Silvia Bolgherini, ricercatrice all’Università di Napoli Federico II (vedi), ha pubblicato un bel libro sulla riforma degli enti locali in atto in tre grandi paesi europei: Italia, Spagna, Germania. Navigando a vista. Governi locali in Europa tra crisi e riforme – questo il titolo (Il Mulino, Bologna, 2015: vedi). Un titolo in un qualche modo riassuntivo delle conclusioni: ciascuno di questi tre paesi sta implementando o progettando riforme degli enti locali (da noi la “strana soppressione” delle Province), ma ciò non avviene né secondo un’unica ricetta, né secondo un solido programma. Anzi, l’intento di razionalizzare l’architettura istituzionale si traduce in interventi differenziati: in Spagna si rafforzano le province; in Italia le province vengono eliminate; in Germania si rafforzano tutti gli enti intermedi, ovvero sia le province, sia le “unioni di comuni”. Comunque le informazioni che il libro offre al lettore, oltre ad alcune sollecitazioni teorico-concettuali (in primis il concetto di “sostenibilità istituzionale”), sono decisamente utili al poco fondato (anche perché molto “inquinato”: vedi) “dibattito” (sic) locale sulla “riorganizzazione istituzionale” (vedi). Non sarebbe male se la Commissione consultiva (vedi) decidesse di sostenere una piccola spesa per dotare ogni commissario di una copia o se, magari, invitasse l’autrice per una “audizione”. Sarebbe la normalità, se davvero la politica avesse ambizioni di apprendimento sui temi che non maneggia con familiarità. Comunque, il libro casca a fagiolo e merita un’attenta lettura.[1] Il movimento verso il decentramento (ovvero verso il rafforzamento dei governi periferici) che ha interessato i principali paesi del mondo occidentale dagli anni ’70 in poi, oggi vive una fase di riflusso. In ogni caso i governi locali si trovano a vivere almeno “tre sfide”:
- sovraccarico (overload) della politica, ovvero delle pretese crescenti verso i decisori politico-amministrativi (chi ha seguito la presentazione vignolese del libro di Matthew Flinders o l’ha letto si ritroverà in questo argomento – vedi – peraltro riecheggiante un topos conservatore degli anni ’70 sulla crisi del welfare state);
- crescente difficoltà finanziaria, accentuata dalla crisi economica in atto dal 2007-2008, ovvero riduzione dei trasferimenti statali, contrazione dei bilanci, conseguente downsizing (vedi);
- ricerca delle dimensioni ottimali del decentramento, ovvero degli enti locali (e pressing per il superamento della “frammentazione territoriale”, ovvero verso l’accorpamento dei comuni di minori dimensioni o verso la ricerca di maggiore efficienza tramite gestioni associate: unioni di comuni, consorzi, ecc.).

Suddivisione territoriale-amministrativa in Italia, Spagna e Germania (2015) (fonte: Silvia Bolgherini, Navigando a vista …, p.65)
[2] Conseguentemente, “trasformazioni anche profonde nel numero, nell’estensione e nel tipo di autorità locali sono quindi diventate oggetto di discussione in molti paesi europei” (p.50). Molto diverso è il punto di partenza nei diversi paesi, innanzitutto per quanto riguarda l’architettura istituzionale, la presenza o meno di enti intermedi (Bulgaria, Cipro e Finlandia non ne hanno, al di sotto del livello statale hanno dunque solo i comuni; altri paesi hanno le province ma non le regioni, ecc.), il numero e le dimensioni dei comuni (il caso limite è la Francia che ha mantenuto un numero elevato di comuni: più di 36mila nel 2011). A livello di Unione Europea il numero medio di abitanti per comune è di circa 5.600 (cap.2). I tre paesi considerati nello studio (Italia, Germania, Spagna) sono tutti articolati in tre livelli al di sotto dello stato: regioni (o Land), province, comuni (con anche ulteriori complessificazioni: enti intermedi di primo grado, ovvero eletti in modo diretto, o di secondo grado, ecc.). Già dagli anni ’60, comunque, si registrano processi di “razionalizzazione”, ad esempio mediante la riduzione del numero dei comuni (tramite processi di aggregazione). In alcuni paesi la riduzione è stata particolarmente forte: Grecia -94%; Danimarca -64%; Germania -25%. Un quadro complessivo che mette a confronto la situazione del 2010 con quella del 1992 e del 1950 è riportata nella tabella seguente (è la tab. n.4 a pag.68 del libro). E’ un dato di fatto che quasi ovunque sono stati “soppressi” comuni (pur registrandosi la vistosa eccezione della Francia che mantiene un numero molto alto di comuni – anche se pure qui il numero complessivo è in diminuzione; oltre alla Spagna che vede invece un piccolo incremento del numero dei comuni sia tra 1992 e 2010, sia tra 2010 e 2015). Insomma, in nessun paese la “fusione di comuni” è un tabù (anche in Spagna ne sono stati “eliminati” 1.132 tra 1950 e 1992).

Evoluzione del numero di comuni in alcuni paesi dell’Unione europea, 1950-2010 (fonte: Silvia Bolgherini, Navigando a vista …, p.68)
[3] La ricerca di maggiore efficienza in una situazione di frammentazione dei comuni è stata spesso cercata promuovendo l’intercomunalità (in Italia le “unioni di comuni”). A marzo 2014 erano 417 le unioni di comuni in Italia e coinvolgevano 2.200 comuni (il 29,0% dei comuni; una percentuale che sale al 73,5% in Sardegna ed al 70,6% in Emilia-Romagna). Enti analoghi esistono anche in Spagna (mancomunidades) ed in Germania (gesamtgemeinden), dove le unioni sono spesso obbligatorie. Province ed unioni di comuni sono “vicini scomodi”, ovvero enti potenzialmente in competizione circa le competenze. Per questo le diverse filosofie delle riforme degli enti locali accentuano in genere uno dei due livelli penalizzando l’altro: in Italia le Province sono destinate a scomparire (anche se sostituite – così almeno in Emilia-Romagna – da “aree vaste” sovra provinciali); in Spagna invece le Province sono state rafforzate. In Germania il quadro è più articolato visto che il riordino degli enti locali è competenza dei Land e non dello stato federale (ma va comunque in direzione di un rafforzamento sia delle Province che delle “unioni”, sottraendo potere ai comuni). In Italia, poi, ha ripreso vigore il processo di fusione di comuni (tra 2013 e 2015 sono nati 31 nuovi comuni dalla fusione di 75 comuni più piccoli – il caso di maggior importanza, dal punto di vista dimensionale, ma non solo, è quello del nuovo comune di Valsamoggia: vedi). Necessità di contenimento della spesa pubblica e di efficientamento degli enti locali guidano in genere queste riforme, soprattutto in Italia e Spagna. In Germania (Brandeburgo) la riforma è invece più di tipo funzionale. Per i comuni è stata individuata una soglia minima di 10mila abitanti e le fusioni volontarie di comuni sono incentivate. L’obiettivo del rafforzamento del livello intermedio tra comuni e regioni (o Land) è perseguito in tutti e tre i paesi, seppure in modo diverso: in Germania puntando sulla convivenza tra province e unioni; in Spagna rafforzando le province; in Italia abolendo le province e rafforzando le unioni (o promuovendo fusioni di comuni) (p.189). Questo “spostamento del baricentro delle funzioni comunali sugli enti intermedi, che diventano i veri gestori delle politiche locali, ha comunque delle ripercussioni sulla prossimità [dei governi locali alle popolazioni]” (p.194). E’ un tema che nell’Unione Terre di Castelli conosciamo bene e per questo, intelligentemente, lo studio di fattibilità a cui si sta lavorando metterà a confronto lo scenario “fusione” con lo scenario “manutenzione dell’Unione”, anche interrogandosi su come fronteggiare questo tema della “legittimazione” (in Brandeburgo, ad esempio, i vertici delle “unioni” sono eletti dai cittadini, un modo per affrontare il tema della legittimazione politica).

Marc Quinn, The Zone (Where time meets place), Fondazione Giorgio Cini, Venezia (foto del 6 agosto 2013)
[4] C’è un tema, trattato nel libro, che ha grande rilevanza per una riflessione sugli enti locali e sulle “dimensioni ottimali” dei comuni. Nel capitolo 4 Silvia Bolgherini cerca di sviluppare e rendere produttivo per l’analisi il concetto di “sostenibilità istituzionale” (sottraendolo innanzitutto da una interpretazione derivante troppo strettamente dall’ambito dello sviluppo sostenibile). Bisogna tuttavia dire che sebbene questa visione risulti particolarmente stimolante il concetto rimane ancora troppo vago per risultare effettivamente utile per ragionare del “dimensionamento ottimale” degli enti locali. La distinzione tra “comune sostenibile” e “comune non sostenibile” risulta infine poco utile visto che nel nostro paese i fenomeni di “fallimento” dei comuni sono praticamente inesistenti. Dunque la dimensione della persistenza, della riproduzione del tempo o dell’auto-riproducibilità sembra essere garantita (se riferita all’istituzione). Sono invece i servizi e le politiche che possono “degradare”, abbassandosi di livello dal punto di vista quantitativo e/o qualitativo. Ed è dunque su questi aspetti che occorrerebbe sviluppare un articolato set di indicatori (già la spesa corrente pro-capite può essere intesa come proxy del livello di efficienza e dunque di performances, seppure con forti cautele: vedi). Questo è un aspetto che meriterebbe davvero un approfondimento e ricerche più estese – un lavoro di analisi che dovrebbe essere svolto sia per aiutare il legislatore nell’opera di riforma degli enti locali (anche se sino ad ora il legislatore si è mosso senza alcuna preoccupazione per l’acquisizione di questo tipo di conoscenze), sia per aiutare le amministrazioni comunali impegnate in percorsi volontaristici di “riorganizzazione istituzionale” (come nel caso dell’Unione Terre di Castelli).

Marc Quinn, The Zone (Where the water falls), Fondazione Giorgio Cini, Venezia (foto del 6 agosto 2013)
[5] Poiché tratta di riforme degli enti locali e poiché offre una panoramica al di là dei confini nazionali il libro meriterebbe di essere sottoposto alla locale Commissione consultiva per lo studio di fattibilità sulla “riorganizzazione istituzionale” (vedi). Se si ritiene eccessivo dotarne di una copia ogni commissario si potrebbe istituire, a disposizione della Commissione, una mini-biblioteca sul tema della riorganizzazione istituzionale, delle fusioni di comuni, delle unioni di comuni, delle province e/o aree vaste, ecc. Così come sarebbe decisamente salutare promuovere una serie di seminari, conferenze pubbliche o anche solo “audizioni” di esperti, figure rappresentative locali, cittadini che avanzano documenti rilevanti sul tema. L’istituzione della Commissione consultiva è stato un primo atto di intelligenza politica (vedi). Nulla vieta di farne un secondo, aprendo i lavori della commissione ad apporti esterni qualificati.
PS Silvia Bogherini ha coordinato, assieme a Gianfranco Baldini, l’équipe di studiosi dell’Istituto Cattaneo di Bologna che ha condotto nel 2007-2008 uno studio comparato su tre unioni di comuni in Emilia-Romagna, tra cui l’Unione Terre di Castelli (vedi).