Non solo le fusioni di comuni si possono fare, ma effettivamente … si fanno! Domenica 11 ottobre 6 comuni dell’Emilia-Romagna sono stati chiamati al voto per un referendum sulla fusione di comuni. In tutti i comuni coinvolti il sì alla fusione ha ottenuto la maggioranza dei votanti (vedi). Si tratta di Granaglione e Porretta Terme in provincia di Bologna; di Montescudo e Monte Colombo in provincia di Rimini; di Zibello e Polesine Parmense in provincia di Parma. Entro 60 giorni l’Assemblea legislativa delibererà definitivamente sui tre progetti di legge di fusione. Nel giro di pochi mesi i tre nuovi comuni saranno realtà. Ovviamente questo non ipoteca nulla sul “dibattito” in corso nel nostro territorio e per lo studio di fattibilità, in fase di avvio (vedi), sulla “riorganizzazione istituzionale” (fusione di comuni? manutenzione straordinaria dell’Unione?). Però chiarisce due cose: l’assetto istituzionale è in cambiamento (alle province subentrano le “aree vaste”; diversi comuni decidono di aggregarsi); la decisione è già oggi in mano ai cittadini (checché ne dica Omer Bonezzi & soci) e dunque il progetto di fusione procede solo se la maggioranza dei cittadini lo trova convincente. Per questo è di fondamentale importanza fare bene lo “studio di fattibilità”, considerando con il massimo di attenzione i pro ed i contro delle diverse opzioni.

Il perimetro dei nuovi comuni che nasceranno dalle tre fusioni in atto, approvate dai cittadini con referendum l’11 ottobre 2015.
[1] Tre coppie di comuni, in genere di limitate dimensioni (il più grande è Porretta Terme con circa 4.800 abitanti), andranno alla fusione, dando origine a tre nuovi comuni. Parma, Bologna e Rimini sono le province interessate. Nel bolognese sono due comuni dell’alto Appennino a fondersi: Porretta Terme (4.804 residenti; 33.92 km² di superficie) e Granaglione (2.267 residenti; 39.57 km² di superficie). Daranno vita ad un comune di circa 7.000 abitanti e con una superficie di oltre 73 km². Nel parmense sono due piccoli comuni della “bassa” a fondersi: Polesine Parmense (1.465 abitanti; 24,9 km² di superficie) e Zibello (1.837 abitanti; 23,62 km² di superficie). Daranno vita ad un comune di circa 3.300 abitanti e con una superficie di oltre 53 km². In provincia di Rimini, infine, sono due comuni dell’Appennino riminese: Montescudo (3.381 abitanti; 20.25 km² di superficie) e Monte Colombo (3.457 abitanti; 12.1 km² di superficie). Daranno vita ad un comune di circa 6.800 abitanti e con una superficie di oltre 32 km². Differenziata la partecipazione al voto: particolarmente bassa nei comuni del riminese (28-30%), dove però il sì alla fusione ha raggiunto valori particolarmente alti (84,5% a Montescudo) (vedi); attorno al 50% nei comuni del parmense (con il sì alla fusione attestato al 51-52%) (vedi); più differenziati nei comuni bolognesi, con il 64,2% degli elettori partecipanti al voto a Granaglione e il 43,6% a Porretta Terme, ma con affermazione particolarmente alta del sì alla fusione (63,0% a Granaglione e 93,1% a Porretta Terme) (vedi). Insomma, in ciascuno dei comuni coinvolti il “sì alla fusione” esce vincente alla prova del referendum popolare (che è “consultivo” di diritto, ma vincolante di fatto per la Regione Emilia-Romagna: vedi). Tutti e tre i nuovi comuni vedranno dunque la nascita nei prossimi mesi (dopo l’approvazione della corrispondente legge regionale).

Rappresentazione grafica dei referendum dell’11 ottobre 2015: % dei partecipanti al voto e % dei sì espressi per la fusione dei comuni.
[2] I tre nuovi comuni si aggiungono ai cinque nuovi comuni costituiti in Emilia-Romagna nel biennio 2014-2015 (Valsamoggia, Fiscaglia, Sissa Trecasali, Poggio Torriana, Ventasso), in sostituzione di 16 comuni preesistenti. Quando, nell’esprimere soddisfazione per il risultato, l’assessore regionale Emma Petitti afferma che “anche questa volta i cittadini hanno votato a favore del cambiamento: accorpare i Comuni significa avere meno burocrazia, maggiori servizi e di migliore qualità” (vedi) usa certamente dosi di retorica. E’ tuttavia vero che anche questo episodio testimonia che il quadro istituzionale è in via di trasformazione. Non solo per via della sostituzione delle “province” con le “aree vaste” (che per noi significherà, come minimo, l’accorpamento Modena-Ferrara), ma anche per il “movimento dal basso” di fusione di comuni. Quello che è successo con il referendum dell’11 ottobre ha qualche rilevanza per l’Unione Terre di Castelli? Sì e no. Iniziamo dal no – così da sgombrare il tavolo dagli equivoci (che altri invece intendono alimentare: vedi). Non c’è alcun automatismo nel trasferimento dei progetti di fusione (tra l’altro in altri territori il progetto di aggregazione di comuni è stato bocciato dai cittadini al referendum: vedi). Storia e progettualità sono diverse territorio per territorio. Ciò è ugualmente vero per “pro e contro”, per “costi e benefici” di una siffatta operazione. Il fatto che alcuni comuni decidano di fondersi non è di per sé una buona ragione per seguire il loro esempio (con l’eccezione della Valsamoggia, dove il nuovo comune ha 30mila abitanti, i comuni che vanno alla fusione sono in genere comuni di piccole dimensioni, anche se non di piccolissime dimensioni). Ma questi episodi ci dicono anche che le “fusioni di comuni” non sono solo possibili, sono già una realtà (si veda il sito web sulle “fusioni in corso” in Emilia-Romagna: vedi). Nella trasformazione in atto del quadro istituzionale è dunque saggio approfondire anche il tema della “riorganizzazione istituzionale” a livello locale, includendo anche l’ipotesi fusione di comuni (vedi). Per questo è di fondamentale importanza la qualità dello studio di fattibilità a cui diversi comuni dell’Unione Terre di Castelli stanno per mettere mano. E bisogna dire che, una volta tanto, l’impostazione è stata sin qui corretta e lungimirante (diversamente era avvenuto in Valsamoggia: vedi), con la costituzione di una commissione consultiva “paritetica” che aiuti nella definizione del mandato agli esperti di Nomisma e ne accompagni i lavori. Insomma, tutto qui: la “riorganizzazione istituzionale” è comunque una realtà ed ogni amministratore farebbe bene ad includerla nel novero delle possibilità (sapendo, in ogni caso, che la decisione è in mano ai cittadini che si esprimeranno tramite un referendum). Questo è il messaggio.
PS La Regione Emilia-Romagna ha pure istituito un osservatorio sulle fusioni di comuni (vedi).
L’idea mi lascia un po’ perplessa perchè penso che in questa zona siamo fortemente individualisti e sentiamo molto la appartenenza ad un Comune. pensa alle lotte, anche sportive, fra Vignola e Spilamberto e Marano e poi non credo alle economie di scala ed a una buona amministrazione visto come sono andate le cose in questi 60 anni. Vantaggi ce ne saranno ma vedo anche tanti svantaggi.
E’ giusto essere perplessi, avere dubbi. Ma sarebbe un errore non esplorare anche questa possibilità. L’architettura istituzionale sta cambiando (nei prossimi mesi con la “soppressione” delle province) ed è giusto interrogarsi circa l’assetto istituzionale che meglio può garantire gli interessi delle comunità di questo territorio. Il tema delle identità, ovvero del sentimento di appartenenza, va indubbiamente considerato. E di sicuro è uno di quei temi che i cittadini, partecipando al referendum in cui dovranno esprimersi sul progetto (ammesso e non concesso che si arrivi a quel punto), considereranno. Lì ciascuno si esprimerà su cosa ritiene più importante: salvare l’identità comunale o potenziare la capacità politica-amministrativa delle istituzioni pubbliche che sovrintendono alla cura degli interessi locali? Certo, il tema dell’identità va considerato e sarà considerato. I processi di fusione in atto testimoniano però che non si tratta – perlomeno non sempre – di dati di fatto insormontabili. Le identità sono meno rigide di quello che a volte si suppone. Anche nel caso – almeno nel mondo d’oggi – di comuni con 150 anni di storia e di comunità locali identificate su base comunale da diverse centinaia di anni. Una cosa, in ogni caso, è sicura: non è corretto ritenersi più “individualisti” di altri. Penso non sia così, almeno parlando “mediamente” della complessiva popolazione di un territorio. Comunque, ribadisco, mi sembra opportuno non lasciare inesplorata anche l’opzione “fusione dei comuni”. Lo studio di fattibilità serve per chiarirsi le idee, per produrre argomenti (utili per farsi o rafforzarsi convinzioni), analizzare i pro ed i contro delle diverse opzioni, costruire scenari. In una fase di grave debolezza della “capacità strategica” dell’Unione (lo si è visto nella seduta del consiglio dell’Unione di giovedì 22 ottobre) può svolgere una funzione positiva. Anche arrivasse a convincere i più che non ci sono ragioni sufficienti per una più forte integrazione.