Come un’auto che di notte gira a fari spenti e con al volante un ubriaco così la maggioranza consiliare sta “guidando” (sic) il percorso di revisione dello statuto dell’Unione Terre di Castelli – un obbligo derivante dalla Legge Regionale n.21/2012 (qui il testo: pdf). Infilando una sequenza impressionante di atti maldestri si è assicurata il rischio di imboccare un vicolo cieco, o, peggio, di schiantarsi contro un albero. Così una discussione mal governata ed impostata su tempi brevi (il ritornello di sempre, per gli amministratori, è che il tempo è tiranno) ha ridestato divergenze mai appianate nella visione del funzionamento dell’Unione – divergenze che non sono affatto riconducibili alla distinzione tra maggioranza e minoranza, ma che tagliano in realtà trasversalmente larga parte dello spettro politico. Tant’è che l’obiettivo di una rapida approvazione del nuovo statuto si sta allontanando a velocità della luce.
[1] Dapprima le proposte di modifica del nuovo statuto sono state portate in commissione consiliare (lo scorso giovedì 14 novembre) senza che un sindaco della maggioranza (presidente? vicepresidente?) si prendesse la briga di garantire la propria presenza con l’intento di governare una discussione che, quando va a toccare le norme fondamentali, non si rivela mai semplice. Ed anche questa volta non fa eccezione. Riconvocata stasera la commissione (anche stavolta nella formula commissione dell’Unione più le commissioni consiliari competenti degli 8 comuni) ha visto esplodere una discussione che accompagna l’Unione da quando è nata e che, nonostante la sua periodica “emersione”, come si trattasse di un fiume carsico, non vede tuttora passi in avanti (vedi). Si tratta della questione del rapporto tra amministrazioni comunali ed Unione ed in particolare tra l’assemblea elettiva dei primi – il consiglio comunale, l’unico vero organo rappresentativo in quanto democraticamente eletto – e gli organi politici della seconda (la giunta, formata dagli otto sindaci ed il consiglio dell’Unione, formato da consiglieri eletti dai consigli comunali di appartenenza). L’opposizione più netta alle proposte contenute nella bozza del nuovo statuto è stata avanzata sino a qui dagli amministratori del comune di Guiglia, anche se la discussione svoltasi nelle due commissioni consiliari (14 e 21 novembre) ha nel frattempo ingrossato le fila di coloro che si dichiarano insoddisfatti della proposta del nuovo statuto. Comunque sia è apparso chiarissimo che non di mero adeguamento tecnico si tratta, vista la quantità delle modifiche proposte (qui la bozza con evidenziate parti cancellate e parti aggiunte: pdf).
[2] Le modifiche allo statuto sono certo richieste dalla Legge Regionale n.21/2012 (ad oggetto “Misure per assicurare il governo territoriale delle funzioni amministrative secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”, pubblicata sul BUR il 21 dicembre 2012). Si tratta della legge che innova la disciplina relativa alla “delimitazione degli ambiti territoriali ottimali ed omogenei per area geografica per lo svolgimento in forma associata delle funzioni fondamentali da parte dei Comuni”, disponendo lo scioglimento delle comunità montane residue, l’esercizio associato di funzioni e di servizi tramite Unioni di comuni, ecc. (per intenderci è la legge regionale alla base della querelle insorta alcuni mesi fa circa la collocazione del comune di Montese nell’ambito dell’Unione Terre di Castelli – altra vicenda gestita in modo maldestro). Prevede anche che “i Comuni appartenenti all’ambito sono tenuti ad esercitare in forma associata tra tutti loro almeno tre tra le funzioni fondamentali” (mentre altre funzioni possono invece essere esercitate a “geometria variabile”, ovvero anche con un esercizio non riguardante tutti i comuni dell’ambito). Ulteriori modifiche relative al numero dei consiglieri dell’Unione (dai 31 attuali a 24) e, dunque, alla loro ripartizione comunale, sono quindi disposte dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito con modificazioni dalla legge 14
settembre 2011, n. 148 (qui l’art.16, “Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni”: vedi).
[3] Quello che era un evidente punto di fragilità dell’Unione di comuni “più grande d’Italia” (allora), pochi anni dopo la sua istituzione, risulta un elemento di fragilità ancora oggi, visto che non risulta essere stato adeguatamente affrontato (vedi). Mi riferisco al “consenso politico” verso l’Unione da parte degli amministratori prima ancora che dei cittadini. Così la discussione se l’Unione costituisca un ente indispensabile per offrire servizi più economici e di maggiore qualità o piuttosto un “carrozzone burocratico” che svuota di funzioni i consigli comunali e dunque mina la democrazia locale riparte sempre dal punto zero ogni volta che un atto di una certa importanza va a toccare i punti di confine tra Unione e comuni. Ma questo non è affatto un inevitabile “destino”. E’ invece la conseguenza della sottovalutazione di punti di frizione che sono riscontrabili oggettivamente, ma che non si è voluto affrontare in modo adeguato. Anzi, neppure riconoscere. In effetti anche questa sera in commissione qualche sindaco faceva la faccia sorpresa quando venivano elencati i punti di “mancato raccordo” tra consigli comunali e politiche di Unione! La questione non può neppure essere “risolta” attribuendo strumentalità nelle posizioni delle minoranze che protestano (il presidente del consiglio dell’Unione, Tiziana Flandi, stasera in commissione ha più volte accusato esponenti delle minoranze di aver già “iniziato la campagna elettorale”), perché in realtà il problema, non risolto, è oggettivamente presente (oltre che per il fatto che la “strumentalità” è comunque riscontrabile in modo trasversale!). La mancanza di un adeguato dibattito pubblico (non nelle segrete stanze della giunta), da condurre con i tempi lunghi necessari per far maturare negli amministratori (assessori e consiglieri, consiglieri di maggioranza e di minoranza) un orientamento politico-culturale non contingente circa l’Unione ed i suoi “rapporti” con i comuni, è uno dei fattori che sta dietro a questa discussione che non fa passi avanti. Ne porta la parte più grande di responsabilità chi al momento è al governo. D’altronde è pur vero che i sindaci non hanno alcun interesse nel rivedere assetti ed equilibri istituzionali con la prospettiva di ridimensionare il loro potere (a vantaggio delle assemblee: consigli comunali e consiglio dell’Unione) – se non quello di una crescita del consenso circa il corretto funzionamento delle istituzioni (più trasparenza, più partecipazione, maggiore possibilità di esercitare le funzioni che la legge assegna ai consigli: indirizzo e controllo – vedi). Per questo anche le possibili iniziative di ingegneria istituzionale (circa un miglior raccordo tra Unione e comuni) non sono mai state seriamente esplorate (e men che meno implementate). Comunque sia, l’attuale battuta d’arresto (scongiurato il rischio di un’approvazione-blitz, nelle prossime settimane sono attesi emendamenti alla bozza del testo) offre in effetti qualche chances: per una modifica allo statuto come “atto politico” (e dunque da discutere pubblicamente anche con i cittadini), anziché come mero “adeguamento tecnico” (cosa che evidentemente non è); per una revisione delle norme non solo ai fini di una migliore “governabilità”, ma anche di una più ampia “partecipazione”. Certo, dovessi scommettere scommetterei sul fatto che anche questa volta la chance verrà sprecata.

Waheeda Malullah, A Villager’s Day Out, 2008 – 55a Biennale d’Arte di Venezia (foto del 17 novembre 2013)
PS Anche alla luce di queste improduttive discussioni (all’insegna dell’eterno ritorno) risulta evidente la mancanza di un adeguato “investimento” in termini di approfondimenti e dibattiti, meglio se sganciati da decisioni da assumere (spesso pure in tempi ristretti), circa l’assetto futuro dell’Unione e la sua eventuale trasformazione in “comune unico” (vedi).
PPS Qui la bozza dello “statuto-tipo” per Unioni di Comuni (pdf) messo a punto dal tavolo di lavoro ANCI dell’Emilia-Romagna e presentato come controproposta dal consigliere dell’Unione Terre di Castelli, Stefano Bergonzini (Guiglia).
Vi sono stati alcuni autentici momenti di folklore nel corso della seduta del 21 novembre. Il massimo è stato l’intervento del segretario generale Carmelo Stracuzzi volto a minimizzare le divergenze di opinioni (di “visione”) emerse nel corso del dibattito, specie dopo che Stefano Bergonzini, assessore a Guiglia e consigliere dell’Unione ha letto, in contrapposizione alla bozza di statuto presentata dai tecnici dell’Unione, parti della bozza di statuto predisposta in sede ANCI Emilia-Romagna. Allora Stracuzzi, nel suo intervento, ha ribadito che “si tratta di due modi diversi di esprimere la stessa cosa”. Un maldestro tentativo di negare la diversità di vedute, che in effetti non ha sortito alcun risultato. Significativa, infatti, è la differenza di impostazione della bozza ANCI, facilmente rilevabile, ad esempio, nel dettato dell’art. 50 (Statuto della governance).
Fai clic per accedere a statutotipo_unione_2013_-_bozza_unioni_ordinarie_30_maggio.pdf
Dove, ad esempio, si dice che “al fine di valorizzare il ruolo degli amministratori locali nel nuovo contesto dell’Unione di Comuni e per rafforzare l’azione politica complessiva dell’Unione” … “le principali delibere dell’Unione vengono preventivamente sottoposte all’attenzione delle singole amministrazioni”. Cosa che oggi non viene assolutamente fatta. L’applicazione di questa norma segnerebbe pertanto una profonda innovazione nei dispositivi di governance per l’Unione Terre di Castelli. Ugualmente dirompenti sono le norme dei restanti commi dell’art. 50: assemblea generale dei consiglieri, convocazioni simultanee di giunte e/o consigli, ecc. Miope, invece, la posizione espressa dal capogruppo PD Maurizio Piccinini che per tutta la seduta ha sostenuto la tesi che per il raccordo tra consigli comunali ed Unione basterebbe quanto già oggi previsto dallo statuto dell’Unione (art.15, comma 3): “i consiglieri dell’Unione, in quanto eletti dai Consigli Comunali dei Comuni aderenti, curano il collegamento con i Consigli Comunali di appartenenza sulle materie trasferite all’Unione”. Purtroppo però già oggi questo “collegamento” non funziona e la riduzione del numero dei consiglieri (dagli attuali 31 a 24) rende ancora più improbabile che possa funzionare domani. Bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di riconoscere che la questione dell’interconnessione, del link, non si risolve affidandosi a volontà e prassi dei consiglieri comunali. Sono le istituzioni a doversene far carico, adottando determinati dispositivi (esemplarmente prospettati nell’art. 50 del testo ANCI Emilia-Romagna)!
Grazie al Movimento 5 Stelle dell’Unione Terre di Castelli è disponibile pure la registrazione video della seduta congiunta delle commissioni del 21 novembre scorso:
http://m5sunioneterredicastelli.wordpress.com/2013/11/25/commissione-consiliare-permanente-area-affari-generali-21-novembre-2013/
Per chi vuole cimentarsi …