Nelle Vite di Giorgio Vasari (1511-1574) non vi è un capitolo specificamente dedicato a Jacopo Barozzi detto il Vignola (vedi). La biografia di Barozzi, che Vasari conosceva in quanto “collega” artista, per di più coetaneo (Jacopo Barozzi era più anziano di lui di soli 4 anni essendo nato nel 1507), è invece disseminata nei capitoli dedicati ad altri artisti: Taddeo Zuccari (pittore manierista nato nella provincia di Urbino nel 1529, poi al servizio dei Farnese per l’affrescatura del palazzo di Caprarola) e, in misura minore, in quelle di Michelangelo, Francesco Primaticcio detto il Bologna (pittore bolognese con cui Jacopo Barozzi collaborò nella parte iniziale della carriera) e dello stesso Vasari. Sappiamo però che Vasari non è un osservatore neutrale della realtà artistica della metà del ‘500. Il trattamento che egli riserva a Barozzi riflette sia la tesi di fondo secondo cui l’innovazione vera nel campo artistico è dovuta al “gruppo fiorentino” massimamente rappresentato da Michelangelo (e ciò squalifica automaticamente il gruppo dei bolognesi: Sebastiano Serlio, Primaticcio, Prospero Fontana, Barozzi, Pellegrino Tibaldi – i primi due però terminarono la loro carriera artistica alla corte del re di Francia, chiamati a Fontainebleau da Francesco I), sia una certa “gelosia” che egli nutriva verso il Vignola derivante anche da una diretta competizione nell’acquisire committenze nella Roma pontificia di allora. Ciò nonostante offre elementi importanti per mettere a fuoco sia le virtù, sia i “limiti” dell’architetto vignolese. Tra questi ultimi, in primo luogo la mancanza di quell’ambizione ed abilità relazionali che in quel contesto erano requisiti fondamentale per un’ascesa sociale e per la conquista di fama e ricchezza. L’handicap di allora si unisce, nella promozione del Barozzi, ad un handicap di oggi, conseguenza della disattenzione dei contemporanei ed in primo luogo dei suoi concittadini – noi vignolesi – e delle locali istituzioni. Leggi il seguito di questo post »