L’ascesa di Matteo Renzi verso la segreteria del PD segna il collasso del “cartello” di pbersani2013 nella conduzione della “ditta”. Non c’è da esultare per le modalità con cui avviene quest’ultimo eclatante episodio nella pur breve storia del PD, visto che il processo di sostituzione dell’élite ai vertici del partito non si realizza affatto in modo fisiologico. Ma in un partito da lungo tempo bloccato in termini di persone e cultura politica (lo testimonia il fatto che negli ultimi vent’anni il partito originario ha cambiato nome ben tre volte – PCI, PDS, DS, PD – ma le persone ai vertici erano sempre le stesse: cfr. Antonio Funiciello, A vita. Come e perché nel Partito democratico i figli non riescono a uccidere i padri, Donzelli, Roma, 2012: vedi) un’adeguata “circolazione delle élites” sembra possa avvenire solo in questo modo, sotto forma di una brusca e conflittuale discontinuità. La polemica sulla “rottamazione” (e la sua presa in larga parte del partito e degli elettori del PD) va compresa in riferimento a questa condizione nient’affatto fisiologica. Il fatto è che il deficit di ricambio generazionale e di innovazione culturale e programmatica (deficit, quest’ultimo, che Fabrizio Barca ha inquadrato perfettamente nei termini di un “deficit di mobilitazione cognitiva”: vedi) ha consentito ad un tema pre-politico come quello del “ricambio” (di idee, di persone, di modi di fare) di diventare il tema politico centrale di questa fase. L’abilità ed il coraggio di Matteo Renzi, le sue qualità di leader (dunque anche di comunicatore), hanno fatto il resto.
[1] Chi lamenta la presa eccessiva del “nuovismo” dovrebbe avere l’onestà intellettuale di considerare che si tratta della reazione, certo non priva di forzature, ad una poco salutare cristallizzazione di idee e di persone. Ciò detto bisogna riconoscere che il documento programmatico che accompagna la candidatura di Matteo Renzi a segretario del PD è abbastanza deludente. E’ il documento più breve (solo 15 pagine) – e questo non è certo un demerito, visto che lo rende “leggibile” ad una vasta platea di interessati (più impegnative sono le 68 pagine del documento di Pippo Civati – una tesi di laurea!). Ed è articolato in tre sezioni che evidenziano chiaramente l’articolazione logica: (1) Noi possiamo cambiare verso al PD; (2) Il PD deve cambiare verso all’Italia; (3) L’Italia può cambiare verso all’Europa. E lo slogan “cambiare verso”, nella sua ambivalenza, lascia aperta l’interpretazione che si intenda rivoltare il PD come un calzino – ed anche questo potrebbe essere valutato positivamente da molti amministratori, iscritti ed elettori. Ma è nella parte “costruttiva” che emergono in modo più netto i limiti, trattandosi di obiettivi delineati in modo vago (oltre che relativi ad uno spettro parziale delle necessità del paese).
[2] Certo, il messaggio centrale è il cambiamento, la discontinuità – un messaggio di indubbio appeal (tanto che sia riferito al PD, quanto all’Italia). E, in fondo, c’è un’evidente assonanza con il messaggio centrale del discorso di Walter Veltroni al Lingotto di Torino – poi confluito in un libro che ha come sottotitolo “contro tutti i conservatorismi” (anche di sinistra!) (vedi). Ovviamente chi volesse rassicurazioni circa il fatto che Renzi è di sinistra avrebbe la possibilità di verificare le politiche attuate come sindaco di Firenze: investimenti su biblioteche e asili nido, un PSC a “consumo zero di territorio” (il primo tra le grandi città italiane), raccolta differenziata dei rifiuti dal 36% al 50%, ma anche tasse abbassate, e così via. Una “sinistra” liberale, post-ideologica, che non teme di appropriarsi e rielaborare temi tradizionalmente considerati di destra, anche liberista (come la riduzione delle tasse, appunto, ma anche il grande tema, per l’Italia, dell’efficientamento della pubblica amministrazione) – un compito che lo stesso Fabrizio Barca ritiene necessario (prendendosi qualche rimprovero da Salvatore Biasco: vedi).
[3] Ma la violenza verbale con cui il tema dello schieramento di campo di Renzi (“è davvero uno di noi?”) è stato posto nelle primarie del novembre 2012 evidenzia innanzitutto la reazione infastidita del “cartello conservatore” interno al PD (arrivando ad affermare che l’espressione “rottamazione” è “linguaggio fascistoide”: vedi). Un atteggiamento che ha poi originato altre decisioni scellerate, come quella della “chiusura” dei partecipanti alle stesse primarie (vedi). Eppure di fronte ad un fuoco di sbarramento impressionante è potuto succedere che Matteo Renzi, 37 anni (oggi 38), sindaco di Firenze dal 2009 (grazie alla vittoria da outsider in “primarie vere”), abbia sfidato il segretario del PD Pierluigi Bersani ottenendo al primo turno 1.104.958 voti, pari al 35,5% (ed inchiodando il segretario al 44,9%, ovvero 1.395.096 voti: vedi)! Già solo questo risultato dovrebbe affermare in modo inequivocabile che non si tratta di un fenomeno “di plastica”, artificiale, ovvero che non è solo merito della grande capacità comunicativa! C’è piuttosto la capacità di entrare in risonanza con grandi masse dell’elettorato di centrosinistra (e non solo) toccando temi ed assumendo posizioni non usuali per un politico di centrosinistra. Insomma, Renzi è davvero il politico del centrosinistra che ha oggi maggiori chances di allargare il perimetro del consenso elettorale. Cosa di cui è perfettamente consapevole: “Si vince recuperando consensi in tutte le direzioni: centrodestra, Grillo, astensioni” (p.5).
[4] Ma oltre a guidare il ricambio generazionale ai vertici del PD, Renzi recupera anche un gap che sino ad ora ha azzoppato il centrosinistra nella competizione elettorale. Renzi incarna il messaggio che la “personalizzazione della leadership” non è “sinonimo di berlusconismo” – per usare le parole di Mauro Calise, Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader, Laterza, Bari, 2013, p.12 (vedi). Anche se proprio gli avversari interni del PD lo hanno accusato di “berlusconismo”, solo perché ha uno stile comunicativo tagliato per le masse odierne (anche televisive). La sua è una “transformational leadership”, da “capo carismatico [che] promette un nuovo inizio, e in questa promessa sta la sua capacità di trascinatore di folle” (p.18). Il non aver capito l’importanza della leadership ha invece esposto il PD, alle elezioni politiche 2013, alla più bruciante delle sconfitte, quella maturata nelle ultime settimane prima del voto, dopo che da tempo era consolidata l’aspettativa della vittoria. Il forte spostamento dei consensi su Renzi in occasione delle primarie 2013 riflette così il sentimento, non ancora intellettualmente elaborato, che non è più possibile trascurare la capacità di leadership.
[5] Il documento programmatico di Renzi evidenzia a tratti la rottura del linguaggio politico tradizionale (a sinistra) unendo l’irriverenza del rottamatore (sul PD: “avevamo detto di dimezzare i parlamentari, non di dimezzare gli iscritti” (p.5)) ad un po’ di demagogia (“nelle polverose stanze delle burocrazie centrali” (p.6) – le burocrazie centrali hanno stanze sempre polverose?). Insiste nell’evidenziare le contraddizioni del centrosinistra a cui neppure pbersani2013 ha saputo porre rimedio: “E’ imbarazzante sapere che il partito della sinistra italiana, autore di alcuni tra i convegni più interessanti sull’operaismo, è il terzo partito tra gli operai” (p.7). Insomma mantiene intatta la ruvidezza verso il gruppo dirigente che ha guidato il più grande partito del centrosinistra verso l’ennesima non-vittoria. Ma al tema dell’innovazione di persone e di cultura prova ad affiancare una maggiore attenzione per i problemi del paese, a partire dalla crisi economica e dalla conseguente crescita della disoccupazione. Ma anziché affidarsi agli improbabili eurobond europei (un ingrediente fondamentale, invece, nella ricetta di Stefano Fassina: vedi) propone di intervenire sulle leve effettivamente manovrabili, quelle che dipendono da noi: cambiare i centri per l’impiego (che in Italia danno lavoro a 3 persone su 100, in Svezia a 41 su 100); rivoluzionare il sistema della formazione professionale, “che troppo spesso risolve più i bisogni dei formatori che di chi cerca lavoro” (p.7); semplificare le regole del gioco (qui ce n’è anche per i sindacati e per le associazioni degli imprenditori); predisporre un “piano per il lavoro” (da presentare prima del prossimo Primo Maggio) al cui interno prevedere sgravi fiscali nei primi tre anni per le aziende che assumono (è il programma articolato nel punto 6: “La proposta sul lavoro”). In realtà la storia d’Italia evidenzia la difficoltà di cambiamenti profondi nelle politiche, conseguenza della vischiosità dei processi decisionali, della debolezza dei governi, dell’azione di numerosi centri di interessi intenzionati ad influire sulle decisioni. L’impressione, dunque, è che l’aura del leader alimenti aspettative che sarà assai difficile realizzare. Un problema non certo risolvibile con la sola consapevolezza (mi riferisco alle considerazioni di Stefano Menichini – su Europa del 28 ottobre: vedi – sul Matteo Renzi visto alla Leopolda: “in più momenti si capisce come lui per primo avverta la sproporzione fra le aspettative che suscita nel paese, gli obiettivi che lui stesso si pone, e le reali possibilità sue personali, del movimento radunato alla Leopolda e del partito che si accinge a scalare”).

Rappresentazione, in 9 città, della provenienza dell’elettorato M5S (partito che gli elettori 2013 del M5S avevano votato nel 2008) (slide di Filippo Tronconi)
[6] Un’ultima considerazione riguarda il PD e la trasformazione che Renzi immagina per il partito. Anche qui non si trovano proposte di dettaglio, ma solo immagini impressionistiche, larghe pennellate da perfezionare probabilmente in seguito. Decentramento: “nel PD che faremo conteranno di più i territori e di meno i dipartimenti centrali” (p.8). E trasparenza: “tutta la rendicontazione la metteremo su Internet, accessibile a tutti” (p.9). Entrambe modalità per accrescere il ruolo di militanti e simpatizzanti. A ciò si aggiunge il riconoscimento dell’importanza di riattivare meccanismi di apprendimento (di mobilitazione cognitiva: vedi): “cambiare verso significa bisognosi di imparare sempre” (p.6). Ma non si dice molto sul come. Eppure il tema è importantissimo – si tratta di una delle sindromi bloccanti che affligge da tempo il PD. Organizzare un monitoraggio sulle sperimentazioni locali (es. in tema di democrazia deliberativa). Coinvolgere intellettuali senza strumentalità, ma per confrontarsi con idee nuove e con punti di vista diversi. Predisporre una pluralità di centri di analisi ed elaborazione (think tank) anche in competizione tra loro. Aprire nuovi spazi web per raccogliere nuove voci e per metterle a confronto (es. il blog Leopolda di Europa). “Leopoldizzare il PD” è la formula coniata da Antonio Funiciello su Europa del 27 ottobre (vedi), ovvero “snellire le nostre pratiche interne, promuovere discussioni che vivano della ricchezza delle diverse posizioni, ma si sublimino nella sopraffina abilità di concludersi con una decisione”. Molte formule, molti pensieri sono ancora approssimativi e necessiteranno di ulteriori elaborazioni e perfezionamenti. Ma la consapevolezza dei fallimenti delle risposte tradizionali (quelle della “ditta” di pbersani2013) spinge a cercare in avanti.
PS Qui il documento “Cambiare verso” che accompagna la candidatura di Matteo Renzi a segretario del PD (pdf). Come detto, il documento è deludente. Ma, parafrasando il McLuhan di “il medium è il messaggio“, si potrebbe osservare che “Renzi è il messaggio“. In un certo senso è così.
Ed in tutto sto contesto, come le si inseriscono le sue due bocciature della Corte dei Conti?
Ciao Marco, non sono un esperto di sentenze della corte dei conti e neppure intendo diventarlo. Per quello che capisco si tratta di vicende scarsamente significative. Mi sembra che una delle vicende sia ben descritta qui.
http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2011/5-agosto-2011/danno-erariale-condannato-renzi-1901248176997.shtml
In questo caso già il fatto che il danno, inizialmente quantificato in 2,1 milioni di euro, sia poi stato ridimensionato a 50mila euro è significativo. Allora Renzi annunciò comunque l’intenzione di ricorrere in appello.
In ogni caso bisogna anche dire che il PD è dotato di un Codice Etico e che le candidature vengono filtrate attraverso quelle norme. Non c’é ragione di credere che se dovessero emergere fatti gravi la candidatura non venga bloccata, evitando di mettere a rischio di nuovo le chances di vittoria elettorale. Mi sembra comunque che siamo lontani da questa eventualità, viste le contestazioni ad oggi avanzate dalla corte dei conti nei confronti dell’allora Presidente della Provincia di Firenze e attuale sindaco della città.
Due commenti apparsi tra ieri ed oggi in merito alla candidatura di Matteo Renzi meritano un commento.
Il primo è di Enrico Rossi, attuale presidente della giunta regionale della Toscana:
http://ilsignorrossi.it/renzi-non-ci-porta-lontano-ecco-perche-non-mha-convinto/
Rossi fa un intervento schierato, da supporter di altri candidati (Cuperlo). Ma lo fa in modo fastidiosamente tendenzioso. Su tre punti. (1) “Alla Leopolda [colpisce] la mancanza di bandiere [del PD]”. E’ un’accusa fasulla, visto che è la quarta edizione che la Leopolda si tiene così, senza simboli di partito. D’altro canto molti amministratori, nella fase iniziale di una campagna elettorale, diffondono propri manifesti senza simboli di partito (è successo pure a Vignola nel 2009). Succede quando il partito ha un’impatto comunicativo non positivo – sono opzioni della strategia comunicativa. (2) Renzi è un “conservatore”. Espressione della “subordinazione della sinistra alla cultura liberista e al capitalismo finanziario”. Mi sembra che Renzi sia consapevole, come tutti a sinistra, che il capitalismo va “addomesticato” (ma non se ne può fare a meno). Semmai il problema di tutti è capire come (qualcuno pensa che Hollande, da questo punto di vista, sia un modello a cui ispirarsi?). Qui, però, le cose più interessanti non le dice Cuperlo o altri candidati PD, ma semmai chi sta fuori dal PD, tipo Salvatore Biasco:
http://www.luissuniversitypress.it/site/it-IT/Scheda/default.html?SchedaID=13973
Il problema è la capacità di realizzare alcuni di quegli interventi, specie laddove è richiesto un coordinamento tra governi (almeno a livello di Unione Europea).
L’accusa di “conservatorismo” (o quella analoga di “berlusconismo”) appartiene alle armi della polemica interna e rivela innanzitutto il fastidio del confronto (fastidio doppio, per Rossi, di ritrovarsi in minoranza nella “ditta”). (3) E’ infine davvero singolare che Rossi affermi che l’impostazione di Renzi “non parla certo in modo strutturato ai più poveri, ai giovani, ai disoccupati, ai precari, ai ricercatori, ai pensionati, alle partite Iva e alla piccola impresa”. Con l’eccezione della prima categoria (i poveri) mi sembra che a tutte le altre parli assai meglio Renzi che il PD (come testimonia peraltro l’esito del voto di febbraio 2013). Ed anche verso i poveri mi sembra che il PD abbia qualche problema – almeno stando alle cronache di questi giorni.
Più interessanti sono le osservazioni, invece, che fa Marc Lazar, politologo francese molto attento alle vicende del nostro paese:
http://www.repubblica.it/la-repubblica-delle-idee/polis/2013/10/29/news/renzi_e_il_pd_l_immagine_non_basta-69726632/
Lazar riconosce innanzitutto la tendenza alla personalizzazione della politica, pur distinguendo tra due tipologie di leader. Conclude Lazar: “L’immagine certo è fondamentale, ma non garantisce la vittoria. Per vincere, un leader deve convincere – sull’esempio di Blair – il proprio partito, che resta uno strumento indispensabile nelle campagne elettorali. E ciò presuppone, soprattutto per il Pd – questo “partito senza qualità”, secondo l’espressione di Mauro Calise – la definizione di un progetto chiaro, e un’identità che il leader – pur cercando di conquistare voti all’esterno – è chiamato a incarnare.” In effetti è questa la sfida che Renzi ha davanti. Certo, sembra che per convincere una parte del PD maggiore di quella schieratasi con lui alle primarie di coalizione del novembre 2012 oggi abbia qualche chances in più. Vedremo.
Alcuni commenti interessanti sulla competizione per la leadership nel PD. Il primo, di Paolo Natale, immagina già il futuro della politica italiana caratterizzato dal “duello” tra Renzi e Grillo: “La sfida del futuro? Da una parte Matteo Renzi, che si incamera il bagno di folla e di consensi per la nuova Leopolda; dall’altra Beppe Grillo …” Vedremo. Comunque interessante perché Paolo Natale non ritiene affatto in declino il M5S ed il suo “guru”.
http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:2387
Marco Valbruzzi, invece, legge il cambiamento intervenuto tra le primarie del 2012 e quelle del 2013 con la categoria del “trasformismo”: “L’ascesa di Matteo Renzi, alla guida di una sgarrupata truppa di barbari (i “renzichenecchi”) pronti a rottamare i notabili del PD, ha prima spinto gli elementi tradizionalisti a rinchiudersi nel loro fortino identitario (la “ditta”, il “collettivo”) e poi, a disastro avvenuto, è cominciato il flirt col “nemico” renziano, la strizzatina d’occhio languida verso chi prometteva sorti magnifiche e vincenti. Renzi non era più, nelle sempre misurate parole di un intellettuale organico al milieu bersaniano (Michele Prospero), un portatore sanissimo di idee di “ascendenza fascistoide”. Oggi che quel sindaco di Firenze sembra avere tutte le carte in regola per diventare leader del Pd, Renzi non è più né fascista né sfascista, ma, più pudicamente, una risorsa, l’ultima ancora di salvezza, il boccone amaro da inghiottire prima del tiramisù. E così tutti pronti a cambiare casacca. Si scende dal pullman di Bersani e si sale sul carro (pardon, camper) di Renzi.”
http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:2393
Infine Roberto D’Alimonte, più benevolmente (ma solo di poco), interpreta invece questo passaggio come un “processo di apprendimento”. Stanchi di perdere, militanti, iscritti, elettori del PD hanno appreso la lezione e si stanno orientando su chi, tra gli attuali dirigenti del partito, avrebbe più chances di vittoria in una competizione elettorale, ovvero Renzi. Era successo ai labouristi inglesi quasi vent’anni fa. La storia si ripete per la “sinistra” italiana. E così dopo aver provato (inutilmente) con Bersani, adesso la maggior parte degli elettori è convinta che sia Renzi il candidato con le chances migliori. “Solo così si può spiegare quello che fino a pochi mesi fa era assolutamente impensabile: Renzi segretario del Pd. Il nuovo Pd. Quanto nuovo si vedrà. Intanto, a pensarci bene, la cosa è così straordinaria che fa sorridere. Improvvisamente, invece di dover conquistare il partito dall’esterno con il rischio di spaccarlo, Renzi ne diventerà probabilmente il segretario, e non solo il candidato-premier, dall’interno con il consenso di buona parte dell’apparato. Che poi riesca a fare la rivoluzione che ha annunciato e di cui l’Italia ha bisogno è tutto da vedere. Molti ci credono. La voglia di novità, di voltar pagina è tanta.”
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-09-08/renzi-come-blair-vince-083535.shtml
Mi rendo conto che la disperata necessità di cambiamento porti molti a votare Renzi a prescindere, sperando in questo modo di voltare pagina rispetto ad una gestione politica che più disastrosa non avrebbe potuto essere.
Non bisogna però fermarsi al “solo desiderio di vincere”.
Bersani non ha perso perchè ha sbagliato agenzia pubblicitaria, Bersani ha perso perchè ha sbagliato politica.
Abbiamo, lasciato intendere che la prospettiva vera del Pd non era il “cambiamneto” proclamato a parole ma la sostanziale continuazione della politica di Monti.e gli elettopri, che stupidi non sono, ci hanno giustamente puniti.
La prossima volta la faccia giovanile di Renzi aiuterà sicuramente, ma il, problema vero sarà ancora una volta la proposta politica.
(quella vera, s’intende, non i trucchi ed i programmi scritti sulla carta).
E da quello che ho letto, e soprattutto da quello che sento da troppi entusiasti corifei dell’ultima ora, non avverto nessuna garanzia su questo punto.
Per questo la proposta di Civati, che unisce il rinnovamento ad un sicuro ancoraggio ai vaori ed agli interessi sociali propri di una sinistra attuale, mi sembra non la migliore, ma l’unica che sappia indicare al PD una prospettiva vera al di là dei lustrini di turno.
Ciao Massimo, nella competizione delle primarie 2013, come in quelle del 2012, si intrecciano in realtà due temi diversi: quello del rinnovamento del gruppo dirigente e quello politico-programmatico. Non c’é dubbio che la popolarità di cui gode oggi Renzi deriva essenzialmente dal primo. Con più coraggio e con più forza di tutti (anche di Civati con cui pure questo tema del ricambio lo accomuna) ha richiamato l’esigenza di un ricambio del gruppo dirigente, ad oggi sostanzialmente il medesimo di dieci (o anche venti anni fa), solo con qualche “new entry” inclusa per cooptazione (e dunque culturalmente e politicamente omogenea degli insiders, oltre che da loro dipendente). Renzi ha spezzato questo circuito vizioso. Certo, anche in modo polemico e dunque disturbante. Ma in ogni caso gli va dato atto di essere quello che ha posto il tema con più forza. E su questo tema ha costruito il suo “successo” alle primarie del 2012, da cui pure è uscito sconfitto. Però è così che si costruisce una credibilità. Chi ha vinto le primarie 2012 (Bersani) ha poi perso (o non-vinto) le elezioni politiche 2013. In questo modo Renzi, per via della sua coerenza, è diventato un punto di riferimento della maggioranza del PD (iscritti ed elettori). Si riconosce in lui – lo dicono tutti i sondaggisti – chances di vittoria elettorale. Già questo non è argomento da poco. Dal punto di vista programmatico Renzi incarna una visione di “sinistra liberale” (non ritengo corretto appiattirlo su posizioni neoliberiste che non gli appartengono). In questa posizione ci sono cose più convincenti ed altre meno (mi sembra di riconoscerlo con discreta onestà intellettuale). Il fatto è che anche nelle altre posizioni ci sono aspetti, a mio modo di vedere, non convincenti. Comprensibile, dunque, che a far premio siano le chances di vittoria. E qui Renzi è quello che, al momento, esprime il massimo.
Ecco i dati ufficiali della “prima fase” del congresso per l’elezione del segretario PD, quella relativa al voto dei soli iscritti (non commento la tortuosità del percorso che ha evidenti ragioni politiche). Li ha pubblicati oggi il responsabile organizzazione PD, Davide Zoggia:
“Si è votato in 7200 circoli in Italia e 89 all’estero
Hanno votato 296.645 iscritti al PD, pari 55%. I voti validi sono stati 295.304
Risultati ufficiali:
Renzi 133.892 voti (pari al 45,34%)
Cuperlo 116,454 voti (pari al 39,44%)
Civati 27.841 voti (pari al 9,43%)
Pittella 17.117 voti (pari al 5,80%)”
http://www.partitodemocratico.it/doc/262717/i-dati-ufficiali-del-voto-degli-iscritti.htm
Tra i commenti più interessanti sui risultati di questa “prima fase” vi è quello di Stefano Ceccanti:
http://www.qdrmagazine.it/2013/11/19/128_ceccanti.aspx
Chiarissima e condivisibile l’interpretazione della segreteria di Pierluigi Bersani e del voto che ne è conseguito, il 24 e 25 febbraio 2013. La famigerata “non-vittoria”. Evidenzio in particolare questo passaggio a commento del fatto che Renzi vince (anche) tra gli iscritti (appunto con il 45,34%), distaccando di 6 punti percentuali il secondo arrivato, Cuperlo:
“Il secondo dato, ancor più rilevante, è che questo risultato è stato conseguito con una partecipazione molto bassa degli iscritti, di poco superiore a quella dell’ultimo congresso dei Ds nel 2007. Persino nel nucleo duro degli iscritti militanti la proposta che sarebbe stata più naturale, quella identitaria, è decisamente minoritaria. Per questa ragione sembrano implausibili le ipotesi di scissione “a sinistra”: mancano gli elementi minimi di consenso diffuso persino di militanti per produrre esiti significativi. Un dato del tutto coerente con le indicazioni di ITANES: il problema del PD non è alla sua sinistra ma dall’altra parte.”
Un appello
Non so se ci sarà data un’ altra possibilità per governare il paese con un progetto serio e innovativo, può essere che quella che avevamo ce la siamo giocata la primavera scorsa e non so se ce ne sarà data un’ altra.
Penso però che ci sia solo una persona in grado di giocarsela fino in fondo con la necessaria credibilità, forse per l’ultimo tentativo di salvare questo paese: Matteo Renzi.
Quindi l’8 dicembre …se avessi anche solo una possibilità, giocala giocala giocala… prendila prendila prendila
Trovate il tempo per andare a votare alle primarie del PD e scegliere Matteo Renzi,
dico questo perché ho sempre amato una frase del giudice Livatino:
Non vi sarà chiesto se siate stati credenti ma credibili, cre di bi li.
Credo che questo paese abbia bisogno di un cambiamento in cui poter credere.
Grazie, un caro saluto Roberto Adani
Teoricamente sono d’accordo con Adani.
Praticamente ci devo ancora pensare.
Abbastanza fresco del titolo di dottore di ricerca (PhD) in…
Io… dico che sono arrivato a questo “importante” (nella vita importanti sono altre cose…) risultato, perché pur non essendo un blasonato claccisista (in Italia é importante esserlo anche per gli avvocati, i medici, forse anche per i fisici… per tutti insomma), insomma uno che quando gli chiedi come stai ti risponde carpem diem… insomma quella roba lì.. solo perché avevo una grossissima formazione semiotica quasi da semiologo di razza datami da Paolo Fabbri, dalla scuola di Liegi…
La semiotica è una disciplina tecnica, anche se è una branchia della filosofia, la prova è nel fatto che la s’insegna a medicina, per le scritture contabili si parla di scritture semiotiche… (wikipedia alla voce ragioneria)…
Tutto ciò per dire che giovedì scorso il caro amico adolescenziale Gagliardelli, ha scritto sul Carlino che il PD cerca un’altra persona da aggiungere alle primarie per la poltrona da sindaco a Vignola, oltre a Denti ed a Gasparini… se fosse vero forse ad avvantaggiarsi della situazione potrebbe essere anche la Denti… grazie al famoso principio di Mitterand quello che a volte per vincere bisogna dividere l’avversario… lui nel 88 lo fece stanando dall’emarginazione Jean Marie Le Pen… che prese voti utili a Chirac.. dove il presidente socialista uscente dopo 7 anni di scelte discutibili aveva una caduta di popolarità… stessa cosa è avvenuta nel 2012 con Hollande, Sarko e la figlia di Jean Marie Le Pen… Però a pensarci bene la notizia non era questa, la vera notizia era che il centrodestra cerca un candidato della società civile, quindi questo potrebbe voler dire che i gruppi di potere della città, devono ancora decidere se puntare su un candidato moderato all’interno del PD o guardare altrove.
Volenti o non volenti (cosa che non capì Daria… persona che forse non rivoterei ma stimo), i gruppi di potere cittadino le banche, le singole “corporazioni” artigianali… dettano l’agenda economica della città, quindi a Roberto voglio dire che io prima di prendere una decisione sulle primarie del PD, devo riflettere da ragioniere figlio di cattocomunsti provenienti dalla tradizione agraria, quindi con i piedi per terra, in questo caso il dottore di ricerca (se c’è qualcosa di questo titolo in me) non decide.
PS Per la precisione forse la notizia del Carlino è di sabato scorso…