La diagnosi è ampiamente condivisa. Diversi sindaci lo pensano. Lo stesso molti degli attuali consiglieri dell’Unione Terre di Castelli. Ex-amministratori concordano. L’Unione Terre di Castelli sta passando un grave momento di difficoltà (vedi). Il peggiore da quando è nata. L’immagine della “palude” – un terreno su cui si avanza, se si avanza, con grande difficoltà – vuole richiamare la difficoltà a prendere decisioni, ad affrontare progetti impegnativi, a mettere in agenda progetti di cui questo territorio avrebbe un grande bisogno (uno su tutti: interventi per lo “sviluppo locale”: vedi) ma di cui neppure percepisce l’urgenza. Circa un anno fa il sindaco di Castelnuovo Carlo Bruzzi chiese un “tagliando” sull’accordo che aveva portato il civico Mauro Smeraldi alla presidenza dell’Unione (vedi). Non se n’è fatto nulla. La vicenda della Polizia Municipale, il tira-e-molla sull’ASP, il PSC perso nelle nebbie, una progettazione culturale e turistica di territorio che non riesce a decollare – sono le manifestazioni di questa fase di stallo. Oggi evidente a tutti. Ed esplosa ulteriormente con il voto sul bilancio di previsione 2016 (vedi). Un’istituzione zoppa, dunque. Che determina di fatto un arretramento di questo territorio – mentre altri territori e soprattutto altre città risultano molto più dinamici. In questa condizione di depressione istituzionale la giunta ha data “rassicurazioni” ai due gruppi consiliari che in futuro ci sarà maggiore coinvolgimento. Il consigliere M5S Filippo Gianaroli, a sua volta, ha proposto un paio di modifiche al Regolamento del consiglio (turni di parola organizzati diversamente; differenza fra interrogazione ed interpellanza). Poi è calato il sipario. Insomma, la montagna ha partorito il topolino! Né le promesse fatte oggi per un futuro lontano, né un ritocco al funzionamento del consiglio dell’Unione sono sufficienti ad attutire il disagio istituzionale. Men che meno a rimettere l’Unione in carreggiata, portandola fuori dall’attuale “palude”. Serve altro.
[1] Diversamente da quanto affermato dal testo unico sugli enti locali il baricentro del potere – anche quello di “indirizzo” politico-programmatico – sta dalla parte degli organi esecutivi e dei sindaci, non da quello delle assemblee elettive (i consigli). E’ un dato di fatto e ci sono ragioni “strutturali” per questo. Non basta dunque invocare il Testo Unico degli Enti Locali per cambiare le cose (lo dico innanzitutto a Filippo Gianaroli). Lamentarsi è l’esercizio di chi non è in grado di esercitare il potere (ed è quanto fanno, a volte, i consiglieri comunali). Ma il potere non lo si invoca, lo si esercita. In ogni caso di norma il “dispositivo” funziona: sindaci e giunte affrontano i temi in agenda, prendono decisioni, fanno dunque cose. Non è più così da tempo per l’Unione Terre di Castelli. La crisi economica richiederebbe nuovi progetti pur a fronte di una ridotta capacità di spesa. Tirare a campare significa arretrare. Questa è oggi la condizione dell’Unione (vedi). Ma la giunta da sola non è in grado di uscire da questa “palude”. Per questo occorre una “spinta gentile”. Non essendoci la possibilità di cambiare le persone nella giunta dell’Unione (alla ricerca di una leadership più avanzata e di un gruppo più coeso) occorre lavorare sulle istituzioni: responsiveness e accountability sono le parole chiave della necessaria innovazione. Capacità di “rispondere” ai bisogni della comunità. E capacità di “rendere conto” di quanto operato. Bisogna manovrare leve per migliorare il funzionamento dell’Unione su entrambi i fronti. Spingendo, per così dire, la giunta a dare il meglio di sé. D’altro canto la “strana situazione” dell’Unione, con solo due gruppi consiliari, entrambi a sostegno dell’esecutivo (e dunque entrambi parte della maggioranza: vedi), offre al consiglio l’opportunità di un ruolo più incisivo – sfuggendo alla ritualizzazione dei ruoli di maggioranza e minoranza. Ma serve qualcuno che guidi i due gruppi consiliari verso un ruolo più attivo, di sostegno e sollecitazione all’esecutivo. Fino ad ora non è stato così. Spostare il baricentro del potere di “indirizzo” (e di “controllo”) verso il consiglio dell’Unione, verso i consigli comunali, dunque anche verso i cittadini. Oggi il modo migliore per aiutare la giunta è questo. Oggi il modo migliore per aiutare l’Unione è questo.
[2] Dopo alcuni mesi di “guerra di posizione” sulla gestione associata della polizia municipale infine un accordo è stato raggiunto, scongiurando l’uscita del comune di Vignola (vedi). E’ stato adottato un nuovo modello organizzativo, frutto di un compromesso. E’ cambiato qualcosa nel servizio, nella sua performance, nella percezione che di esso hanno i cittadini? Nessuno nell’Unione ha oggi una risposta. Non la giunta, non il consiglio. Non lo possono di certo sapere i cittadini, che pure hanno assistito sbigottiti (ed incapaci di comprendere) ad una estenuante guerra di posizione condotta sulla stampa locale (certo i cittadini un’impressione ce l’hanno: non è cambiato nulla!). Tutto questo è sconcertante. Allo stesso modo dopo due anni di tira-e-molla sull’ASP (scioglimento e trasferimento dei servizi nell’Unione? mantenimento?) il consiglio dell’Unione non dispone di un documento che è uno che analizzi i pro ed i contro delle diverse opzioni sul campo. Un esempio perfetto dell’incapacità del consiglio dell’Unione di esercitare quel potere che la legge gli assegnerebbe: il potere di indirizzo. Fossi un consigliere dell’Unione mi sentirei turbato da questa impotenza (accettata, peraltro, con rassegnazione più o meno grande). Un consiglio incapace di partecipare (almeno) alla definizione degli indirizzi politico-programmatici è un consiglio inutile. Ugualmente inutile è un consiglio incapace di esercitare il benché minimo potere di “controllo” (funziona o meno il corpo unificato della Polizia Municipale nel nuovo assetto organizzativo?). E se questa è la situazione del consiglio dell’Unione (verso l’Unione), figurarsi quella che può essere la situazione dei consigli comunali verso l’Unione (di cui in effetti non sanno nulla di concreto – si “limitano” però ogni anno a deliberare il trasferimento all’Unione di oltre il 50% della spesa corrente!).
[3] “Ulisse giunge sull’isola delle sirene dove ordina ai suoi compagni di tapparsi le orecchie con la cera e di legarlo all’albero maestro della nave, in modo che potesse sentire il loro canto e non essere attratto dal loro richiamo.” E’ Jon Elster che ha tradotto la vicenda leggendaria di Ulisse in un insegnamento per la riforma istituzionale (vedi). L’intelligenza delle istituzioni starebbe, per così dire, nel “vincolo” (legare Ulisse all’albero). O, meglio, in ciò che quel vincolo consente di guadagnare. Così come solo legandosi Ulisse può ascoltare le Sirene senza caderne vittima, è solo “legandosi” tramite norme (fissate nello statuto e poi applicate nella quotidianità) che l’Unione acquista una chance di una performance migliore. Il vincolo dischiude nuove opportunità. E’ vincolandosi alla “trasparenza”, ovvero ad una misurazione della performance resa continuamente accessibile al pubblico dei cittadini, ovvero ad una vera rendicontazione, che l’Unione può essere davvero spinta a migliorare la propria capacità di dare servizi e fare politiche per le comunità di riferimento. Così come è vincolandosi ad un dibattito pubblico (meglio se allargato anche a pezzi di società civile – è la formula dell’istruttoria pubblica: vedi), dove il libero gioco degli argomenti e della critica può filtrare le “buone ragioni” su cui si formano gli orientamenti decisionali, che aumenta le chances di prendere buone decisioni. E’ solo se il consiglio dell’Unione sarà in grado di portare tutta l’amministrazione a nuove routines istituzionali (sulle modalità decisionali e sulle rendicontazione) che potrà davvero aiutare l’Unione Terre di Castelli in questo drammatico momento di “impotenza”. Insomma, non basta né la promessa di un migliore coinvolgimento (sic), né un paio di modifiche al regolamento del consiglio dell’Unione. Serve invece impostare un programma di lavoro sul funzionamento routinario dell’istituzione, ovvero del circuito giunta-consiglio-consigli comunali-cittadini (e viceversa). Un lavoro non breve (non di poche settimane, ma di diversi mesi, forse più di un anno) – ma il tempo necessario non deve essere una scusa per non farlo.
[4] Cosa significa ciò in pratica? Ecco alcune “suggestioni”.
- Rendere conto, rendere conto, rendere conto. Nel 2009 lo Statuto dell’Unione Terre di Castelli veniva modificato. Tra le innovazioni l’introduzione di uno specifico documento di rendicontazione: il Bilancio di Missione. “L’Unione adotta il Bilancio di Missione come documento annuale di rendicontazione della propria attività amministrativa e di verifica del raggiungimento degli obiettivi assunti in sede di Bilancio di previsione. Il Bilancio di Missione viene presentato al Consiglio dell’Unione ed alla cittadinanza contestualmente al Bilancio consuntivo.” (art.28, comma 3 dello Statuto) Da allora la norma è rimasta inapplicata. Ma il consiglio risulta così privo (e con esso i consigli comunali ed i cittadini) di uno strumento per conoscere come le risorse del bilancio dell’Unione si traducono in servizi per i cittadini ed in politiche per il territorio. Va dunque finalmente implementato il bilancio di missione con l’obiettivo di redigere la prima edizione, quello relativo all’annualità 2016, da presentare pubblicamente nella primavera 2017. Avvertenza: per evitare che diventi l’ennesimo strumento di marketing dell’amministrazione (l’esperienza vignolese insegna: vedi) è bene che dei contenuti se ne occupi il consiglio, mobilitando le necessarie expertise. Dopo un primo intenso impegno di predisposizione lo strumento deve diventare routine.
- Trasparenza, trasparenza, trasparenza. Non quella del decreto legislativo n.33/2013 relativa all’amministrazione trasparente (è obbligo di legge, dunque ineludibile, ma non tocca la performance delle istituzioni). Ma quella che consente di capire cosa succede sul territorio, cosa “producono” i servizi pubblici, come contribuiscono alla “qualità della vita” dei cittadini dell’Unione. Una infografica mirata a rappresentare quali sono i “problemi” e cosa si sta facendo per affrontarli, dunque quale “performance” dei diversi settori e servizi deve diventare un obbligo routinario di ogni dirigente. Pubblicamente accessibile sul sito web dell’Unione (che andrebbe tra l’altro riorganizzato ponendo al centro questa funzione di informazione a stakeholder e cittadini). Ed aggiornato con periodicità predefinita. Dagli interventi della Polizia Municipale all’attività dei servizi per l’infanzia, dai servizi per la famiglia, per i giovani, per i cittadini stranieri fino al funzionamento di biblioteche, musei, luoghi della cultura. E così via. Senza dimenticare la “trasparenza” su quei servizi la cui gestione è affidata (per legge o per scelta) ad agenzie od aziende specifiche: dai rifiuti alla sanità (vedi).
- Pubblicità, pubblicità, pubblicità. Nel senso di rendere “pubblico”, ovvero accessibile a tutti, ciò che non lo è. Ciò che vive una dimensione di opacità. Troppe arene di formazione degli orientamenti decisionali a servizio dell’amministrazione (ovvero della giunta) non sono oggi pubblicamente accessibili. E’ così per l’assemblea dei soci dell’ASP, per il Comitato di Distretto, ma anche per organismi “consultivi” come la Consulta economica dell’Unione Terre di Castelli. Va aperta una riflessione sul contributo che una diversa impostazione – incentrata su “pubblicità” ed, eventualmente, partecipazione – può dare al miglioramento della performance di queste arene decisionali o di confronto. Davvero PD e civici non possono concordare che l’assemblea dei soci di un’azienda pubblica come l’ASP possa vedere la partecipazione di “rappresentanti dei cittadini” (indipendentemente da come tali figure vengano operazionalizzate)? O bisogna rassegnarsi alla crescita di arene decisionali sottratte allo “sguardo” dei consigli ed alla “pubblicità”, dunque “opache”? Alla possibilità di accompagnare le decisioni che lì vi “maturano” (sic) ad un pubblico dibattito? Perché ad oggi le decisioni in merito al trasferimento del servizio sociale professionale (vedi), allo scioglimento dell’ASP (vedi) ed infine anche al famigerato “Progetto Portoghesi” (vedi) sono state assunte senza un minimo di confronto e dibattito pubblico, all’interno di luoghi decisionali “chiusi”, per ragioni non dichiarate e dunque incomprensibili ai più (vedi).
- Controllo, controllo, controllo. Non solo non è riuscito a svolgere la funzione di “indirizzo” che pure gli assegna la legge. Il consiglio dell’Unione (ma lo stesso potrebbe valere per i singoli consigli comunali) neppure riesce ad esercitare la funzione di “controllo”. Lo testimonia in modo inequivocabile la vicenda della Polizia Municipale. I singoli consiglieri magari hanno fatto il tifo per l’una o per l’altra parte nella lunga “guerra di posizione” (vedi). Ma oggi (che il nuovo modello organizzativo è stato implementato) come ieri (quando la discussione era in corso) il consiglio dell’Unione ricopre semplicemente il ruolo di spettatore di una “rappresentazione teatrale” organizzata da altri. Invece un ruolo un po’ più incisivo potrebbe esercitarlo. Anzi dovrebbe (almeno secondo la legge). Ogni provvedimento importante (es. accordo sulla nuova organizzazione PM) deve vedere già stabilito il momento della verifica: una commissione che chiama la giunta a rendicontare circa il raggiungimento o meno degli obiettivi a 6 mesi, 12 mesi, 2 anni dalla decisione assunta. Per fare ciò basta prevederlo al momento dell’assunzione delle delibere (se di consiglio) oppure con specifiche mozioni se le delibere sono di giunta. Basterebbe inoltre impegnare l’amministrazione a quanto scritto sotto il titolo “trasparenza” per dotare il consiglio delle informazioni necessarie per esercitare questa funzione. Ugualmente potrebbe fare nei confronti degli enti controllati o partecipati (il caso più eclatante è l’ASP) se richiedesse esplicitamente che gli atti di indirizzo che i soci assegnano annualmente siano chiari (ovvero specificati in un atto) e pubblicamente accessibili. Obiettivi chiari e, per quanto possibile, misurabili. Insomma, imparare a “lavorare per dossier” (vedi), seguendo il provvedimento anche dopo la sua adozione: indirizzo-controllo-rendicontazione (eventuale nuovo indirizzo).
- Partecipazione, partecipazione, partecipazione. Tutti si lamentano del fatto che l’Unione “è lontana dai cittadini”. Un mantra che in realtà vuol dire davvero poco – se non che non si sa che pesci pigliare. Eppure lo statuto prevede già oggi il coinvolgimento dei cittadini nella valutazione e miglioramento della qualità dei servizi erogati (leggersi l’articolo 40 – Diritti degli utenti dei servizi). Ampliamente non applicato. Possibile che i due gruppi consiliari, PD e civici, non siano in grado di richiederne l’implementazione? L’applicazione progressiva, ma a tappeto, del fatto che gli utenti “sono al centro”, non le burocrazie? E’ la prima forma necessaria di partecipazione! La seconda consiste nell’apertura dei processi decisionali (almeno sui temi più importanti) ai contributi della “società civile”, del “mondo là fuori”. Le modalità possono essere diverse, in base alle esigenze. Da forme più strutturate (come l’istruttoria pubblica) a quelle più semplici: consiglio comunale in seduta aperta o commissione “aperta” a contributi di esperti e “cittadini competenti”. Un confronto con chi può esprimere punti di vista e pareri che aiutano a prendere decisioni (con queste ultime che rimangono in capo agli organi di rappresentanza). Insomma, ricercare la generazione di “intelligenza collettiva” tramite la partecipazione dei cittadini, delle forze sociali, delle realtà associative. Entrambe queste opzioni sono rilevanti anche perché spingono i cittadini coinvolti ad interessarsi della “cosa pubblica” contrastando in tal modo l’affermarsi della sindrome del “privatismo del cittadino”. Cosa di cui c’è un gran bisogno.
Sono suggestioni, non c’è dubbio. Che richiedono un intenso lavoro di condivisione e poi di implementazione in un modello istituzionale funzionante, con capacità di auto-analisi e dunque di “imparare dai propri errori”, di correggere le cose che non funzionano. Un lavoro di innovazione istituzionale di cui si avvertiva la necessità già dalla passata legislatura (ma i past-president Lamandini e Denti erano in altre faccende affaccendati). Solo che oggi fattori esterni (la crisi economica ed il suo impatto sugli enti locali) ed interni (l’accresciuta eterogeneità territoriale e politica dell’Unione) rendono il bisogno acuto ed il compito non più rinviabile. Altrimenti questa si confermerà come ciò che già appare: la peggiore legislatura dell’Unione Terre di Castelli da quando è stata istituita, nel 2001 (vedi). Ultima suggestione, dunque:
- Resistere, resistere, resistere. Al declino delle istituzioni locali, alla loro irrilevanza ed incapacità, al refrain “tanto la politica non conta niente”. Sarebbe un bel messaggio. In collegamento ideale con le celebrazioni di oggi, 25 aprile.