E’ in vendita da mercoledì 6 aprile. Si tratta della Card Musei Metropolitani di Bologna, ovvero l’abbonamento ai musei della città e dell’area metropolitana, costa 25 euro (20 euro ridotto), vale 12 mesi (vedi). Precisamente: accesso illimitato alle collezioni permanenti (e riduzioni sugli ingressi a quelle temporanee) di 21 musei di Bologna e provincia (musei comunali e del circuito Genus Bononiae: vedi). Per chi come me frequenta Bologna ed i suoi musei, decisamente un affare. Ho fatto l’acquisto il 6 aprile stesso. L’assessore alla cultura Davide Conte (subentrato ad Alberto Ronchi nell’ottobre 2015: vedi) vede l’operazione non solo come un’agevolazione turistica, ma come un elemento della moderna cittadinanza: «Abbiamo voluto approfittare dei 900 anni del Comune di Bologna [vedi] per rendere ancora più accessibile il patrimonio della nostra città. Questa non è semplicemente una tessera sconto, ma un elemento di cittadinanza culturale» (vedi). C’è indubbiamente enfasi in questa affermazione, ma anche del vero. Specie se le istituzioni museali intendono la loro “missione” con dinamismo, come in effetti succede nella realtà bolognese. Non solo luoghi di conservazione ed esposizione di oggetti (come se la “fruizione” culturale venisse di conseguenza in automatico). Ma vere e proprie “imprese” di diffusione di cultura. Davvero un’altra galassia rispetto alla misera realtà dell’Unione Terre di Castelli.

Pelagio Pelagi, Arianna sogna la partenza di Teseo, prima metà XIX secolo, Collezioni comunali d’arte Bologna (foto del 21 febbraio 2016)
L’operazione è stata agevolata dalla costituzione della Città Metropolitana. In effetti, oltre ai 7 musei inglobati nell’Istituzione comunale (Mambo e Museo Morandi, museo archeologico, museo medioevale, museo della musica: vedi, collezioni comunali d’arte, museo del patrimonio industriale, museo del risorgimento) vi sono i 4 di Genus Bononiae (Palazzo Fava, Palazzo Pepoli, Santa Maria della Vita: vedi, San Colombano), altri 3 musei cittadini (museo ebraico, palazzo Poggi, teatro anatomico della biblioteca dell’Archiginnasio) e altri 7 musei nella provincia bolognese (da Imola a San Lazzaro, da Monterenzio a Bentivoglio). Finalmente un progetto innovativo che attrae visitatori verso la rete museale e che cerca di rafforzare una delle dimensioni più deboli della moderna cittadinanza.

Niccolò dell’Arca, Compianto sul Cristo morto (particolare), (1460-1470), in Santa Maria della Vita, uno dei luoghi visitabili con la Card bolognese (foto del 16 gennaio 2016)
Certo, questo specifico progetto è ritagliato su misura per la realtà bolognese – una realtà ricca di musei, esposizioni permanenti spesso integrate con mostre temporanee (è così proprio in questo momento anche al museo medioevale dove da poco si è aperta una mostra temporanea per celebrare i 900 anni del comune di Bologna, 1116-2016: vedi). Ovvero non è detto che sia meccanicamente trasportabile altrove – soprattutto se l’altrove è una realtà di provincia come le “Terre di Castelli”, dotate sì di una rete museale, ma decisamente di bassa qualità (con poche, ma non trascurabili, eccezioni: Rocca di Vignola, Museo dell’Aceto Balsamico Tradizionale a Spilamberto, museo della Terramara a Montale). Tutto il resto è praticamente inguardabile (qui il sito web, non più aggiornato da tempo, della “Muditeca” – che starebbe per Museo Diffuso Terre di Castelli: vedi).

Pier Paolo delle Masegne, Frammenti dell’arca di Giovanni da Legnano (m.1383) (particolare), Museo civico medioevale di Bologna (foto del 5 luglio 2014)
Ed in effetti raramente viene guardato – ovvero non ha visitatori (poche realtà hanno più di 5.000 visitatori l’anno – l’equivalente degli accessi di una settimana in una ordinaria mostra d’arte). Eppure a fronte di questa desolazione la giunta dell’Unione non riesce a partorire un progetto minimamente ambizioso, inchiodando i cittadini di questo territorio ad una realtà museale di stile ottocentesco. Senza risorse, senza idee, senza alcuna capacità di immaginare un moderno allestimento, dunque accomodandosi ad una realtà con impatto culturale di basso profilo. Bisogna allora confidare che i progressi nelle politiche culturali di altre realtà (tra cui certamente questa bolognese) stimolino l’orgoglio (e lo spirito d’imitazione) di amministratori oggi rassegnati a gestire il declino (certo, senza troppo clamore).