Progetto Portoghesi: anche se si rimescola rimane un cattivo progetto

Marco Franchini, presidente dell’ASP G.Gasparini, vorrebbe convincerci che “il progetto di ristrutturazione della Casa Residenza [ovvero il cosiddetto Progetto Portoghesi: vedi] risponde alla più importante e valorosa delle sfide che la nostra società, sempre più invecchiata, ha davanti”. Ma la retorica della cura dei “nostri anziani” non basta a coprire i cattivi argomenti messi in circolazione a sostegno del progetto. Anzi, ad ogni nuova tornata argomentativa la proposta risulta meno convincente. Vorrei provare – ancora una volta – ad argomentare perché. Replicando a mia volta alla sua replica (vedi). Insomma, capisco che non è politicamente corretto affermarlo, ma il Progetto Portoghesi viene continuamente mescolato, ma il risultato non cambia. Poiché è inserito all’ordine del giorno della commissione non istituzionale sulla sanità prevista a Vignola per lunedì 3 ottobre è bene precisare ulteriormente perché non è affatto convincente.

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Il rendering della nuova Casa Protetta di Vignola realizzato da Paolo Portoghesi.

[1] La nobilissima intenzione di curare con il massimo di attenzione e rispetto, con servizi di qualità, gli anziani non autosufficienti ricoverati nella Casa Protetta di Vignola deve essere perseguita con il massimo di impegno. Su questo siamo d’accordo. Lasciamo per il momento da parte la questione se un edificio moderno dal punto di vista dell’architettura offre un contributo significativo oppure no a questo compito. Prima di intervenire sui muri, ovvero sulla struttura, ci sono molte altre cose che possono essere fatte, anzi che debbono essere fatte (vedi). E che certamente hanno molto più a che fare con la qualità del servizio offerto e dunque sul tipo di esperienza che un anziano ricoverato ha.

  • La capacità di attenzione del personale, ovvero la sua “capacità relazionale”, ovvero capacità e disponibilità all’ascolto, la capacità di empatia e così via. Non c’è alcun nesso automatico, ma ovviamente i “carichi di lavoro” (ovvero il rapporto operatori/utenti, considerando anche la gravità degli utenti) hanno a che fare con la possibilità o meno di curare gli aspetti relazionali.
  • L’investimento in termini di formazione e di empowerment degli operatori (la possibilità di partecipare a definire aspetti dell’organizzazione in cui sono inseriti) sono aspetti importanti. Così come il lato motivazionale. Tutte cose su cui la direzione dell’ASP, se vuole, può intervenire (ricercando una migliore allocazione delle risorse e percorsi di “qualificazione” organizzativa e del personale). Prima di occuparsi dei “muri” bisognerebbe avere la capacità di intervenire su questi aspetti e magari di “misurarli” e di rappresentarne l’andamento in modo pubblico, rassicurando gli utenti, i famigliari, la città sulla qualità del servizio offerto.
  • Mettiamoci anche la tempestività e l’adeguatezza (in termini quantitativi e qualitativi) dell’assistenza sanitaria, degli interventi riabilitativi (dove possibili), ecc. Oppure della capacità di animazione, sia con risorse interne che grazie agli apporti esterni di volontari, associazioni, privati, ecc. Oppure ancora la qualità dei pasti, la flessibilità rispetto alle preferenze o ai tempi di somministrazione, ecc. Tutte cose – lo ribadisco – che possono essere misurate e rendicontate verso l’esterno (un’attività oggi svolta purtroppo in modo povero – come troppo spesso accade con i servizi pubblici). Tutte cose – è evidente – che incidono assai più sulla qualità dell’esperienza del ricovero rispetto alla forma architettonica (non dico certo il decoro, la pulizia, la luminosità, ecc.).

Non sarà l’affidare il progetto di una nuova struttura all’archistar Paolo Portoghesi (o altri) a migliorare questi aspetti. Non sarà la realizzazione di una nuova struttura in modo più sofisticato (od evoluto) dal punto di vista architettonico a migliorare questi aspetti. Dunque, prima di un eventuale (ma non necessario) intervento sui muri si metta in campo un deciso impegno al miglioramento dell’organizzazione e della qualità del servizio!

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Marco Franchini con l’ex-sindaco Daria Denti (foto del 16 giugno 2012)

[2] Già oggi l’ASP G.Gasparini potrebbe intervenire con programmi massicci di miglioramento della qualità. Ciò che serve è alla portata (non servono certo i 5 milioni di euro prospettati per il nuovo edificio Portoghesi). Serve un sistema di rilevazione puntuale degli elementi di qualità e di non qualità. Serve un sistema informativo in grado di elaborare, confrontare, rappresentare. Serve il coinvolgimento stabile, strutturato, degli utenti (quando possibile) o dei loro famigliari e dei cittadini nel controllo della qualità e nel miglioramento dei servizi. Ad esempio tramite metodiche tipo “audit civico” (vedi). Od organismi come i “comitati consultivi misti” (sperimentati in sanità). O cose del genere. E’ dunque davvero stupefacente che il presidente Marco Franchini, da anni a capo dell’ASP, non abbia un lungo elenco di realizzazioni significative su questo fronte da presentare ai cittadini (ed alla committenza, l’Unione Terre di Castelli). Perché per mettere in campo un’organizzazione attenta e “servizievole”, ovvero “empatica”, non servono grandi investimenti. Serve l’investimento di un paziente e continuo lavoro di routine promosso e sostenuto dai vertici dell’ente. Serve dunque crederci per davvero – lasciando perdere la retorica stucchevole. Fino a quando non viene dispiegata tutta l’innovazione organizzativa possibile e tutto il miglioramento della qualità possibile, l’occuparsi dei “muri” è una fuga dal problema vero. Che riguarda appunto risorse umane, organizzazione, coinvolgimento degli utenti (e dei cittadini) nei percorsi di miglioramento della qualità.

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Uno dei rendering realizzati da Paolo Portoghesi per la nuova Casa Protetta di Vignola.

[3] Fatta chiarezza su ciò possiamo occuparci di architettura e di archistar. Che l’architettura abbia a che fare con la rappresentazione dell’autorità e del potere è un fatto testimoniato dalla storia dell’umanità. Più difficile è stabilire un nesso tra forma architettonica ed esperienza (o felicità). Alain de Botton che ha trattato in modo “popolare” il tema Architettura e felicità, ha scritto, sintetizzando affermazioni di altri, che “in effetti ben pochi veneziani sembravano nobilitati dalla loro città, forse la più bella scenografia urbana del mondo” (Guanda, Parma, 2006, p.15). Insomma, affermare che il progetto di un’archistar possa migliorare l’esperienza dei ricoverati in una casa protetta è pura mistificazione. Certo, parafrasando Woody Allen possiamo dire che se è vero che un edificio bello non dà la felicità, figuriamoci uno brutto! Tutto vero. Il problema è però mettersi d’accordo sul concetto di bello. E, soprattutto, fare in modo che questo “accordo” sia condiviso dai 60 ospiti di una struttura residenziale! Perché anche fosse vero – e ribadisco che non lo è – che la forma architettonica costituisce il primo fattore di qualità dell’esperienza di ricovero in una struttura residenziale, è chiaro che ogni utente avrebbe la propria forma architettonica preferita (e plausibilmente diversa da quella degli altri). Per mettere a fuoco il problema basta guardare ad uno dei progetti di edilizia residenziale realizzati da Paolo Portoghesi vicino a noi, la torre per appartamenti in viale della Repubblica a Bologna – tutti d’accordo sul fatto che è bello e che viverci sarebbe piacevole?

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Torre residenziale progettata da Paolo Portoghesi a Bologna, in viale della Repubblica (foto del 6 luglio 2010)

Ovviamente il problema è generale (varrebbe per ogni architetto, anche per il Frank Lloyd Wright della “casa sulla cascata”: vedi). Forse molti utenti preferirebbero una struttura assolutamente tradizionale e assai poco moderna, qualcosa di simile ad una casa colonica o una villetta di campagna, non certo quel parallelepipede sgraziato che si sporge “verso la città” (sic), metafora di una relazione che è da costruire in altro modo! Insomma, garantita funzionalità e decoro si è già al 99% di quanto può offrire l’architettura alla qualità dell’esperienza di una persona non autosufficiente. E qui si aggiunge un ulteriore equivoco, quando Franchini afferma: “E’ doveroso pensare all’ultimo dei luoghi come il migliore dei luoghi possibili. Ecco perché la nostra casa residenza deve divenire un luogo che fa entrare.Di nuovo, non sarà l’elemento architettonico che “farà entrare”, ovvero che attirerà volontari e cittadini. Non sarà l’elemento architettonico a caricarsi del compito di stabilire una relazione tra la struttura e la città. Perché anche un bell’edificio, nel momento in cui è funzionalmente caratterizzato (ricovero di persone non autosufficiente), rischia di non esercitare più alcuna attrazione. E’ invece un tema organizzativo e relazionale ed in quanto tale va affrontato. Con iniziative che portano la città dentro alla struttura. E con apposite soluzioni organizzative: rappresentanti della “società civile” negli organi di rappresentanza della struttura, ad esempio. Anche qui c’è ampio spazio di miglioramento a parità di “muri”.

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[4] L’ultima “mescolata” sul progetto Portoghesi sembra consista nella proposta, fatta al direttore generale dell’Azienda USL di Modena in occasione dell’ultima seduta del Comitato di Distretto, di trasformare la casa protetta in “ospedale di comunità”. Ogni commento è superfluo. A prima vista sembra il tentativo di trovare un finanziatore dell’opera. Al di là di ciò, la conclusione è chiara: l’ipotesi di spendere 5 milioni di euro (o giù di lì) per “ristrutturare” la casa protetta esistente è pura follia. Se necessita di riqualificazione (messa a norma e migliore funzionalità) basta molto meno. E non c’è bisogno di alcuna archistar. Su questo punto gli amministratori locali (che fino ad ora hanno subito il progetto, senza avere il coraggio di dire: no grazie, ciò che serve è altro) dovrebbero uscire dall’ambiguità. Altrimenti toccherà farlo ai cittadini. Ciò che serve davvero – e che però tarda ad essere realizzato – è un diverso sistema di governance, ovvero di indirizzo, controllo, rendicontazione dell’ASP (vedi). Una organizzazione innovativa e che valorizzi il personale che opera nella struttura. Un sistema di controllo della qualità puntuale e trasparente – e che è in grado di coinvolgere utenti e cittadini nel governo del miglioramento. A quando questo “minimo” investimento?

2 Responses to Progetto Portoghesi: anche se si rimescola rimane un cattivo progetto

  1. Andrea Paltrinieri ha detto:

    “Nei luoghi di cura è possibile introdurre una valenza domestica quantomeno nelle relazioni, senza imporre sempre la dimensione ospedaliera in termini – come la descrive Goffman – di ‘istituzione totale’. Ciò significa rendere più elastici gli orari, piegare l’organizzazione – per quello che è possibile – ai desideri di una persona, esattamente come succede quando si propone un menù, quindi un minimo di scelta, al malato e non solo purea di patate o verdura bollita. E’ l’umanizzazione di cui abbiamo bisogno, soprattutto nei momenti più delicati e fragili della vita. L’umanizzazione non viaggia questa volta solo attraverso i colori, ma soprattutto attraverso un cambiamento organizzativo” – è un passaggio di un libro sul nesso architettura-felicità. Dove abitano le emozioni. La felicità e i luoghi in cui viviamo, Einaudi, Torino, 2007 (autori sono Mario Botta, architetto, e Paolo Crepet, psichiatra):
    http://www.einaudi.it/libri/libro/paolo-crepet-mario-botta-giuseppe-zois/dove-abitano-le-emozioni/978880619016
    La citazione è a pag.157 (a parlare è Paolo Crepet). Insomma, ci arriva anche Crepet: gli aspetti organizzativi (ed in essi la dimensione relazionale) contano assai più delle architetture. Allora iniziamo a misurare la qualità dell’assistenza agli anziani ospiti da QUESTI aspetti, poi a riferirne pubblicamente ed a coinvolgere i rappresentanti degli utenti in queste attività di controllo e miglioramento della qualità.

  2. Diana Garofani Manzini ha detto:

    Sono già anziana, ho da sempre dovuto accudire degli anziani e tuttora continuo a farlo, penso di conoscere bene il problema: – senza aggiungere altro sottoscrivo totalmente l’ esatta disamina che hai fatto sull’argomento..
    (A parte che un anziano, secondo me, solo al vedere “quella specie di alta mano protesa verso l’esterno come a chiamarlo dentro” prende subito paura).
    Mi raccomando controlla gli archistar che spesso fanno disastri!.
    Grazie

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