Il manifesto di Fabrizio Barca: diagnosi e terapia per un nuovo PD

Nell’aprile 2013 l’ex-ministro Fabrizio Barca è intervenuto nel dibattito all’interno del PD con un interessante manifesto: Un partito nuovo per un buon governo (pdf). Da allora ha discusso le sue tesi in numerose occasioni e, confortato dall’interesse suscitato, ha perfezionato l’originario documento trasformandolo in un libro (La traversata. Una nuova idea di partito e di governo, Feltrinelli, Milano, 2013, pp.187, 15 euro: vedi – i numeri di pagina riportati nel post si riferiscono al libro). Nella fase iniziale l’iniziativa di Barca è stata salutata con entusiasmo dal patto di sindacato bersaniano perché vi vedeva un punto d’appoggio per contrastare la scalata al PD di Matteo Renzi. Ma chi si prende la briga di leggere con attenzione il documento di Barca vi scopre innanzitutto una critica radicale a questo PD, ovvero al PD governato da pbersani2013 e dai numerosi (allora) dirigenti nazionali, regionali, locali bersaniani. Che il “partito solido” bersaniano, la “ditta”, potesse ricevere critiche così forti proprio sull’inadeguatezza del partito è solo un’ironia della storia. Ma Barca coglie nel segno. Vediamo perché.

Marc Quinn, The Zone (Where Time Meets Space), 2012, olio su tela (Fondazione Cini, Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia - foto del 6 agosto 2013)

Marc Quinn, The Zone (Where Time Meets Space), 2012, olio su tela (Fondazione Cini, Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia – foto del 6 agosto 2013)

[1] Il documento di Barca, ora trasformato in un libro, è tutto costruito attorno a due idee centrali. Un metodo di governo denominato “sperimentalismo democratico” e un’idea di “partito palestra” caratterizzato, innanzitutto, da una diffusa “mobilitazione cognitiva”. Queste due idee sono quindi sviluppate in modo ridondante, presentate e richiamate in più passaggi, variamente articolate. Si tratta di un programma molto selettivo – altri temi ugualmente importanti rimangono in secondo piano o risultano assai meno approfonditi. Proprio per questo già la loro scelta è indicativa. La proposta di queste due idee evidenzia, per converso, due aree di grande sofferenza per il PD. Ad esempio, l’invito che Barca fa per un partito impegnato alla “mobilitazione cognitiva” (l’elaborazione di soluzioni per l’azione pubblica) è al tempo stesso una denuncia della mancanza di mobilitazione cognitiva esibita dall’attuale PD. Insomma l’equivalente di una diagnosi di morbo di Alzheimer! Non è Barca che usa questa espressione; lui si limita a descrivere le proprie osservazioni nei termini di una “brutale diagnosi” (p.80).

Jonathan Guaitamacchi, British Black - Round Trip 8, 2010-2011 (foto Artefiera Bologna del 27 gennaio 2013)

Jonathan Guaitamacchi, British Black – Round Trip 8, 2010-2011 (foto Artefiera Bologna del 27 gennaio 2013)

[2] Ciò che Barca chiama “sperimentalismo democratico” (espressione mutuata da Charles Sabel, Professor of Law and Social Science alla Columbia Law School: vedi) è una delle forme di democrazia deliberativa. L’attenzione verso la democrazia deliberativa discende da una specifica diagnosi sulla difficoltà del governo in Italia: “l’incapacità di governare non deriva, è la mia tesi, da un deficit di potere, bensì da un deficit di conoscenza e partecipazione nelle decisioni e nell’attuazione” (p.44; cfr. anche p.62 e pp.156-157). Dunque per Barca la priorità non è il rafforzamento del potere del governo o del presidente del consiglio, ma l’introduzione di un nuovo metodo decisionale che coinvolga i destinatari dei provvedimenti nella definizione del provvedimento stesso. Ovvero la loro partecipazione ad un processo “deliberativo”: l’analisi critica, la discussione pubblica, il confronto argomentativo della bozza del provvedimento prima della sua formale adozione. Nelle società moderne “la conoscenza risiede e si riproduce in luoghi diffusi, attraverso l’interazione di una molteplicità di soggetti. L’arte del governare consiste nel costruire e far lavorare una macchina che realizzi questa interazione e la usi per produrre decisioni e verificarne l’attuazione” (p.62). Barca non solo riconosce (1) che la conoscenza necessaria per la decisione (es. per una nuova legge) non è detenuta interamente dal decisore e che (2) una parte significativa (molte volte maggioritaria) di tale conoscenza è diffusa nella società (nei corpi intermedi, nelle realtà associative, ecc.) e che dunque è opportuno coinvolgere queste articolazioni sociali nel processo decisionale, ma anche che (3) c’è una conoscenza utile per prendere decisioni migliori che non è già disponibile socialmente, ma viene invece prodotta tramite il confronto e la pubblica discussione. Lo stesso conflitto, da cui spesso i politici rifuggono, è visto come un fattore di mobilitazione e produzione di conoscenze, dunque come un fenomeno funzionale al processo decisionale (p.67): “la conoscenza necessaria spesso neppure esiste quando sorge un problema o un’opportunità; essa scaturisce piuttosto come «innovazione» dal confronto e dal conflitto fra molteplici soggetti” (cfr. anche p.91). Arriva addirittura ad affermare: “un’accentuata procedura deliberativa ha bisogno di un aperto e regolato conflitto sociale” (p.73). Insomma, il metodo del ben governare, per Barca, è “un processo ricorsivo e partecipato di valutazione pubblica informata, accesa, imparziale e aperta, che attivi apprendimento collettivo” (p.87). Una concezione che ne fa un alieno per il PD!

Valerio Adami, Ascoltando la radio, 2012 (foto Artefiera Bologna del 27 gennaio 2013)

Valerio Adami, Ascoltando la radio, 2012 (foto Artefiera Bologna del 27 gennaio 2013)

[3] L’attenzione al tema della conoscenza adeguata per prendere decisioni collettive guida anche il ragionamento di Barca sul partito. L’immagine che egli usa per prefigurare il “nuovo partito” – il «partito palestra» – è infatti di nuovo riferita al lavoro incessante di analisi, confronto, discussione necessario per riconoscere i problemi della società e per individuare soluzioni all’altezza delle sfide che essi pongono. “Serve un «partito palestra» che (…) sia capace di promuovere la ricerca continua e faticosa di soluzioni per l’uso efficace e giusto del denaro pubblico” – così scrive a p.45. Il partito “palestra” non è dunque per sviluppare muscoli (forza, potere, ecc.), ma per sviluppare le funzioni cognitive. Il termine chiave della sua visione è infatti quello di “mobilitazione cognitiva” – espressione mutuata da Marco Revelli, Finale di partito, Einaudi, Torino, 2013 (vedi). L’enfasi su questo aspetto – la funzione cognitiva del partito (ovvero l’elaborazione del programma, in continuo aggiornamento) – dice per converso anche dove risiede oggi il principale deficit del PD: nell’incapacità di percepire i problemi della società e, conseguentemente, di elaborare adeguate soluzioni. Si tratta, per Barca, di un deficit cognitivo. Che però ha ragioni nella configurazione che il partito ha assunto anche nel “rinnovamento” di questi anni (la nascita del PD è del 2007). Uno dei fattori della “sclerotizzazione” cognitiva del PD sta nel finanziamento pubblico ai partiti e nella natura “stato-centrica” dei partiti (p.51; cfr. anche p.77, pp.96-99 e p.164). Qui Barca sposa l’interpretazione di Piero Ignazi di partiti dotati di grande “forza” (ingenti risorse, derivanti innanzitutto dal finanziamento pubblico; ruolo preponderante degli eletti rispetto ai militanti; ecc.), ma privi di “legittimità” in quanto incapaci di svolgere adeguatamente le loro funzioni principali (vedi) – tra cui la funzione “cognitiva”. Occorre dunque interrompere questa deriva, ridare “autonomia” al partito (rispetto alle istituzioni), farne di nuovo una “palestra” di dibattito, confronto, apprendimento ovvero un dispositivo in grado di percepire i problemi della società e di elaborare soluzioni. Insomma “una palestra politica di mobilitazione cognitiva” (p.90).

L'Italia giusta. Era il 18 gennaio 2013 (foto scattata alla stazione FS di Bologna centrale)

L’Italia giusta. Era il 18 gennaio 2013 (foto scattata alla stazione FS di Bologna centrale)

[4] Per superare l’attuale autoreferenzialità, la chiusura in se stesso, è di fondamentale importanza la riattivazione di terminali intelligenti nella società. Sviluppare relazioni con quei pezzi di società che per professione o per impegno volontario (es. realtà associative) svolgono tuttora una funzione di “mobilitazione cognitiva”. Ma oltre a ciò Barca auspica un partito “aperto”. Nel partito nuovo occorre che il confronto pubblico non sia limitato ad iscritti e simpatizzanti, ma sia aperto anche ai “cittadini non iscritti al partito, ma interessati ai temi che esso dibatte” (p.95). Questa apertura agli “esterni” è anzi di fondamentale importanza proprio per rompere la tendenza all’autoreferenzialità! Infatti, “la partecipazione degli «altri» è la condizione per tenere vivo, all’erta, il processo di apprendimento e di produzione di conoscenza, non solo come effetto del dialogo fra gruppi dirigenti di diversi partiti. (…) Consente di evitare la sindrome dei gruppi eccessivamente affini che, isolandosi da opinioni esterne, stimolano il conformismo e perdono motivazione per investigare e apprendere” (pp.95-96). Magnifico!

Gehard Demetz, Be Priest, 2010 (foto Artefiera Bologna 30 gennaio 2011)

Gehard Demetz, Be Priest, 2010 (foto Artefiera Bologna 30 gennaio 2011)

[5] C’è un ulteriore aspetto nella proposta di Barca che merita di essere evidenziato. E’ il riconoscimento del fatto che la partecipazione non è solo strumentale a produrre conoscenza utile a prendere decisioni migliori. Essa è anche e innanzitutto un “fine in sé”, qualcosa di meritevole di essere comunque perseguita (e, dal punto di vista delle istituzioni, comunque offerta). Barca non si spinge a tanto, ma il tema vero è che la partecipazione è un diritto. Non solo partecipazione al voto per la scelta dei rappresentanti – questo è un dato acquisito –, ma partecipazione ai processi decisionali più importanti per la vita collettiva. Quando Barca afferma che “la partecipazione alle decisioni pubbliche (…) è al tempo stesso parte essenziale della qualità della vita che quelle decisioni influenzano, e dunque dell’eguaglianza” (p.87) o che si deve “mettere le persone nella condizione di partecipare e di voler partecipare (libertà sostanziale) alle decisioni pubbliche che riguardano la qualità della loro vita è parte essenziale della qualità della loro vita” (p.87; cfr. anche pp.169-170) questo è ciò che ne consegue: “democrazia deliberativa”, ovvero un tentativo di trovare un equilibrio più avanzato tra le istituzioni della democrazia rappresentativa e la partecipazione dei cittadini (vedi). Di nuovo: magnifico!

Antonella Cinelli, Doll Eyes n.1, 2012 (foto Artefiera Bologna 29 gennaio 2012)

Antonella Cinelli, Doll Eyes n.1, 2012 (foto Artefiera Bologna 29 gennaio 2012)

[6] Mi sembra che siano evidenti i motivi di interesse del manifesto di Fabrizio Barca. Sono riflessioni che vanno nella stessa direzione di quelle elaborate da Salvatore Biasco un po’ di tempo fa (Per una sinistra pensante. Costruire la cultura politica che non c’è, Marsilio, Venezia, 2009, 12 euro: vedi). Tra l’altro il commento più convincente alle tesi di Barca lo svolge proprio Salvatore Biasco (un suo intervento è riportato nel libro di Barca, alle pp.134-149 e contiene molte osservazioni ed anche qualche critica, benevola, al manifesto di Barca – assolutamente condivisibili, assolutamente da leggere!). Mi sembra anche evidente la diversità tra il “nuovo partito” prefigurato da Barca e l’attuale PD. Tanto che il manifesto scritto da Fabrizio Barca può essere inteso come una Messa da Requiem per questo PD. Che non cambierà certo molto facilmente – lo riconosce lo stesso Barca: “Elevata è la distanza fra il Partito Democratico di oggi e la forma partito qui delineata. Nonostante le forti potenzialità esistenti, sono forti anche i motivi che inducono i gruppi dirigenti esistenti a non cambiare.” (p.102) A livello locale, poi, i motivi di scetticismo sono ancora maggiori. Ma questo richiederebbe un altro post. Intanto, per cominciare la riflessione, si può partire da qui (vedi).

One Response to Il manifesto di Fabrizio Barca: diagnosi e terapia per un nuovo PD

  1. roberto monfredini ha detto:

    L’analisi è ottima, sociologica e politica, ma il problema è che a livello teorico abbiamo menti eccelse, a livello pratico siamo dietro al Ghana. Solo ieri sera al consiglio comunale di Spilamberto la motivazione di un consigliere di maggioranza per la bocciatura alla possibilità di videoriprendere le sedute delle commissioni consiliari: “se avviene senza telecamere il dibattito è più naturale e anzi si svolge con maggior dialettica e quindi migliora il risultato”. Tre consiglieri, due di maggioranza ed uno di minoranza, si sono dimessi da consiglieri dell’Unione Terre di Castelli in quanto non intendono comunicare (nuova normativa del ministero) la propria situazione patrimoniale e reddituale e quella dei familiari. Credo che siamo messi proprio male.

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