito, riconoscendo che l’esperienza di “classi ponte” è comunque presente in altri paesi europei, anche se, stando agli interventi sulla stampa, non è chiaro come sono organizzate e quanto sono efficaci. A conclusioni diverse, evidentemente basandosi su dati selezionati in base al punto di vista che si vuole promuovere, giungono gli articolisti de Il Sole 24 ore (vedi) e di Europa (vedi) del 16 ottobre. Ma vediamo in cosa consiste la proposta leghista. Il nucleo principale è dato dalla richiesta di “rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, autorizzando il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione” e di “istituire classi ponte, che consentano agli studenti stranieri che non superano le prove e i test sopra menzionati di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana, propedeutiche all’ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti”. Bisogna innanzitutto riconoscere che il tema è rilevante e che ancora oggi, a quasi vent’anni dalla forte crescita dell’immigrazione, la scuola italiana non risulta adeguatamente attrezzata per fronteggiare l’inserimento di un numero crescente di alunni stranieri (attenzione: non parliamo di alunni stranieri in generale, ma solo di quelli che non conoscono la lingua italiana essendo giunti da poco in Italia – un gruppo minoritario, ma non trascurabile, tra gli alunni stranieri). L’abbinamento test linguistico più intervento “straordinario” di formazione linguistica è dunque condivisibile. In tal modo si risponde alle esigenze del minore straniero, ma si evita anche di sovraccaricare il “gruppo classe”. Ciò che risulta discutibile è la specifica modalità organizzativa che la mozione individua per l’insegnamento della lingua italiana, appunto la “classe ponte” o “classe d’inserimento”, soprattutto perché accentua l’elemento di separatezza dalla “classe normale” e non specifica la durata di tale intervento. Ora, è proprio leggendo l’intervista alla preside del Primo Levi che risalta la problematicità di questa impostazione. Nell’esperienza della scuola vignolese, infatti, le “classi aperte” in cui vengono organizzati gli alunni stranieri necessitanti di formazione linguistica hanno la durata di alcuni (pochi) mesi. Ma soprattutto gli alunni stranieri non vengono “relegati” esclusivamente in tali classi, ma partecipano anche alla classe normale (per due ore al giorno). Le esigenze di socializzazione nel gruppo classe, in altri termini, sono ritenute importanti e sono pertanto salvaguardate accanto all’esigenza di potenziamento dell’insegnamento linguistico. Infine, proprio l’esperienza del Primo Levi di Vignola evidenzia che tale intervento è già fattibile oggi con gli strumenti dell’autonomia scolastica. Servono semmai risorse: scarse oggi, ancor più scarse domani dopo i provvedimenti del ministro Gelmini. Lo riconosce la Preside del Primo Levi: “il monte ore è legato ai fondi a disposizione della scuola”. Lo riconosce anche la mozione leghista: “la presenza di bambini stranieri (…) implica l’aggiunta di finanziamenti e docenti”. Se la scuola italiana vuole affrontare seriamente il problema dell’inserimento efficace degli stranieri deve accrescere le risorse a ciò dedicate. Su questo non v’è alcun dubbio. Bene ha fatto, dunque, Giovanni Cocconi su Europa del 21 ottobre (vedi) a richiamare il fatto che oggi molti corsi di italiano per alunni stranieri sono finanziati con risorse dei Comuni (le cui risorse sono sottoposte a tagli proprio dal governo Berlusconi). Non è che il ministro Gelmini voglia davvero farsi carico del problema finanziando questi interventi di “alfabetizzazione”?
[4] Giovanna Zincone, professore ordinario all’Università di Torino (vedi) e presidente del Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione (Fieri), vedi, è intervenuta sull’argomento (La Stampa del 16 ottobre) analizzando, senza pregiudizi, pro e contro delle “classi ponte” (vedi). In particolare, facendo riferimento all’esperienza delle “classi ponte” in Svizzera, evidenzia l’importanza “di evitare che le classi ponte diventino classi scivolo verso la segregazione e la discriminazione”. Suggerisce, inoltre, di integrare la formazione linguistica per gli stranieri in ambito scolastico con iniziative pre-scolastiche: perché non promuovere la partecipazione a corsi di insegnamento della lingua italiana prima dell’inizio dell’anno scolastico? E perché non incentivare i ricongiungimenti familiari in periodi che rendano possibile la formazione linguistica prima dell’inizio della scuola? In estate – e cita l’esperienza condotta a Torino – “giocando, facendo sport con ragazzi italiani, quelli stranieri fanno, per forza e con piacere, pratica linguistica. E in più non percepiscono esclusione.” Le chiama “classi balneari” – con richiamo ironico ai “governi balneari” di un tempo. Lavorare seriamente per l’inclusione dei minori stranieri significa anche promuovere (e finanziare) interventi di questo tipo.
[5] La mozione non si occupa solo di alfabetizzazione linguistica degli alunni stranieri (con una proposta, come abbiamo visto, non etichettabile come “razzista”, ma discutibile perché “selettiva”). Si occupa anche di “alfabetizzazione culturale”. Anche in questo caso emerge un pregiudizio di fondo nell’affrontare la materia. Un pregiudizio che si riflette nell’assenza di reciprocità: si richiede una formazione aggiuntiva per gli alunni stranieri sul rispetto della legge ed anche delle “tradizioni territoriali e regionali del Paese accogliente” (preoccupazione che, se bene intesa, è decisamente opportuna); ma si evita di richiedere una corrispondente e complementare formazione aggiuntiva per gli alunni italiani: sul significato della presenza degli stranieri, sul dovere dell’accoglienza e della tolleranza verso chi è portatore di culture diverse (ovviamente nella misura in cui tale cultura non confligge con le norme di legge). L’alfabetizzazione culturale non può che essere reciproca (e complementare). Se da un lato occorre richiedere agli stranieri il pieno rispetto delle leggi (e dunque la loro conoscenza) e l’acquisizione di una cultura civica coerente con le aspettative delle istituzioni italiane, dall’altro lato occorre che gli italiani sviluppino una sensibilità maggiore all’accoglienza ed il rifiuto di comportamenti discriminatori. Ciascuno deve reagire alla nuova situazione con processi di apprendimento “verso un maggior grado di civiltà”.

Maurizio Ambrosini, sociologo, professore associato all’Università di Genova ed esperto di immigrazione, interviene sulle “classi ponte” su LaVoce.net. “Nei paesi avanzati non ci sono precedenti per la scelta di classi separate per i bambini immigrati. Ci sono invece molte esperienze di didattica speciale, volta al rafforzamento delle competenze linguistiche. Nel nostro paese la percezione di un’emergenza educativa è drammatizzata dallo smantellamento delle risorse per fronteggiarla.” Leggi l’intero articolo.

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