Prendetevi 19 minuti e guardate il video della relazione tenuta da Matteo Renzi alla direzione nazionale del PD di oggi, 7 dicembre 2016. Subito prima di rassegnare le dimissioni da Presidente del Consiglio. Non c’è dubbio alcuno: una testimonianza di leadership. D’altro canto un leader si vede nel momento delle difficoltà, dopo la sconfitta. Si può non essere d’accordo con le politiche di questi tre anni di governo, ma chi conosce la storia italiana degli ultimi vent’anni (e non solo), chi l’ha in mente (ed è bene averla in mente se si vuole dare un giudizio serio), non può negare che Renzi sia un vero leader democratico. Il video sottostante riporta solo un passaggio di quell’intervento che integralmente potete trovare sul sito web di la Repubblica (vedi) o de l’Unità tv (vedi).
E’ durata 19 minuti la relazione di Matteo Renzi alla direzione del Partito democratico. “Noi non abbiamo paura di niente e nessuno, se gli altri vogliono andare a votare dopo la sentenza della Consulta, lo dicano, perché qui si tratta di assumersi tutti la responsabilità. Il Pd non ha paura della democrazia e dei voti“. Al tempo stesso, ha aggiunto il premier prima di salire al Quirinale per le dimissioni, “se invece vogliono un nuovo governo che affronti la legge elettorale, ma anche gli appuntamenti internazionali rilevanti, il Pd è consapevole della propria responsabilità. Non può essere il solo, perché abbiamo già pagato il prezzo in un tempo non troppo lontano della solitudine e della responsabilità. Anche gli altri partiti devono caricarsi il peso” (vedi).
PS Essere #matteorenzi è il titolo di un bel libriccino di Claudio Giunta (vedi).
Caro Andrea…solo due righe di commento. Tu sai bene che io sono un di quelli che ha votato NO e quindi soddisfatto del risultato referendario. Confido inoltre nelle sue dimissioni e se, come da lui detto, abbandonasse la politica, ne sarei felice. Il passaggio TV che hai scelto del suo discorso, rappresenta proprio una delle cose io non apprezzo di Renzi…lo spirito di patate…l’ironia..il sarcasmo…torto o ragione che possa avere. L’altra cosa, più grave, è che per me mente…finge…anche quando “pensa” di essere sincero non lo ritengo ne democratico, ne attento ai problemi della gente. Proprio poichè abbiamo ” già dato” di recente, con un altro leader che diceva di essere democratico e aver cuore il bene dell’Italia, siamo ancora troppo attenti per non capire che questo è un altro furbetto. Non volermene, tutto qui…molto semplice. Sergio Smerieri
Caro Sergio, non sono un entusiasta di Renzi (chi legge ciò che scrivo senza pregiudizi dovrebbe capirlo agevolmente). Politicamente mi piacerebbe un leader collocato più a sinistra. Ma sono politicamente un riformista (in sintesi: per un capitalismo “addomesticato”; per un welfare state che offra più opportunità a tutti, riduca le distorsioni che ha ereditato, aiuti di più chi è in difficoltà; un mercato con meno rendite ed un po’ più di opportunità a tutti, potrei dire un po’ più di “meritocrazia”) e per quanto critichi assai spesso il PD questo è il partito che, nel complesso, rappresenta meglio degli altri le mie convinzioni. Potrei anche dire che un partito in cui mi ci ritrovo pienamente non esiste. Ma bisogna scegliere in base all’offerta disponibile (certo, ci si può anche impegnare affinché l’offerta evolva – ma è un altro tema). Se mi guardo attorno ed analizzo l’offerta di leader presente in politica allora scelgo Renzi, pur con tutti i suoi limiti. Gli altri ne hanno di più.
La mia curiosità è un’altra: una direzione a cosa serve?
“Il processo di leadership consiste nell’interazione di coloro che in una struttura di stato occupano la posizione più elevata, altrimenti detti leader, col resto del gruppo. Una delle caratteristiche fondamentali dei membri di un gruppo di stato elevato è quella di proporre idee e attività nel gruppo utilizzando in questo modo dei mezzi per influenzare i membri del gruppo a modificare il loro comportamento. Ma, dal momento che l’influenza sociale è comunque sempre un processo reciproco, quello che caratterizza i leader è che possono influenzare gli altri nel gruppo più di quanto siano influenzati loro stessi.”
“Autocrazia: viene considerata come la forma più primitiva di leadership e si caratterizza per l’utilizzo di metodi autoritari, quali la forza e la tradizione, per ottenere l’acquiescenza. Si ritiene che questa forma di leadership si dimostri adeguata soltanto in situazioni caratterizzate da forme «primitive» di tecnologia, quali la guerra, la caccia e l’agricoltura, che implicano la ricerca dei mezzi fondamentali di vita ad un livello di sussistenza.”
(Wikipedia)
Ecco, secondo me la seconda definizione si avvicina di più al caso esaminato, o quanto meno siamo a metà strada
La domanda posta da Dimer è ovviamente “finalizzata”. Un incontro della direzione del partito serve davvero a tante cose, alcune dette e dicibili, altre no. Per il semplice fatto che l’agire strategico è una componente ineliminabile della politica. Dunque ci sono direzioni in cui si discute davvero ed altre che servono a promuovere o difendere il leader, una risorsa di cui nessun partito che voglia essere competitivo può fare a meno (chiedere ad Hollande o alla SPD tedesca). Direzione in cui il rito del dibattito funge come una passerella per i supporter delle diverse correnti e così via. Certo, un partito ha bisogno anche di discussioni, di confronto, di dibattito, di analisi. Questa direzione non è servita a questo.
Itappens evidenzia ciò che, secondo lui, è un aspetto biasimevole dello stile di leadership di Renzi, intendendolo come autoritarismo. Per troppo tempo il PD ha vissuto con uno stile consociativo, con un “patto di sindacato” in cui l’accordo di potere che garantiva il segretario (da ultimo è stato così per Bersani) portava ad una continua mediazione tra le diverse correnti che avevano “stipulato” quel patto. Pagando però un prezzo assai alto al rendere comprensibile, leggibile le politiche proposte. E dunque all’efficacia della politica ed all’efficacia dell’azione di governo. Renzi ha “scalato” il partito contro questo modo di fare politica. E’ nelle cose che finisca con l’eccedere. Il tema della “rottamazione” che per primo ha sollevato e su cui ha costruito larga parte del suo consenso è stato possibile perché la situazione era da troppo tempo cristallizzata (Funiciello ci ha scritto un bel libro per chi vuole capire il travaglio della fase iniziale del PD). Probabilmente la situazione attuale non è equilibrata – fatto che si comprende se si ha seguito la dinamica del partito dal 2007, anno della fondazione, ad oggi. Qualche considerazione qui:
https://amarevignola.wordpress.com/2013/10/28/matteo-renzi-incarna-esigenze-vere-per-il-pd-circolazione-delle-elites-e-superamento-della-sindrome-del-leader/
Le correnti sono atte a garantire spesso rendite di posizione o posizioni di potere, specie se i Congressi vengono fatti solo per contarsi. Non credo però che fossero scomparse con Renzi; semplicemente ne ha favorite alcune a scapito di altre gratificandole con posti, non con chiacchiere. Il problema è che se non vanno bene delle elezioni, tipo le amministrative, un segretario deve ascoltare, altrimenti che ci sta a fare? Inoltre può pure essere che lui dovesse “consociativare” con altri. Infine se non ascolti uno come Tocci, mi sa che proprio ti interessa poco dare seguito a una politica socialmente sostenibile.