La felicità delle vacche e la nostra, di Roberto Monfredini

A chi non è capitato di prendere l’auto o il treno e attraversare la Svizzera, l’Austria, la Germania, la Francia, il nord  Europa e di notare una sostanziale differenza tra noi e loro: a parte il verde che ovunque è lussureggiante e denso, mi riferisco alla presenza di animali al pascolo. Cosa significa per la mente umana, percorrere strade prive di animali … sono risposte che dovrebbero dare psicologi, psichiatri o sociologi. In questi ultimi 50 anni la tecnologia “dura”, è cresciuta ed ha soppiantato la tecnologia “morbida”. Dove per morbida si intende la convivenza uomo-animale come prima dell’ultima guerra. Insomma, la civiltà contadina, con le due vacche, il toro, i due o tre maiali, le galline, i conigli. La tecnologia “dura” invece riduce tutto al profitto con la scusa o non scusa del bisogno: “occorre sfamare il mondo”. Ed in questo senso sono nati gli allevamenti senza terra, automatizzati. Si è sviluppata l’industrializzazione dell’allevamento produttivo.

Mucche al pascolo.

Mucche al pascolo.

L’allevamento senza terra è un  capannone in cemento con  ventilazione forzata, riscaldamento, mangiatoie, gabbie, nastri trasportatori per i liquami, fossa di raccolta, ecc. Sarebbe possibile fare un allevamento anche in Piazza Grande a Modena, per paradosso. Il mangime arriva dall’esterno in silos, animali che mangiano, partoriscono, crescono, si accoppiano o vengono inseminati e … macellati. Come veterinario sono cresciuto e mi sono formato con le incertezze e le insicurezze del caso, sicuro di dovermi inserire in un meccanismo produttivo che ha fior di studiosi in tutto il mondo, il tutto finalizzato a ricercare la miglior performance (la zootecnia) ed in questa ottica ho cercato di sviluppare la professionalità al meglio. Cercando di mantenere in equilibrio la coscienza con la professione. Ma indubbiamente con il passare degli anni la filosofia della vita prende il posto del bisogno sfrenato e cieco di produrre. E’ inevitabile. Ed allora sorgono riflessioni che 40 anni fa non si facevano. Possiamo fare crescere i nostri figli senza che vi sia il contatto con gli animali? Non parlo del cane e del gatto, ma di quel sano rapporto nel quale uscendo di casa e prendendo la bicicletta affianchi due o tre mucche al pascolo? La convinzione, spesso dogmatica religiosa, di esseri unici nel mondo. E che gli animali sono presenti solo per essere il nostro cibo. In un mondo che si sta spostando in parte verso il vegetariano, ed in parte lo è per forza in quanto non vi è  il cibo. Potrebbe anche essere favorito dalla mancanza di cultura. Un bambino che nasce e cresce in assenza della visione animale se non tramite facebook  e la televisione avrà certamente dei grossi problemi nella relazione tra sé e la terra su cui vive, ma anche tra sé ed i suoi simili. La cultura che si riceve è quella che l’animale è – a parte quello d’affezione che spesso diventa il giocattolo che si muove – al nostro servizio in un mondo che non si vede. E in questo mondo avviene di tutto a nostra insaputa, ma l’animale “da produzione” scompare ai nostri occhi, come scompare il processo produttivo per ricomparire in vaschetta di polistirolo come petto o coscia. L’equilibrio della mente umana  ritengo  si formi con la visione completa delle forme animali presenti nel pianeta e con la possibilità di toccare, odorare, vedere, udire e sentire. L’allevamento della vacca da Parmigiano Reggiano, Grana Padano o latte alimentare; del maiale da prosciutto di Parma; della gallina ovaiola; del coniglio trevigiano – ha industrializzato fino all’esasperazione il meccanismo produttivo riducendo il rapporto uomo/animale ad una fredda relazione economica. Scrofe in gabbia o alla catena, galline ovaiole in gabbie piccolissime, polli da allevamento in centinaia di migliaia per partita , coniglie fattrici in gabbie 40×60 cm, fagiani, faraone e tacchini con occhiali neri, vitelli a carne bianca alimentati a latte fino a 2 q.li, oche intubate per il fegato grasso, ecc.

Scrofe e piccoli maiali.

Scrofe e piccoli maiali.

Il meccanismo della desertificazione che avviene all’interno della mente umana senza animali porta poi inevitabilmente alla desertificazione nel rapporto tra esseri umani , e ritengo sia una delle concause, di tragedie umane presenti e passate.
Non credo che in assenza della tecnologia “dura”, esasperata, come l’attuale, debba crollare l’economia ad essa legata. Credo che con le vacche al pascolo si possa fare il Parmigiano e che le scrofe possono produrre i piccoli anche se non sono in gabbie di ferro. Credo che il latte in un animale felice migliori le sue qualità  organolettiche; credo che le fattrici di coniglio possono produrre i piccoli con altri sistemi, a terra o sotto terra; credo che il pollo possa essere allevato ruspante. Abbiamo vissuto l’esatto opposto per molti anni, la eccessiva produzione ha abbassato i prezzi, si sono inserite le aziende mangimistiche che con la filiera lunga hanno comprato a prezzi stracciati le bocche che mangiano i mangimi, cioè gli animali.

Galline ad alta densità.

Galline ad alta densità.

Non ritengo possibile che possa esistere un paese che nasconde ai  propri figli il mondo animale riducendo il tutto all’acquisto delle uova, del macinato, del filetto, della coscia, della bistecca al supermercato con un codice a barre. Un paese nel quale il bambino si immagina un mondo produttivo dentro il supermercato mentre gli viene negato invece la capacità di odorare un vacca, di vedere un vitello, di ascoltare una pecora, di ridere per una gallina e di capire l’uovo. Se a questo associamo il viaggio dell’assurdo – e mi riferisco a quelle scolaresche che in fila indiana seguono la maestra e la tutor dell’ipermercato (per abituarsi all’idea di passare gran parte della vita dentro un supermercato), o seduti nella seggiolina ad ascoltare cosa si vende, è come mettere la ciliegina sulla torta. Si spaccia per “cultura” ma è “sottoculturazione di massa”. Modello  spazzatura televisiva.
Fino al 1988 Modena e provincia avevano circa 1,5 milioni di suini. In alcuni comuni il rapporto suini/abitanti era di 10:1 (10 suini per abitante). Il rapporto più alto al mondo. Ma di questi suini si sentiva solo la puzza nei fossi o li si vedeva nei camion per andare al macello. L’industrializzazione ha fatto sì che sono sorte le suinopoli, le conigliopoli, le bovinopoli, le gallinopoli – grosse concentrazioni di animali, ritmi riproduttivi elevatissimi, costo kg/carne come base produttiva e utili di fine anno, proprio come una vera azienda del settore automobilistico. Le malattie infettive, i fallimenti commerciali, la crisi del mercato, le soccide, o i cali dei consumi  hanno ridotto le quantità numeriche degli animali. Ed allora questo sarebbe il momento buono per sterzare definitivamente e ridare visibilità agli animali, tutelandoli, rispettando il loro benessere, migliorando la loro qualità della vita e lasciando accarezzare ad un bambino la fronte di un vitello.
Se solo proviamo a pensare di percorrere in bicicletta una strada recintata con qualche bovina da latte che bruca, qualche vitello che corre, il nostro rapporto con l’ambiente viene ad essere modificato non solo esteriormente ma anche interiormente. Il dolore che gli animali da allevamento subiscono nella loro breve o lunga vita noi non lo percepiamo, ma esiste ed è enorme e di questo dobbiamo farcene carico e non essere struzzi facendo finta che il problema non esista.
La desertificazione della pianura avviene con la desertificazione  vegetale poi animale, ma soprattutto si porta dietro la desertificazione umana. Il rapporto con l’ambiente che ormai si basa, per poterlo vedere, nello  spostarsi dal luogo nel quale si vive o dove vi sono grosse concentrazioni di persone, a luoghi disabitati, condiziona i bambini portandoli a confondere il mondo reale con quello virtuale di uno schermo con il telecomando. I vincoli sono produttivi/economici, ma se si riesce ad abbatterli con nuove norme europee sarà forse possibile contornarci di nuovo di animali e pascoli. Oppure senza aspettare le nuove norme potremmo cercare di allinearci a quei paesi in Europa (quasi tutti) che lasciano vagare felici le loro vacche nei campi.
Quando un paese si allontana e perde il contatto con il mondo animale, di cui facciamo parte integrale, perde la propria identità culturale fino a vagare alla ricerca disperata di un significato nei beni materiali, diventando precursore di possibili nefaste tragedie.

Roberto Monfredini

3 Responses to La felicità delle vacche e la nostra, di Roberto Monfredini

  1. lanfrancoviola2011 ha detto:

    Da tempo altri movimenti di opinione si pongono in maniera critica nei confronti della “crescita” OBBLIGATORIA, e financo irresponsabile.
    suggerisco di informarsi su http://decrescitafelice.it

  2. Tiziano Solignani ha detto:

    Articolo bellissimo e che mi sento di condividere, tocca da un punto di vista diverso un tema che mi sta molto a cuore.

    È un peccato che in un paese dalle risorse naturali come il nostro e considerato nell’immaginario tuttora ancora a metodi di produzione tradizionali specialmente in agricoltura l’allevamento sia al contrario pressoché esclusivamente intensivo, con danni sia paesaggistici, sia di trattamento degli animali che di salute per noi.

    Per sincerarsi di come la situazione all’estero sia radicalmente diversa, oltre che farsi un giro (ricordo ad esempio il mio primo viaggio in Irlanda, dove dopo ogni curva percorrendo la strada in auto spuntavano ovini, equini, bovini), ci si può anche collegare ad amazon.co.uk dove si può tranquillamente ordinare on line (ma solo se risiedi in UK) carne grass-fed che qui da noi è per lo più introvabile.

    Personalmente, sono proprietario di un vitello di Angus galloway che ho messo a dimora da un mio cliente e che macellerò a gennaio. Questo bovino è stato alimentato solo ad erba ed ha vissuto libero e sempre fuori dalla stalla, almeno durante il giorno, sino ad oggi, e così sarà sino al momento della macellazione.


    
cordialmente,

    tiziano solignani, da  Mac
    http://blog.solignani.it

  3. Alessio ha detto:

    Io sono vegano,per me la felicita della vacca o della scrofa significa non vederla nel piatto,non vederle violentate per lasciarle gravide per sfruttare il latte destinato ai loro piccoli che poi vengono portati via appena nati con grande sofferenza delle madri.gli animali sono terrestri quanto noi,soffrono come noi e nessuno ci da il diritto di ucciderli,torturarli per fare soldi.guardate i video della Peta su you tube e capirete cosa significa la sofferenza di questi poveri animali indifesi.

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