Jacopo Barozzi e la facciata mancata di San Petronio a Bologna

Il prossimo 27 settembre ci sarà la consegna ufficiale alla città – parliamo di Bologna – dei restauri finora ultimati della basilica di San Petronio (pdf). I marmi ripuliti dallo smog accumulatosi in età moderna hanno riacquistato un bianco bagliore, anche se la maggior parte della facciata della basilica ne è priva visto che non venne mai completata (la “fabbrica”, iniziata nel 1390, venne interrotta nel 1663, 273 anni dopo; da allora sono trascorsi 351 anni). Anche un pezzettino di Vignola partecipa all’evento. O, meglio, del Vignola. Forse non tutti sanno che Jacopo Barozzi detto il Vignola venne infatti nominato nel 1541 architetto capo della basilica con il compito di progettare la facciata e di portarla a compimento. Senza però riuscirvi.

La basilica di San Petronio dopo la prima fase di restauri (foto del 7 agosto 2014)

La basilica di San Petronio dopo la prima fase di restauri (foto del 7 agosto 2014)

[1] Il 2 marzo 1541 Jacopo Barozzi (allora non aveva ancora compiuto 34 anni) venne nominato architetto capo della basilica di San Petronio su proposta del conte Filippo Pepoli, rettore e amministratore della “fabbrica” della basilica (dopo la morte, nel 1401-1402, dell’inzignerius Antonio di Vincenzo che ne aveva realizzato il progetto e guidato il cantiere nei primi dieci anni, la fabbrica di San Petronio ebbe vicende altalenanti: vedi; l’incompletezza della facciata non è il solo segno di un’opera rimasta per diversi aspetti incompiuta). Essendo però impegnato con Francesco Primaticcio nella realizzazione di opere per il re di Francia Francesco I (nella primavera del 1541 è documentata la presenza del pittore Jacques Veignolles a Fontainebleu come co-direttore per la fusione in bronzo di circa dieci statue, attività che prosegue fino al 1543) Barozzi chiese ed ottenne il permesso di posticipare l’assunzione delle sue funzioni a San Petronio. E’ dunque nel settembre 1543 che, rientrato a Bologna, presta giuramento come architetto della basilica di San Pietro. L’incarico di secondo architetto viene affidato a Jacopo Ranuzzi che sino a quel momento era stato architetto capo. Segue un anno di lavori: nel dicembre 1543 Barozzi presenta un’analisi critica dei progetti precedenti e nel 1544 mette a punto la propria proposta.

Jacopo Barozzi, Progetto per la facciata di San Petronio, 1545 (questo ed altri progetti possono essere visti nel Museo di San Petronio, Bologna)

Jacopo Barozzi, Progetto per la facciata di San Petronio, 1544-1545 (questo ed altri progetti possono essere visti nel Museo di San Petronio, Bologna)

Nel gennaio 1545 il conte Filippo Pepoli porta i progetti a Roma per l’approvazione. Nell’agosto di quell’anno è lo stesso Barozzi a presentare il progetto per la facciata a papa Paolo III (nato Alessandro Farnese, è quello del celebre ritratto di Tiziano, del 1543 e del 1545-46 con i due nipoti ed anche quello del Concilio di Trento, da lui convocato proprio nel 1545). L’approvazione però ritarda e nel dicembre 1545 il cardinale Giovanni Morone, legato pontificio di Bologna, organizza una serie di riunioni alla presenza di Giulio Romano che esprime parere positivo sull’opera di Barozzi. Tuttavia, a causa dell’avversione del secondo architetto Jacopo Ranuzzi, Barozzi è costretto a produrre una difesa del progetto che viene presentata l’1 febbraio 1547. A causa della situazione di stallo venutasi a creare Barozzi inizia a ricercare altri lavori in città e fuori. L’1 febbraio 1549 il Senato bolognese gli conferisce la piena cittadinanza, tuttavia, nel luglio dello stesso anno, i fabbricieri di San Petronio iniziano a fare pressioni su di lui affinché lasci l’incarico. Nel novembre 1549, a seguito della morte di Paolo III, finisce anche l’appoggio papale. A maggio 1550, dopo che Barozzi è già partito per Roma (per essere accolto dai Farnese), viene sciolto ogni legame con la fabbrica di San Petronio. Da questo momento in poi, per il resto della sua vita (morirà il 7 luglio 1573), Jacopo Barozzi sarà alle dipendenze della casa Farnese per cui realizzerà le sue opere più belle (es. Palazzo Farnese a Caprarola, in provincia di Viterbo). Per Bologna realizzerà comunque, nel 1564, la facciata per il Portico dei Banchi, voluto per completare il processo di riqualificazione rinascimentale di Piazza Maggiore.

Facciata dei Banchi, progettata da Jacopo Barozzi, in piazza Maggiore a Bologna. Sulla sinistra si vede il Palazzo del Podestà, sulla destra la basilica di San Petronio. La cupola che si vede oltre la facciata dei Banchi è Santa Maria della Vita (foto del 6 dicembre 2011)

Facciata dei Banchi, progettata da Jacopo Barozzi, in piazza Maggiore a Bologna. Sulla sinistra si vede il Palazzo del Podestà, sulla destra la basilica di San Petronio. La cupola che si vede oltre la facciata dei Banchi è Santa Maria della Vita (foto del 6 dicembre 2011)

[2] Jacopo Barozzi è conosciuto come “il Vignola”. Vignola, in effetti, è il luogo dove nacque, l’1 ottobre 1507, e dove visse almeno fino all’età di dieci anni (il trasferimento a Bologna dovrebbe essere avvenuto dopo l’ottobre del 1517, o forse anche dopo il 1519). Recenti indagini hanno consentito di precisare meglio le vicende della famiglia Barozzi a Vignola e, conseguentemente, di Jacopo. Il padre di Jacopo si chiamava Bartolomeo Barozzi ed era originario di Cisaro o Cesaro nella contea di Orta, distretto novarese, Ducato di Milano (corrispondente all’attuale Césara in provincia di Verbania – il paese si trova ad ovest del lago d’Orta), da cui se n’era andato, assieme al fratello Boniforte Barozzi, forse a seguito di disordini civili. I fratelli Barozzi (figli di Giovanni Barozzi che è dunque il nonno di Jacopo) arrivarono a Vignola tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500. Qui si insediarono nel vecchio borgo (il Castelvecchio) dove aprirono una bottega da calzolaio (da qui il soprannome Rebottino che compare in documenti ufficiali e che origina da un vecchio vocabolo del dialetto vignolese e modenese: arbutìn o rebuttin, ovvero ciabattino, calzolaio). Atti notarili, infatti, parlano di una caseta in prossimità della porta principale delle antiche mura medioevali (“una caseta <de> soto el ponte del Castelvechio”, ovvero a ridosso dell’attuale torre dell’orologio) che venne presa “a livello” (una forma d’affitto di lunga durata) dai “maestri Boniforte & Bartolomeo Rebotino fratelli” (i Barozzi risultano anche intestatari di un casamento nella parte nuova di Vignola, il Castel Nuovo). Dopo il 15 maggio 1515 nella caseta, in precedenza usata come frantoio, era stata impiantata “una pellacanaria, ovvero una bottega per la lavorazione dei pellami, e infine era divenuto genericamente un locale ad uso dei figli di Bartolomeo.” (p.57) Inoltre, tra i rogiti del notaio Amorato Roberti “de Tripoli”, attivo in Vignola all’inizio del ‘500, è conservato un contratto, stipulato il 12 ottobre 1517, in cui figura, per la vendita di un terreno coltivato, Bartolomeo “Rebotinus quondam Ioannis d’Orta”, abitante in Vignola. Bartolomeo, padre di Jacopo, ebbe tre figli: Filippo (il maggiore), Guarnerio (di lui sappiamo che di professione fece il pittore e che ebbe due figli: Properzio e Ariodato) e, appunto, Jacopo. Troviamo i tre fratelli (Filippo, Iacopo e Guarnerio Barozzi) citati in una sentenza di condanna dell’11 ottobre 1537. Già nel giugno 1537 Filippo e Guarnerio erano stati condannati ad un’ammenda in denaro, il primo per “uno pugno” ad Andrea Beccarini di Vignola, il secondo per averlo ferito con un coltello alla testa (in questa occasione Jacopo non figura tra i partecipanti alla rissa).

Pianta di Bologna del 1575, nell’affresco nella Sala Bologna in Vaticano (particolare relativo all'area attorno a piazza Maggiore)

Pianta di Bologna del 1575, nell’affresco della Sala Bologna in Vaticano (particolare relativo all’area attorno a piazza Maggiore)

Nel 1541 (nell’anno in cui Jacopo veniva nominato capo architetto di San Petronio) magistro Filippo Barozzi era ancora in vita ed a Vignola “esercitava le professioni di calzolaio (molto probabilmente ereditata dallo zio e dal padre) e di scudellaro, un termine che poteva indicare sia il fabbricante che il commerciante di vasellame” (p.58) Nel 1559, invece, i due fratelli di Jacopo (Filippo e Guarnerio) o non erano più in vita o avevano rinunciato alle proprietà vignolesi. Ancora nel 1571 Jacopo Barozzi era legato a Vignola non solo per esservi nato, ma anche per l’investitura del terreno della caseta: “un pezo de terreno vacuo posto ne la fossa del castelo di Vignola sotto la prima volta del ponte dove al presente è piantato dui mori, pagando ogni anno alla festa de San Piero un polastro” (Archivio Segreto Vaticano, 1571). Debora Dameri, Achille Lodovisi, Giuseppe Trenti avanzano l’ipotesi “secondo cui una volta scomparso Filippo, forse l’unico dei fratelli a risiedere in pianta stabile a Vignola, Giacomo e Guarnerio, o il solo Giacomo, decidessero di demolire i fabbricati [la caseta con bottega di calzolaio] e sfruttare il modesto reddito assicurato da due piante di gelso [ivi piantate], essendo il commercio dei follicelli, legato all’industria serica, assai florido in Vignola. Sino a due anni dalla morte, Barozzi rimase dunque legato a Vignola, se non altro grazie ai beni livellari trasmessigli dal padre e dai fratelli, ed è certo che tali relazioni continuarono per gli eredi anche dopo la scomparsa dell’architetto.” (p.59; sappiamo dell’esistenza di quattro figli di Jacopo Barozzi: Bartolomeo, Luigi, Giacinto, a cui si aggiunge una figlia che sposerà Giovanni Battista Fiorini, pittore che lavorò con Jacopo a Villa Giulia a Roma).

La facciata della basilica di San Petronio, a Bologna, prima del restauro (foto del 28 maggio 2010)

La facciata della basilica di San Petronio, a Bologna, prima del restauro (foto del 28 maggio 2010)

PS Le informazioni sull’incarico a Jacopo Barozzi di capo architetto per la basilica di San Petronio sono tratte da Achille Lodovisi e Giuseppe Trenti (a cura di), I Vignola: Giacomo e Giacinto Barozzi, Fondazione di Vignola, Vignola, 2004. Quelle sull’insediamento della famiglia Barozzi a Vignola da Debora Dameri, Achille Lodovisi, Giuseppe Trenti, Il Conte, l’Architetto e il Palazzo. Il palazzo di Hercole il vecchio. Secolo XVI, Fondazione di Vignola, Vignola, 2002. Ad esso si riferiscono i numeri di pagina delle citazioni. Per le immagini delle opere di Barozzi si veda l’apposita sezione dell’Atlante dell’arte italiana: vedi.

La porta centrale (porta magna) di San Petronio, realizzata da Jacopo della Quercia nel 1425 (foto del 6 settembre 2014)

La porta centrale (porta magna) di San Petronio, realizzata da Jacopo della Quercia nel 1425 (foto del 6 settembre 2014)

PPS I progetti per la facciata della basilica di San Petronio sono oggi conservati nel Museo di San Petronio (è accessibile dall’interno della basilica). Tra di essi vi sono i disegni di Baldassarre Peruzzi (1523), Giulio Romano e Jacopo Barozzi detto il Vignola (anni quaranta del ‘500) e Andrea Palladio (anni settanta del ‘500), ad attestare il periodico risvegliarsi del “desiderio di realizzare il sogno campanilistico degli antenati del Comune, un sogno per il quale il papato non era intenzionato a stanziare fondi. Tutto ciò cui si addivenì nel Cinquecento fu la realizzazione della decorazione scultorea dei portali laterali [quello centrale fu opera di Jacopo della Quercia nel 1425] e del rivestimento marmoreo della muratura compresa fra i portali stessi.” (R.J.Tuttle, Piazza Maggiore. Studi su Bologna nel Cinquecento, Marsilio, Venezia, 2001, p.35)

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5 Responses to Jacopo Barozzi e la facciata mancata di San Petronio a Bologna

  1. balestri79 ha detto:

    Restauri bellissimi.
    Ho partecipato qualche mese fa ad un gruppo di visita dei lavori di restauro, camminando sui ponteggi a livello delle sculture della facciata.
    Il lavoro fatto, sia di restauro vero e proprio, sia di comunicazione dello “stato dei lavori” è stato veramente straordinario, soprattutto per c’ho ha avuto la voglia di approfondire la parte storiografica della facciata e della chiesa tutta.
    Bravo Andrea ad aver fatto questo approfondimento anche sul Barozzi.
    Di certo Bologna ha rinvigorito il suo fascino grazie a questi lavori.

  2. Laura Toniolini ha detto:

    I risultati più solidi delle tutt’altro che agevoli ricerche condotte sulle origini della famiglia di Jacopo (Giacomo) Barozzi sono effettivamente quelli consegnati al citato volume del 2002 dal titolo Il Conte, l’Architetto e il Palazzo. Il palazzo di Hercole il Vecchio. Secolo XVI.

    Sembra tuttavia opportuno attirare qui l’attenzione sul fatto che, nell’ambito di questi studi, è entrata in gioco nel 2009 la cosiddetta “pagina di Naxos”, cioè la fotocopia di un libro (reperito nell’isola di Naxos, nelle Cicladi) nella quale, con riferimento a documenti dell’Archivio Teodosiano di Ravenna, si parla – fra l’altro – della famiglia Barozzi.

    Leggendo la “pagina di Naxos” si viene a sapere – ma, bisogna dire, senza che vi sia alcun supporto documentario che suffraghi ciò che si va affermando – un certo numero di cose non collimanti con quanto accertato da Dameri, Lodovisi e Trenti nel 2002: ad esempio, gli avi del nostro grande concittadino sarebbero stati nobili veneziani (come, aggiungiamo noi, lo sarebbero stati gli ascendenti di un altro Vignolese celebre, Agostino Paradisi iunior, almeno stando a ciò che riferiva il suo prozio omonimo nell’Ateneo dell’uomo nobile, t. III, vol. I) e qualche membro della famiglia nel corso del XIV secolo – dopo alcune peripezie – si sarebbe insediato in un’area al confine tra Vignola e Spilamberto, luogo dove (in territorio vignolese) sarebbe poi venuto alla luce il celebre architetto cinquecentesco.

    Dunque, anche se allo stato attuale delle conoscenze non si hanno veri riscontri documentari al riguardo, la “pagina di Naxos” non parlerebbe di origini novaresi (milanesi) della famiglia di Jacopo (Giacomo) Barozzi, riferirebbe della presenza di membri di tale famiglia a Vignola ben prima della fine del Quattrocento (Dameri, Lodovisi e Trenti ne hanno invece accertato la presenza solo a ridosso della nascita del Nostro) e confermerebbe l’esattezza della tradizione orale e della toponomastica vignolesi a proposito del luogo natale del nostro illustre concittadino (ne Il Palazzo di Hercole il Vecchio si attribuisce al toponimo “Ca’ de’ Brozzi” un’origine assai più tarda del Cinquecento e, inoltre, un riferimento ad un’altra famiglia Barozzi presente nel Vignolese).

    Comunque la si pensi, vale certamente la pena di prendere sul serio questa “pagina di Naxos” per avviare approfondimenti in materia.

    Sulla “pagina di Naxos”, sulla presunta nobile ascendenza veneziana di Jacopo (Giacomo) Barozzi e su temi limitrofi, cfr. Redazione Centro Studi, *L’isola misteriosa*, Annuario della 42a Festa dei Ciliegi in Fiore (2011), pp. 163-165; Raimondo Rossi Ercolani, *È tutta da riscrivere la storia degli Ottonelli, dei Tanari e dei Barozzi?*, Annuario della 45a Festa dei Ciliegi in Fiore (2014), pp. 103-107.

  3. Andrea Paltrinieri ha detto:

    Dal 1550, quando lascia Bologna per Roma, le vicende di Jacopo Barozzi si intrecciano con quelle della famiglia Farnese, da cui proveniva papa Paolo III (al secolo Alessandro Farnese, nato nel 1468 e morto nel 1549; papa dal 1534 al 1549). La famiglia Farnese (il nome deriva dal territorio di Farnese – Castrum Farneti – compreso in un feudo posto sotto la protezione di Orvieto) era all’epoca una delle nobili famiglie romane con possedimenti nell’alto Lazio. Fu in particolare Alessandro Farnese (il futuro papa Paolo III) ad ampliare il feudo familiare nella Tuscia: Vico e Caprarola (1504), poi Marta, Canino e Gradoli (sul lago di Bolsena) ed altri possedimenti nell’Italia centrale.
    http://it.wikipedia.org/wiki/Farnese
    A Roma, nel periodo dal 1551 al 1555, Barozzi lavorò per Papa Giulio III (al secolo Giovanni Maria Ciocchi del Monte; 1487-1555), che l’aveva conosciuto quando era legato apostolico a Bologna. E’ del 1551 l’incarico per la realizzazione di “Villa Giulia”, oggi sede del Museo Nazionale Etrusco di Roma:
    http://www.villagiulia.beniculturali.it/
    Contemporaneamente riceve anche l’incarico per la realizzazione della piccola chiesa di Sant’Andrea, tempietto a pianta centrale sulla via Flaminia, alla confluenza con via Enrico Caradia (una zona non urbanizzata nel ‘500 e che apparteneva al complesso della villa suburbana del Papa, Villa Giulia appunto). Dopo la morte di Papa Giulio III (23 marzo 1555) lavora per la famiglia Farnese. Jacopo Barozzi avrà a che fare soprattutto con tre esponenti della casa Farnese:

    1) Alessandro Farnese (1520-1589), cardinale:
    http://www.treccani.it/enciclopedia/alessandro-farnese_%28Dizionario-Biografico%29/
    fu committente per Jacopo Barozzi, nel 1556-1557, del palazzo Farnese a Caprarola (VT) e, nel 1568, della chiesa del Gesù a Roma;

    2) Ottavio Farnese (1524-1586), secondo duca di Parma e Piacenza (successe al padre Pier Luigi Farnese ucciso in una congiura nel 1547):
    http://www.treccani.it/enciclopedia/ottavio-farnese-duca-di-parma_%28Dizionario-Biografico%29/
    fu committente di Jacopo Barozzi per il palazzo Farnese di Piacenza (progetto realizzato nel 1558-1561);

    3) Ranuccio Farnese (1530-1565), cardinale:
    http://www.treccani.it/enciclopedia/ranuccio-farnese_%28Dizionario-Biografico%29/
    di cui Jacopo Barozzi fu “architetto personale” nel 1555 ed anni successivi e per cui sovrintende ai lavori di costruzione di palazzo Farnese in Campo dei Fiori a Roma (su progetto di Michelangelo però); nel 1559 Barozzi realizza per Ranuccio il progetto per la chiesa dedicata alla Madonna del Piano a Capranica (VT), località di cui Ranuccio era governatore.

    Alessandro, Ottavio e Ranuccio sono tre dei cinque figli di Pier Luigi Farnese, figlio naturale di Alessandro Farnese (poi divenuto papa Paolo III), e dunque nipoti del papa. Le vicende che si svolgono nel 1545, anno di apertura del Concilio di Trento, e che hanno per protagonista papa Paolo III (ma anche il suo ritratto, assieme ai nipoti Alessandro ed Ottavio, realizzato da Tiziano) e le iniziative “nepotistiche” a vantaggio del figlio Pier Luigi e dei nipoti Alessandro, Ottavio e Ranuccio sono brillantemente raccontate nel libro di Antonio Forcellino, 1545. Gli ultimi anni del Rinascimento, Laterza, Roma-Bari, 2008:
    http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842093411

  4. Andrea Paltrinieri ha detto:

    Un errore di attribuzione proprio relativo al Barozzi compare nel giallo di Loriano Macchiavelli, Ombre sotto i portici, Einaudi, Torino, 2003, ambientato a Bologna (qui la versione eBook):
    http://www.einaudi.it/libri/libro/loriano-macchiavelli/ombre-sotto-i-portici/978885841435
    a pag. 135 sta scritto: “Appoggiato a una colonna del palazzo del Podestà, opera insigne del Vignola buonanima, sta Rosas che sventola un giornale.” In realtà il Palazzo del Podestà non è opera del Vignola, ovvero di Jacopo Barozzi. Opera del Barozzi è invece la facciata di Palazzo dei Banchi che, come il palazzo del Podestà, si affaccia su Piazza Maggiore. Ovviamente questo errore di attribuzione nulla toglie alla godibilità del giallo bolognese di Macchiavelli.

  5. Laura Toniolini ha detto:

    Interessante. Il palazzo dei Banchi risale al primo Quattrocento; venne però completato un secolo e mezzo dopo. Sulla base dell’evidenza del dato stilistico della facciata del portico, il disegno di quest’ultima può essere attribuito a Giacomo Barozzi, benché finora non siano stati rinvenuti documenti diretti che lo comprovino ufficialmente; all’architetto vignolese, comunque, tale progetto fu già assegnato dal suo dotto biografo tardo-cinquecentesco Egnazio Danti. Il cantiere di questa nuova facciata, riferiscono i documenti, rimase aperto dal 1565 al 1568.

    Per approfondimenti, cfr. B. Adorni, *Facciata del portico dei Banchi a Bologna*, in *Jacopo Barozzi da Vignola*, a cura di R.J. Tuttle, B. Adorni, Chr. L. Frommel e Chr. Thoenes, Milano, Electa, 2002, pp. 331-332; tale scheda è stata ripresa (quasi dappertutto alla lettera), sotto il titolo *La facciata del portico dei Banchi a Bologna*, nella nota monografia vignoliana di Bruno Adorni: *Jacopo Barozzi da Vignola*, Milano, Skira, 2008, pp. 151-153. Si vedano anche: F. Giordano, *La facciata del Palazzo dei Banchi: il travagliato ripristino di fine Ottocento*, «Il Carrobbio», vol. XV (1989), pp. 161-170; L. Cipriani, *L’eccezione che inventa la regola. Il palazzo dei Banchi*, «Parametro», n° 198 (1993), pp. 18-39.

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