
Manca l’asta del labaro che Cristo regge scendendo nel Limbo. Senza di questa il drappo con la croce fluttua nell’aria! (foto del 30 luglio 2016)
Per i vignolesi è talmente familiare da risultare assai poco “conosciuta”, pur essendo una tra le più importanti espressioni della pittura tardogotica emiliana. Il riferimento è alla Cappella Contrari (vedi), la cappella fatta edificare da Uguccione Contrari, signore di Vignola (amico e “vassallo” di Nicolò III d’Este), nell’ambito della riedificazione della Rocca nei primi anni del ‘400. Ma se questo succede è anche perché turisti e visitatori non trovano un adeguato “apparato informativo” volto alla sua “fruizione” e conoscenza (speriamo che al più presto la Fondazione di Vignola prenda sul serio il tema). Basti considerare che al bookshop della Rocca si trova in vendita solo il volume da 70 euro edito da Jaca Book, inaccessibile ai più (e che invece un piccolo opuscolo del 2011 – per quanto limitato alle fonti letterarie dell’iconografia – non è messo a disposizione dei visitatori; qui il pdf). Pochi sanno, ad esempio, che il cantiere venne abbandonato lasciando il ciclo pittorico incompiuto (una volta interrotti i lavori per un motivo che non conosciamo, Uguccione non intese comunque riprenderli). Pochi “vedono” le parti mancanti quando guardano gli affreschi. E senza una guida adeguata è molto difficile “leggere” gli affreschi, ovvero intendere il senso di quelle immagini.

Raffigurazione della Pentecoste. L’affresco risulta chiaramente non completato nella fascia inferiore (foto del 3 marzo 2016)
[1] Non sappiamo chi è l’autore degli affreschi – per questo ancora oggi è identificato come “Maestro di Vignola”. Né sappiamo con certezza quando la cappella venne affrescata. Certo, ci sono ipotesi abbastanza plausibili per l’uno e l’altro problema. Andrea Barbieri ritiene che l’autore possa essere Giovanni da Modena da giovane. Ovvero Giovanni di Pietro Faloppi (1379-1454/55), “indiscusso caposcuola” della pittura bolognese almeno dai primi anni Dieci del ‘400 (vedi). Ma ipotizza gli affreschi attorno al 1404 – poco plausibile visto che i lavori di ampliamento della Rocca (nel cui ambito venne realizzata la cappella) ebbero termine tra 1419 e 1420. Gli affreschi debbono pertanto essere successivi a questa data. Ma, sembra, entro gli anni Venti del ‘400. Insomma, “tutto sembra far convergere verso una data sul 1425 o poco dopo” (Benati, p.83). Daniele Benati, invece, considera il Maestro di Vignola “legato a Michele dai Carri” (documentato a Ferrara tra il 1405 e il 1441 e autore degli affreschi della cappella di S.Martino nella chiesa della Sagra a Carpi: vedi), “anche se sembrerebbe trattarsi di un artista più giovane. Il suo nome potrà dunque essere cercato tra le personalità in rapporto con Michele” (Benati, p.75; al proposito avanza l’ipotesi di Simone di Paolo dalla Gabella, artista “senza opere” documentato tra il 1424 e il 1458). Sappiamo comunque che l’intero ciclo pittorico venne realizzato in circa 56 giornate lavorative (70 giorni considerando anche i giorni di festa che nel medioevo non mancavano), da un capomastro e due aiutanti (non a tempo pieno) (si veda il saggio di Bruno Zanardi nel volume curato da Benati e Vandelli).

Lo scudo su cui dorme il soldato al centro della scena non è completato. Doveva essere ricoperto con una lamina di stagno (foto del 30 luglio 2016)
[2] Gli affreschi non vennero completati. Lo si vede assai bene guardando la parete che contiene la porta di accesso: la parte inferiore della lunetta dove è raffigurata la Pentecoste non è completata. Anche il grande scudo circolare su cui è addormentato uno dei soldati della Resurrezione è incompleto: doveva essere ricoperto da una lamina di stagno. Nella parte lasciata scoperta si vede ancora il disegno preparatorio (sinopia) tracciato sull’intonachino. Ma anche tutta la superficie delle pareti sottostanti doveva essere affrescata – è stata preparata per questo, ma il cantiere si è interrotto prima. Disponiamo comunque di un’ipotesi circa le scene completamente mancanti: “mentre le lunette riportano eventi post mortem di Cristo e della Vergine, le scene mancanti delle sottostanti pareti dovevano ospitare scene della vita di Cristo” (Massacesi, p.93), plausibilmente Battesimo o Flagellazione, andata al Calvario, Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto e altro (per una ipotesi del ciclo pittorico completo si veda il saggio di Fabio Massacesi, sempre nel libro curato da Benati e Vandelli). Mentre è probabile che la Crocifissione dovesse trovare posto in nella tavola d’altare. Ma c’è anche un ulteriore elemento mancante: l’asta del labaro che il Cristo che scende nel Limbo dovrebbe tenere con la mano destra. Senza l’asta il drappo bianco con la croce rossa risulta fluttuante nell’aria!

Cristo esce dal sarcofago impugnando il labaro crucifero nella scena della Resurrezione (foto del 30 luglio 2016)
[3] La narrazione pittorica prende il via dalla parete nord, quella a sinistra di chi entra. Qui sono raffigurati due episodi: la Resurrezione e la Discesa nel Limbo. Nel primo Cristo fuoriesce dal sarcofago con il labaro crucifero, lo stendardo, in mano. A lato del sarcofago vi sono cinque guardie addormentate. Nel secondo, Cristo accompagnato dal buon ladrone Disma (che porta la croce) libera i progenitori (Adamo ed Eva) e altri defunti dalla segregazione a cui erano costretti dall’essere vissuti prima della rivelazione (fonte letteraria dell’iconografia è un passo del Vangelo apocrifo di Nicodemo). Cristo è raffigurato calpestare la porta del Limbo che ha appena scardinato e sotto la quale giace schiacciato il demonio (con le chiavi del portone legate al polso). Di fronte alla porta d’ingresso, invece, sta la raffigurazione dell’Ascensione di Cristo al cielo (del Cristo si scorge solo la parte inferiore del corpo). Il copricapo degli osservatori sulla sinistra li identifica come ebrei. Ai lati del gruppo due figure vestite in bianco indicano l’avvenimento (come narrato negli Atti degli Apostoli). La parete alla destra dell’ingresso, invece, contiene ancora due scene: l’Assunzione della Vergine in cielo e la Consegna della cintola della Madonna all’apostolo Tommaso. Nella prima, “Cristo raffigurato in cielo all’interno di una mandorla circondata da angeli musicanti vestiti di bianco, secondo un’iconografia medioevale, raccoglie in grembo l’anima della madre, raffigurata in tarda età.” (Massacesi, p.90) Attorno stanno tutti gli apostoli, anche quelli già morti, riportati in vita per l’occasione dallo Spirito Santo. La quarta parete, quella della porta d’ingresso, raffigura la Pentecoste, ovvero la discesa dello Spirito Santo su Maria e sugli apostoli radunati all’interno di un tempietto ottagonale (con evidenti richiami alla Pentecoste dipinta nel 1397 da Jacopo da Verona in San Michele a Padova – come fa notare Andrea Barbieri, p.41).

Sulla destra l’affresco della Pentecoste realizzato da Jacopo da Verona nel 1397 nella chiesa di San Michele a Padova (immagine tratta da internet)
La volta della cappella è quadripartita da costoloni dipinti – ogni spicchio contiene due raffigurazioni accostate: “ai quattro evangelisti [ciascuno identificabile per quanto si trova scritto nel cartiglio corrispondente] si affiancano non i dottori della Chiesa, com’era usuale tra XIII e XIV secolo, ma particolari figure-simbolo, diverse anche da quelle che in genere servono a identificare gli evangelisti” (l’angelo, il bue, il leone, l’aquila) (Massacesi, p.91). Qui troviamo invece singolari figure-simbolo: una testa tricefala (Cristo tricefalo, Trinità) sulla sommità di un albero è abbinata a Giovanni; l’agnello mistico sull’altare abbinato a Luca; il Cristo risorto con labaro crucifero abbinato a Marco; Gesù bambino nella mangiatoia abbinato a Matteo.
[4] Non si tratta di immagini usuali nella pittura tardogotica o rinascimentale. Il Cristo tricefalo non è un’immagine ricorrente. Più tardi (nel 1628) la raffigurazione di Cristo con tre teste fu giudicata eretica e quindi vietata da Papa Urbano VIII. Un’immagine simile è visibile nelle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna (risalente al 1540-1560 e di un pittore sconosciuto). Ugualmente non corrente è l’immagine dell’agnello mistico, ovvero l’agnello posto sopra l’altare (e nel nostro caso avvolto da fiamme) a simboleggiare il sacrificio del Cristo.
Non usuale è anche il bambin Gesù nella mangiatoia, sia per la tipologia di mangiatoia (esiste una più tarda miniatura – 1450 circa – attribuita a Mantegna con una mangiatoia di fuscelli intrecciati come quella raffigurata qui; cfr. Massacesi, p.93), sia anche per il lenzuolo che ricopre il bambino (che di norma è invece raffigurato nudo o avvolto in fasce o al più con una tunica trasparente).

Gesù bambino nella mangiatoia, figura-simbolo abbinata all’evangelista Matteo (foto del 30 luglio 2016)
Insomma, anche l’analisi iconografica sembra promettere risultati interessanti. Nel caso della parete con la Resurrezione e la Discesa nel Limbo i modelli sembrano essere individuati in due miniature del 1400 circa (opera di un miniatore ferrarese) del Martirologio dei Battuti Neri (ora alla Fondazione Cini di Venezia), una confraternita ferrarese. Secondo Fabio Massacesi ciò sarebbe testimonianza della “devozione del committente, non immune dal fascino degli ambienti penitenziali”. “Dal testamento redatto da Uguccione Contrari nel 1423 si evince il suo profondo legame con l’ordine domenicano, tanto da farsi terziario e da lasciare disposizione di essere seppellito nella chiesa di S.Domenico a Ferrara” (Massacesi, p.96).

Due miniature dal Martirologio dei Battuti Neri, confraternita di Ferrara (1400 circa). E’ evidente la similitudine iconografica con le due corrispondenti scene (Resurrezione e Discesa al Limbo) degli affreschi vignolesi (immagini tratte dal libro curato da Benati e Vandelli).
[5] Il ciclo pittorico mette in immagini “una sorta di «trattato teologico cattolico» incentrato sulla figura di Maria protagonista del piano di salvezza e mediatrice di grazia” (Massacesi, p.86); “non voleva essere una descrizione per figura delle sacre scritture, ma piuttosto un commento figurato di queste” (Massacesi, p.97). Inoltre si tratta di un ciclo pittorico che presuppone un fruitore colto: letterati, persone culturalmente sofisticate (è Benati che parla dello “spessore intellettuale di Uguccione Contrari”: p.64). In questo l’iconografia differisce da quella più “popolare” che si trova di solito nelle chiese (accessibili a tutti). Risulta evidente, cioè, “la destinazione aristocratica della cappella e la sua funzione ad usum sectatoris, ovvero per quei pochi che sapevano leggere e possedevano una cultura religiosa sufficiente a sciogliere le citazioni e a correlarle alle immagini” (Massacesi, p.92). L’intero ciclo enfatizzerebbe la funzione mediatrice della Vergine Maria per la salvezza: “come Tommaso [che riceve la cintola dalla Vergine Maria], anche Uguccione usufruisce della benedizione della Vergine che garantirà la sua salvezza nel giorno del Giudizio.” (Massacesi, p.97) Ma anche la singolare presenza del “ladrone buono” è stata rimarcata: “Che il tema sia la redenzione e che questa sia vista in termini di penitenza [o forse, meglio, di pentimento anche solo un istante prima di morire – come capitò ad uno dei due ladroni in croce di fianco a Gesù] lo dimostra la figura, nient’affatto comune in contesti come quello qui rappresentato, del ladrone buono al seguito di Gesù nella discesa all’Inferno” (Barbieri, p.29).
[6] Pur in presenza di qualche incertezza interpretativa, della non definitiva risoluzione del problema dell’autore ed in attesa di una compiuta indagine iconografica vi è comunque già abbastanza materiale per raccontare qualcosa di più al visitatore della Cappella Contrari, sia questo un turista o un cittadino di Vignola curioso della storia della propria comunità. La ricchezza di questa vicenda merita un po’ di investimenti in strumenti di comunicazione affinché possa essere meglio raccontata (e dunque compresa da chi la visita). E’ un compito che la Fondazione di Vignola dovrebbe affrontare al più presto.

Cristo sceso nel Limbo afferra Adamo (con Eva al fianco). In primo piano il diavolo rimasto schiacciato sotto alle porte. Si notino le chiavi legate al polso (foto del 3 marzo 2016)
PS Gli affreschi della Cappella Contrari sono stati a lungo trascurati dagli esperti, ma per fortuna da trent’anni a questa parte non è più così. Gli affreschi di Vignola sono entrati “stabilmente nel novero dei fatti emergenti del tardogotico emiliano” – così osserva lo storico dell’arte del trecento e quattrocento Daniele Benati (p.64) che a più riprese se ne è occupato. Riferimenti: Benati D., Vandelli V. (a cura di), La cappella Contrari nella Rocca di Vignola, Jaca Book, Milano, 2007 (vedi) – volume promosso dalla Fondazione di Vignola. Il volume può essere acquistato al bookshop della Rocca per 70 euro oppure scontato su Amazon (vedi). Barbieri A., Gli affreschi di Vignola e il loro autore, pubblicato da Vilmy Montanari, Casalgrande (RE), 2007. Il Centro di documentazione della Fondazione di Vignola ha inoltre realizzato l’opuscolo: Immagini e verbo. Le fonti letterarie dell’iconografia della Cappella Contrari, febbraio 2011 (disponibile in pdf).