Stravaganti divagazioni estive sulle processioni, di Beppe Manni

Raccolgo l’invito di Cesarino Venturi a pubblicare questo articolo sulle “processioni”, di Beppe Manni (un tempo prete, ora scrive sulla Gazzetta di Modena – il testo è stato lì pubblicato il 12 agosto scorso). Una scossa alle “chiese asfittiche che vogliono aggregare sui miracoli”.

Settembre andiamo è tempo di … processioni. Le processioni sono belle: colorate, sonore, partecipate. La processione religiosa. Il pellegrinaggio al santuario. E poi. La sfilata di Carnevale. La manifestazione politica. La marcia per la pace. Nasce dal bisogno di manifestare collettivamente i propri sentimenti di gioia, penitenza, rivendicazione. Le processioni sono espressione della cultura del popolo.

Processione alla Madonna della Pieve, il primo sabato di maggio secondo l'antico voto del XVIII secolo (foto del 2 maggio 2009)

Processione alla Madonna della Pieve, il primo sabato di maggio secondo l’antico voto del XVIII secolo (foto del 2 maggio 2009)

Il pellegrinaggio è parente della processione ma è un’altra cosa. Gli antichi ebrei andavano in pellegrinaggio al tempio cantando. Gesù entra in Gerusalemme accolto dal popolo festante. La processione liturgica nelle chiese simboleggia il cammino dell’uomo che va verso Dio per incontrarlo. Come espressione di fede, di penitenza e di gioia. Ma la processione può diventare strumento di potere: un uso improprio dei santi simboli della propria città, come gli dei omerici dell’Eneide che scendevano sul campo di battaglia in difesa dei propri eroi.
Processione anche come espressione di fede popolare. Ma anche di ostentazione, strumento di potere, come contrapposizione. Con la processione i cattolici sembra vogliano dire ai cittadini per lo più indifferenti che loro ci sono. Come folclore nelle processioni del Sud dove si mescolano elementi religiosi e superstizioni locali. Residuo idolatrico di antichi riti pagani. La statua portata può’ essere un idolo di cartapesta e di legno: sono i nuovi vitelli, coperti d’oro davanti ai quali le genti si inginocchiano e li usano per i proprio scopi.

La "processione" in occasione della Festa dei lavoratori, a Vignola (foto dell'1 maggio 2011)

La “processione” in occasione della Festa dei lavoratori, a Vignola (foto dell’1 maggio 2011)

In genere sono i credenti che si inchinano davanti alle statue. In Calabria e in Sicilia le madonne sono costrette ad inchinarsi davanti alla casa di un mafioso con le mani sporche di sangue, con la connivenza alle volte di vescovi e di preti che hanno ricevuto in cambio denaro e privilegi. Lo si sa, i più ricchi del paese (non sempre i più onesti) avevano il loro banco firmato in prima fila, una cappella dedicata e lapidi come benefattori. Gli ‘inchini’, lo sappiamo, possono essere pericolosi. Bene ha fatto Francesco a scomunicarli. Ma sembra che non serva a nulla. Lo si è sempre fatto nel silenzio complice: si lascia passare la buriana e poi si rifà tranquillante quello che si è sempre fatto. Anche la processione del Corpus Domini con l’ostensione dell’ostia consacrata per le vie della città può diventare un gesto idolatrico.
E per finire divertendoci. Nel 1950 Pio XII per scongiurare la vittoria del comunismo mandò in giro per le parrocchie la Madonna di Fatima famosa per le sue profezie anticomuniste. La cosa funzionò il comunismo non vinse. Per premiarla le fu costruita la chiesa della Madonna Pellegrina in via don Minzoni di Modena. Si racconta che il giorno del Corpus Domini mentre la processione si snodava per una strada di campagna un gruppo di sette operai, non si tolsero il cappello e non si inginocchiarono davanti al santissimo. Anzi urlavano sbeffeggiamenti. Dio allora preso da ‘sacro’ furore, si racconta, li trasformò, nella sua misericordia, in sette cani abbaianti. Nasce la località Settecani famosa per la sua cantina e il suo ristorante.

Fronte del corteo della manifestazione in memoria della strage del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna (foto del 2 agosto 2011)

Fronte del corteo della manifestazione in memoria della strage del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna (foto del 2 agosto 2011)

La parrocchia del Villaggio Artigiano di Modena era dedicata a S. Giuseppe Artigiano. La sua festa era stata fissata il I maggio per “sostituire” la festa socialista dei lavoratori. Il I Maggio del 1970 il parroco disse “Cari parrocchiani oggi è la festa dei lavoratori: non si farà la processione per le stradine del quartiere con la statua del santo ma chi vuole andrà in processione nella manifestazione in piazza grande”. La giornata di S. Giuseppe lavoratore fu preparata con tre incontri tenuti da un sindacalista, da un prete operaio e da tre operaie di una fabbrica occupata del Villaggio Artigiano. Non si fecero più processioni con statue ed effigi sacre.
Si potrebbe ormai abolire ogni processione pubblica. Nelle città del sud invece se ne potrebbe fare una manifestazione folcloristica ad uso dei turisti gestita dalla Pro Loco. Senza responsabilità parrocchiali o diocesane. Nella Bibbia al Salmo 115 “Il nostro Dio è nei cieli – egli opera tutto ciò che vuole. – Gli idoli delle genti sono argento e oro – opera delle mani dell’uomo. – Hanno bocca e non parlano – hanno occhi e non vedono – hanno orecchi e non odono – hanno narici e non odorano. – Hanno mani e non palpano – hanno piedi e non camminano – dalla gola non emettono suoni. – Sia come loro chi li fabbrica – e chiunque in essi confida”.

Beppe Manni

PS Il tema delle “processioni” trattato in questo testo da Beppe Manni non è così astruso rispetto ad alcuni post di questo blog. Mi riferisco al tema delle “processioni” e “riti” civili trattati con riferimento all’eccidio di Pratomavore (vedi) ed alla vicenda bolognese della strage del 2 agosto 1980 (vedi), od anche a quel “luogo della memoria” che è il museo della memoria di Ustica (vedi). La dimensione collettiva è imprescindibile e ciò porta con sé inevitabilmente l’esteriorità del assembramento e della “marcia” della comunità (un aspetto in genere presente in molte celebrazioni civiche). Ogni rito, dunque, è fatto anche di “rappresentazione” ad un “pubblico” (che può essere quello dei “fedeli” o quello della comunità più ampia). Possiamo farne a meno? Penso di no. Senza questo aspetto il rito muore (sulla diversa vitalità di “riti religiosi” e “riti civili” proprio con riferimento alla realtà vignolese: vedi). Anche questo testo di Beppe Manni, che sembra invece assumere una posizione più radicale, è un invito alla riflessione su questi aspetti.

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