Prosegue l’analisi della documentazione prodotta da Nomisma e MIPA sulla fusione dei comuni dell’Unione Terre di Castelli. Dopo l’Analisi socio-economica (vedi) prendiamo in considerazione i documenti 2, 3 e 4. Si tratta di documenti di analisi della realtà attuale e che dovrebbero iniziare a fornire ragioni e prospettive per la fusione (o le fusioni). Purtroppo non è così. Quando ci sono dati utili non vengono adeguatamente “valorizzati”. Ma in genere mancano analisi convincenti (ovvero approfondite, non limitate agli slogan pro-fusione). Anche questi tre documenti testimoniano della superficialità dell’analisi. Del cattivo lavoro di “studio” svolto.

Il Municipio di Savignano (foto del 6 marzo 2010)
[1] Il secondo documento di cui si compone lo Studio di fattibilità (dopo l’Analisi socio-economica: vedi) riguarda la Mappatura dei servizi/funzioni e individuazione delle modalità organizzative. Si tratta di 19 pagine (slide). Si tratta, in sintesi, dell’analisi “della situazione attuale in termini di servizi, assetti organizzativi e personale” presupposto necessario per la formulazione di proposte di riorganizzazione istituzionale. Cosa ci dice questo documento? Le informazioni presentate sarebbero in realtà interessanti se solo l’équipe Nomisma-MIPA fosse in grado di valorizzarle. Sia i dati relativi al personale che quelli di bilancio evidenziano l’importanza dell’Unione Terre di Castelli, ovvero della gestione associata dei servizi. Già oggi. Nel complesso, tra comuni e Unione, sono impiegate 589 unità di personale. Sul totale il personale dell’Unione incide per il 44,5% (262 su 589). Sul totale delle spese correnti (circa 121,5 milioni di euro) l’Unione incide per il 41% (49,6 milioni di euro). Insomma la gestione associata dei servizi non è questione di facciata: l’Unione ha più del 40% del personale e della spesa corrente degli enti locali del territorio. E’ un dato che testimonia di un livello avanzato di gestione associata dei servizi. L’eventuale comune fuso non partirebbe dunque da zero o quasi (come invece accaduto nel caso della Valsamoggia: vedi). Buona parte del lavoro di costruzione di una gestione unitaria è già stato fatto. Ma queste conclusioni non le trovate nel report di Nomisma & soci! Un altro dato minimamente interessante di questa sezione è contenuto a pagina 15. Vignola è il comune che ha la spesa corrente pro-capite più bassa. Il comune di maggiori dimensioni è quello che ha la spesa pro-capite inferiore. Di per sé il dato non vuol dire molto, mancando qualsiasi misurazione dell’output (per intenderci: la spesa pro-capite è più bassa perché il comune è più efficiente o perché eroga meno servizi? Non lo sappiamo. E’ plausibile si tratti della prima, ma è solo un’ipotesi). Ma è un dato che serve perlomeno a spazzare via la bufala spacciata da Bonezzi & soci secondo cui i comuni più efficienti sono quelli con abitanti tra 10 e 20mila abitanti, formulazione che avanzano considerando solo i dati di spesa – un evidente errore metodologico (vedi). Non sta scritto da nessuna parte, ma continuano a ripeterlo – ora sono “smentiti” anche da questi dati (imparassero a leggerli).
[2] Documento numero 3 è quello relativo a Il quadro regolatorio, le norme di incentivazione e gli Schemi degli atti fondamentali. Cosa ci dice? Essenzialmente tre cose, seppure non coordinate tra loro.
- In primo luogo (pp.2-5) l’analisi condotta da Nomisma e MIPA evidenzia l’imponente stock di regolamenti di cui sono dotati i comuni: in tutto 409 regolamenti (Zocca è il comune che ne ha meno, “solo” 28; Savignano quello che ne ha di più, 63). Regolamenti che in parte si sovrappongono a quelli dell’Unione (su materie comunque conferite), che diventano rapidamente obsoleti, che si aggiungono (senza mai eliminare quelli su ambiti sovrapposti). Insomma è banale (ma è vero) che l’approdo ad un comune fuso consentirebbe di meglio razionalizzare la regolamentazione comunale. Ma è un compito che anche in caso di rinuncia alla fusione dovrebbe essere perseguito.
- In secondo luogo il documento riepiloga gli incentivi alla fusione (pp.6-7): contributi straordinari ai comuni fusi sia dallo Stato che dalla Regione per dieci anni. Nel 2016, ad esempio, il comune di Valsamoggia ha avuto un contributo di 2 milioni di euro (è il valore massimo ottenibile – non 1,5 milioni di euro come riportato a pag.6 dello studio). Nell’ipotesi (di scuola) di una fusione a tre Vignola, Marano, Savignano (bilancio complessivo, parte corrente, 28 milioni di euro), 2 milioni di euro aggiuntivi equivalgono ad un +7,1%. Una cifra (ed un incremento) nient’affatto trascurabile. Per farlo apprezzare ai cittadini, però, bisognerebbe avere la capacità di dire per cosa la si vorrebbe impiegare (ovviamente questo spetta agli amministratori, non agli “studiosi”). Insomma, quali aspetti della vita dei cittadini potrebbero migliorare.
- In terzo luogo (pp.8-14) è formulata la proposta di inserire nello statuto del nuovo comune “fuso” l’istituzione dei Municipi. Si prefigura così un’architettura a due livelli: sotto al nuovo comune (nato da fusione) si situano i “municipi”, con l’obiettivo di dare autonomia decisionale ai vecchi ambiti comunali. Purtroppo è una proposta astratta. E’ stata applicata in Valsamoggia (vedi), ma con esiti tutt’altro che soddisfacenti (tanto che in tutti i consigli di municipalità le minoranze si sono dimesse ed in due dei cinque municipi non si è approvata la proposta di bilancio di previsione – un mero parere consultivo – per richiamare l’attenzione sul non funzionamento del processo di coinvolgimento delle municipalità). Ma Nomisma & soci si limitano ad una proposta “di scuola”, senza nessuna analisi critica della realtà (funziona? non funziona? può funzionare?). Questa terza parte è completamente da rifare (per qualche suggestione utile che parte da un’analisi critica della “barocca” architettura istituzionale della Valsamoggia: vedi).
[3] Documento numero 4 è quello relativo a Proposta dell’assetto organizzativo, modalità organizzative per le funzione e i servizi pubblici esercitati nel o nei nuovi Comuni e modalità di carattere istituzionale della nuova fusione in rapporto all’Unione. Solo una pagina su 13 (è pag. 4) è dedicata all’ipotesi di “rafforzamento” dell’Unione Terre di Castelli (come alternativa alla fusione). In sostanza si propone di conferire all’Unione (ovvero di gestire in forma associata) ulteriori due “settori”: i servizi economici e finanziari/tributi (ad oggi il servizio tributi è gestito in forma associata da tre comuni: Vignola, Savignano e Marano) ed i “servizi tecnici” (ufficio tecnico, territorio, viabilità, SUAP, ecc.). Ma è una proposta priva di argomentazione. Ai comuni rimarrebbe l’area Affari generali e Amministrazione. In ogni caso Nomisma e MIPA non prendono sul serio il tema del “rafforzamento”, che non significa solo conferimento all’Unione di nuove funzioni o servizi (aspetto più banale), ma anche una riflessione su possibili interventi di “ingegneria istituzionale” per rafforzare il ruolo dei consigli (consigli comunali e consiglio dell’Unione) e per ridurre i rischi di stallo che derivano da una maggiore eterogeneità territoriale e politica dell’Unione (vedi). La maggior parte del documento, dunque, è dedicato all’ipotesi fusione (una o più fusioni degli attuali comuni). Ma con un procedere a zig zag, senza una visione sistematica e di forte argomentazione.
Il nucleo forte di questa parte è la stima delle variazioni che, a parità di servizi, riguarderebbe le unità di personale dei comuni nell’ipotesi di fusione. Ma se il tema è “forte”, la metodologia è “debole”, visto che Nomisma & soci continua ad utilizzare un benchmark nazionale (ovvero valori medi di ambito nazionale, ovvero in larga parte riferiti ad aree territoriali con enti locali meno generosi di servizi e meno efficienti dei comuni di questa parte dell’Emilia). Il tentativo di “integrare” il benchmark nazionale con un benchmark Valsamoggia è maldestro, non tiene conto infatti del livello assai basso di gestione associata che i comuni della Valsamoggia avevano prima di procedere alla fusione: i trasferimenti all’Unione dei comuni incidevano per il 15% della spesa corrente, contro il quasi 50% dei trasferimenti all’Unione Terre di Castelli – a riprova che da noi la “razionalizzazione” è in gran parte già avvenuta e dunque non ci si può attendere il salto di efficienza (forse) intervenuto in Valsamoggia. Insomma, una metodologia fragile che produce esiti controversi.
Ma non è tutto. A pag. 9 si cita come riferimento la legge regionale della Toscana (che evidentemente non ha alcun valore nella nostra realtà). A pag. 10 ci sono considerazioni interessanti, con funzione – per così dire – “motivazionale”. Si dice che la “dimensione” dell’ente locale è importante: un comune grande ha maggiore “potere” nel rapporto con il centro regionale (si fa però riferimento alla “formazione della città metropolitana” che riguarda però la provincia bolognese, non quella modenese! – frutto di un “copia e incolla” sbagliato?). Questo è vero. Ma cosa significa, in concreto, che la dimensione conta? Se le risorse sono distribuite tramite bando conta la qualità dei progetti, non il “peso politico” – oppure no? Dove “si conta” maggiormente, dunque? Ed in che modo? Per quale meccanismo? Sono domande a cui deve essere data una risposta puntuale (che invece non c’è). Mancano ugualmente argomenti convincenti e prove empiriche al tema “risparmi” del comune fuso. Strabiliante, poi, è la trattazione del tema “maggiore soddisfazione della funzione di preferenza dei cittadini”. Ma come fanno ad inferire qualcosa su questo? Il testo rimanda alla sezione “altre esperienze di fusione” (si tratta del documento numero 7, ce ne occuperemo successivamente) dove però non c’è nulla che provi (empiricamente) di una maggiore soddisfazione dei cittadini (progetti di fusione sono tanto approvati quanto bocciati dai cittadini – e non è ancora chiaro per quali fattori). Merita una sottolineatura il tema di pagina 12, ovvero la nuova architettura conseguente alla fusione di comuni, visto che anche i nuovi comuni fusi avranno “sopra di loro” un’Unione di comuni. L’architettura istituzionale dunque non si semplifica, ma piuttosto si complessifica: Unione, Comune fuso, Municipi (sottostanti). Un serio ragionamento sui processi decisionali, ovvero sulla governance per una siffatta architettura, sarebbe interessante oltre che indispensabile. Peccato che non se ne dica nulla (che non sia del tutto generico).

La Rocca di Vignola (foto del 31 marzo 2013)
[4] Anche l’analisi di ulteriori 3 documenti (dei 9 che compongono lo studio di fattibilità – il primo di tali documenti, l’Analisi socio-economica, è valutato qui: vedi) evidenzia che il lavoro svolto da Nomisma e MIPA è di bassa qualità. Una trattazione superficiale che più che un pregiudizio favorevole alla fusione (che pure c’é) evidenzia una fragilità metodologica che rende del tutto discutibili le conclusioni a cui arrivano gli “esperti”.
- Minimizzano i costi a breve termine di una tale “riorganizzazione istituzionale” – significativamente, infatti, non rilevano né controindicazioni, né costi aggiuntivi (spettacolare la minimizzazione delle differenze, in termini di efficienza, tra un back office centralizzato ed un back office necessariamente distribuito sul territorio – cfr. pag.11 del quarto documento).
- L’ipotesi “rafforzamento Unione” non è trattata in modo adeguato, ma è banalizzata (come se si trattasse solo di aggiungere servizi e funzioni a quelli già oggi gestiti in forma associata).
- Anche se è plausibile l’ipotesi di un aumento di efficienza conseguente alla gestione associata e/o alla fusione, non è affatto convincente il metodo utilizzato per stimarla (in termini di riduzione di unità di personale a parità di servizi erogati – né il benchmark nazionale, né il benchmark Valsamoggia sono convincenti, anche se per ragioni diverse).
- Nel caso dell’ipotesi fusione, l’architettura istituzionale prefigurata è davvero frutto di una riflessione superficiale: neppure si è andato a vedere se e come funziona in Valsamoggia (e infatti non funziona).
- Ma soprattutto è debole l’analisi della situazione attuale: la tribolatissima gestione del downsizing degli enti locali. Sarebbe bastato produrre le serie storiche della spesa corrente e del personale degli enti locali del territorio negli ultimi dieci anni. Ed elencare lo stillicidio dei tagli o delle dismissioni dei servizi: dai servizi per l’infanzia (suona ironico il riconoscimento Unicef all’Unione nel momento in cui si tagliano a più riprese i servizi e si rinuncia alla progettazione di nuovi servizi più in sintonia con i tempi di crisi) alle politiche giovanili, dai luoghi della cultura alle mancate politiche di “sviluppo economico”. Eppure questo sarebbe un potente argomento pro-fusione (vedi).
Certo, ad un’équipe di analisti non all’altezza si è aggiunto un committente debole (la giunta dell’Unione), incapace di formulare richieste stringenti (per uno studio di qualità). Inevitabile che il prodotto finale di qualità ne abbia assai poca. Come certificano anche i documenti qui analizzati.

Monumento ai caduti della Grande Guerra, di Luigi Bondioli, davanti al municipio di Vignola (foto del 2 aprile 2010)
PS Qui i tre documenti dello “Studio di fattibilità” sottoposti ad analisi. La Mappatura dei servizi/funzioni e individuazione delle modalità organizzative (pdf). Il quadro regolatorio, le norme di incentivazione e gli Schemi degli atti fondamentali (pdf). La Proposta dell’assetto organizzativo, modalità organizzative per le funzione e i servizi pubblici esercitati nel o nei nuovi Comuni e modalità di carattere istituzionale della nuova fusione in rapporto all’Unione (pdf).
da quanto ho capito leggendo quanto da te pubblicato /premetto che sono ignorante/ mi sono convinta che la spinta alla fusione sia in parte legata ai finanziamenti che verranno erogati ma che se non sono bene usati producono, quando finiscono, grosse difficoltà. Non ho visto un serio confronto sui costi dei vari servizi erogati oggi dai singoli comuni e quelli che saranno con la fusione ed anche sulla efficienza ed efficacia dei singoli servizi . Ho l’ impressione che Vignola abbia poco da guadagnare.
In realtà come ho risposto a Yakko ci sono più motivi per prendere sul serio il tema “fusione dei comuni” (prendere sul serio non significa schierarsi con il sì, ma piuttosto fare un’analisi puntuale dei pro e dei contro): (1) la crescita dimensionale potrebbe liberare risorse (stessi servizi, ma con minore spesa, per via dell’aumento di efficienza) da impiegare in politiche che oggi assolutamente non si è in grado di fare: quelle per lo “sviluppo locale”, così da provare (provare) a contrastare il declino economico; (2) risorse aggiuntive ai comuni “fusi” arrivano dallo stato (il comune di Valsamoggia ha avuto 2 milioni di euro nel 2016) e dalla Regione, per un decennio o poco più. Non è un argomento decisivo, ma neppure trascurabile; (3) la crescita dimensionale consente una migliore specializzazione e di avere dirigenti più competenti (quelli migliori cercano di migrare verso i comuni di maggiori dimensioni per ragioni di carriera e retribuzione), ovvero di governare meglio certi fenomeni che è difficile costringere su scala comunale (dalla pianificazione territoriale alla promozione turistica, ecc.); (4) un comune di maggiori dimensioni ha maggiore peso “politico” sui tavoli provinciali e regionali, quindi più influenza (a parità di altri fattori). Per quanto riguarda la tua obiezione (i “finanziamenti che verranno erogati se non sono bene usati producono, quando finiscono, grosse difficoltà”) è meglio correre questo rischio che avere la certezza di NON avere risorse aggiuntive per i dieci anni contemplati. Comunque, la fusione porta benefici (tutti da quantificare), ma comporta anche svantaggi. Anche questi da quantificare. Serve un lavoro puntuale e competente di analisi. Lo studio di Nomisma e MIPA non lo è, purtroppo.