Negli ultimi anni si è aperta un nuovo ambito di business: quello dei servizi di consulenza in tema di partecipazione dei cittadini. Il tema va di moda e dunque le amministrazioni locali si sentono in dovere di dimostrare di fare qualcosa al proposito. D’altro canto i cittadini chiedono effettivamente di contare di più nel governo locale: chiedono informazione, trasparenza, partecipazione (ed è buona cosa! vedi). E’ così che si è aperto un nuovo mercato: quello dei “professionisti” della partecipazione. Ovvero quello di singoli, associazioni professionali o imprese che si propongono di aiutare gli enti locali ad organizzare la partecipazione. E che con questa attività ci campano. In questi ultimi anni ne ho visti all’opera tre: Genius Loci Sas con “Via della Partecipazione”, la “progettazione partecipata” (sic) di via Barella e via Libertà (vedi) – costo alla collettività 25.000 euro; LuoghiNonComuni Srl di Cristiano Bottone, incaricata della gestione dell’Iniziativa di Revisione Civica (IRC) sul progetto del comune unico di Valsamoggia (vedi); Andrea Pillon e Avventura Urbana, che per conto dell’Unione Terre di Castelli stanno conducendo il percorso di “ascolto strategico e partecipazione” sul PSC – costo alla collettività “fino a 70.000 euro” (vedi). Ho analizzato in dettaglio (e criticamente) queste esperienze di partecipazione (anche prendendovi parte – tranne l’IRC della Valsamoggia, che ho solo osservato, interloquendo con alcuni partecipanti e supervisori scientifici). E’ ora di proporre alcune semplici regole per cittadini che non vogliono farsi infinocchiare. Una sorta di Vademecum della “buona” partecipazione. Per evitare di spendere tempo ed energie e poi scoprire di essere stati presi per il naso.

La scala della partecipazione, illustrata da Rodolfo Lewanski (garante per la partecipazione della Regione Toscana) in uno degli incontri politici di discussione sul comune unico di Valsamoggia (foto del 24 aprile 2012). Ogni progetto di partecipazione dovrebbe indicare su quale gradino della scala si colloca!
[1] E’ vero. Fare “partecipazione” va di moda. E questo non è certo negativo, in sé. E’ anzi il riconoscimento dell’insufficienza delle sole istituzioni rappresentative (dunque della necessità di innestare “momenti partecipativi” o “momenti deliberativi” sul corpo un po’ esangue della locale democrazia rappresentativa: vedi). Ma la “partecipazione” che le amministrazioni locali propongono ha in genere alcuni vistosi difetti di fabbrica. In genere assume la modalità del “dite la vostra che poi faccio la mia”. E’ spesso una partecipazione non adeguatamente supportata da informazione, trasparenza, confronto, contraddittorio – tutte cose che introducono un po’ di rischio e di incertezza (e potrebbero ostacolare gli orientamenti decisionali già assunti dalle amministrazioni stesse). A volte è più manipolazione che altro. Spessissimo è rigorosamente controllata – al fine di renderla innocua, il meno disturbante possibile rispetto a decisioni già prese o interessi (non proprio generali) da difendere. Se le cose stanno così, allora è bene che anche i cittadini, quelli invitati a partecipare, sviluppino un minimo di expertise al fine di non farsi prendere per il naso. Partecipazione sì, ma con regole che ne garantiscano correttezza ed efficacia. Questo è il tema.

Gerardo de Luzenberger, di Genius Loci Sas, introduce uno dei momenti di “Via della Partecipazione” (foto dell’11 novembre 2009). Sappiamo com’è andata a finire.
[2] E questi sono alcuni requisiti per fare in modo che i “percorsi partecipativi” siano veri ed efficaci, ovvero diano un contributo significativo ai processi decisionali. Se i requisiti non sono soddisfatti significa che, con ogni probabilità, vi stanno prendendo per il naso.
- Debbono essere dichiarate sin dall’inizio le “regole del gioco”, ovvero come avviene la partecipazione e quali obiettivi essa si pone. E’ significativo, ad esempio, che queste non siano esplicitate nel caso del percorso di “ascolto strategico e partecipazione” del PSC – segno che qualcosa non va (vedi). Scendendo in dettaglio, tali regole sono quelle che specificano (a) quali informazioni sono a disposizione dei partecipanti (e perché, eventualmente, si giustifica un accesso incompleto alle informazioni disponibili); (b) chi presiede alla conduzione dei momenti “partecipati” e come questi sono organizzati (es. chi formula le domande che guidano il confronto tra cittadini – sul tema: vedi); (c) a chi è affidata la validazione degli esiti (es. come si approva il documento finale); (d) quali strumenti, metodologie, piattaforme tecnologiche sono a disposizione dei partecipanti per lo svolgimento dei compiti di confronto e dibattito (e quali modalità di utilizzo sono consentite). Senza una precisa definizione delle regole del gioco la partecipazione rimane una formula vuota, che non garantisce alcun esito di qualità. E’ quello che abbiamo sperimentato fin qui.
- Deve essere prevista una “cabina di regia” a cui sia chiamato a partecipare un rappresentante dei cittadini, dotato di un minimo di competenza in tema di processi partecipativi. Le modalità di implementazione, infatti, contano. E queste decisioni (dalle più banali, come diffondere gli “inviti” alla partecipazione, fino a quelle più complesse, quali strumenti ed opportunità mettere a disposizione dei partecipanti, ecc.) influenzano spesso in modo significativo sia le reali possibilità di contare, sia l’esito dei processi partecipativi. La presenza di una “cabina di regia” è garanzia del fatto che le micro-decisioni organizzative non vengano utilizzate con intento manipolatorio. E’ garanzia per i cittadini che le cose vengano organizzate secondo principi di equità, trasparenza ed efficacia. Questo è riconosciuto, tra l’altro, anche dalla legge regionale n.3/2010 che premia, non a caso, i progetti di partecipazione che prevedono appunto una tale “comitato di pilotaggio” (la legge lo chiama così) (vedi).
- Ci deve essere un impegno ad una rendicontazione ed una verifica a posteriori (coinvolgendo i principali esponenti delle diverse posizioni in campo), con conseguente pubblicazione dei risultati. Servirebbe anche un’authority indipendente, con funzione di controllo e valutazione (qualcosa di simile è attivabile per quelle esperienze di partecipazione finanziate in base alla legge regionale n.3/2010 dell’Emilia-Romagna, ma andrebbe esteso e generalizzato). L’impegno a rendere pubblica la valutazione, anche in contraddittorio, non è certo garanzia di qualità, ma aiuta indubbiamente i processi di apprendimento nella comunità dei cittadini. Dopo esser stati presi per il naso una prima volta, è più difficile che succeda una seconda.

Un momento del “planning for real” proposto da Genius Loci sas durante “Via della Partecipazione” (foto del 14 novembre 2009). Mesi dopo Via Libertà è stata “riprogettata”, senza più coinvolgere i cittadini, in incontri riservati tra i tecnici dell’amministrazione ed alcuni commercianti della via.
[3] Dunque, non importa se la “partecipazione” è gestita da “professionisti” con tanto di curriculum! E’ bene dire in modo chiaro, anzi chiarissimo, che l’intervento di tali “professionisti” non è affatto sinonimo di qualità. Specie se si guarda a tali esperienze dal punto di vista dei cittadini – come occasione di un reale processo di empowerment. Al proposito vanno segnalate due criticità, una dal lato del committente (gli amministratori locali), l’altra dal lato dei consulenti.
- La prima riguarda la scelta del consulente, della sua expertise, del metodo che propone. Ciascuno offre un profilo differente di abilità e metodi di intervento. Il fatto è, però, che assai spesso gli amministratori non distinguono l’uno dall’altro, non fanno differenza. Che si tratti di Open Space Technology, di Citizen Jury, di “revisione civica”, ecc., per loro non fa differenza. Certo, un po’ di anglicismi fa bene. Fa “vendere” meglio l’evento. Comunque, non avendo competenze specifiche, risultando privi di una “cultura della partecipazione”, gli amministratori vengono a dipendere, nella formulazione della richiesta di servizio, dai consulenti. Il consulente dovrebbe rispondere ad una domanda degli amministratori, solo che questi non hanno le competenze necessarie per formulare tale domanda, per richiedere uno specifico intervento o perlomeno per valutare (criticamente) le proposte che il consulente formula. Alla fine, dunque, si decide in base al prestigio del consulente o ad altri fattori, ma non in base all’appropriatezza della sua proposta.
- La seconda, invece, riguarda la “lealtà” del consulente, a volte divisa tra amministrazione locale, da un lato, e cittadini, dall’altro. Il fatto è che costoro rispondono innanzitutto al committente – questo va detto con grande chiarezza! Non stanno organizzando la “partecipazione” per dare opportunità e potere ai cittadini. Ma per consentire all’amministrazione locale di conseguire il suo obiettivo. Nel caso in cui ci siano aspettative od esigenze divergenti tra cittadini ed amministrazione, voi potete stare sicuri che questi si schiereranno dalla parte del committente (il più delle volte senza dichiararlo esplicitamente – ovviamente). Dalla parte di chi li paga. Si è mai visto un consulente dire ad un amministratore: “guarda, quello che tu mi chiedi contraddice i principi della buona partecipazione, dunque non posso farlo”? Sì, una volta su cento, però.

Andrea Pillon di Avventura Urbana, l’ente incaricato di gestire il processo di “ascolto strategico e partecipazione” per il PSC dell’Unione Terre di Castelli (foto del 21 gennaio 2013). Auguri ai cittadini!
[4] Come salvarsi, dunque, dalle cattive esperienze di partecipazione? Da percorsi gestiti in modo maldestro, inappropriato rispetto al fine, poco trasparente, con finalità manipolatorie? Appunto verificando che i requisiti precisati sopra – chiarezza delle regole che definiscono il “potere” dei partecipanti, presenza di una “cabina di regia” con rappresentanza dei cittadini, verifica formale e pubblica a posteriori – siano contemplati nel progetto di partecipazione. Insomma, servirebbe una sorta di “certificazione di qualità” dei “consulenti” dal lato del cittadino. Un controllo rigoroso dei criteri di qualità di tali servizi – anche dal lato degli utenti (i cittadini). Così non è stato in nessuno dei tre casi citati. Anzi, un’analisi attenta fa piuttosto ipotizzare che tali “percorsi” non siano fatti a servizio dei cittadini, per dare loro un’effettiva voce in capitolo, ma secondo modalità funzionali alle amministrazioni. E’ bene che i cittadini, sempre più spesso invitati alla “partecipazione”, ne siano consapevoli.
Ci sono due tipologie di “professionisti” quelli ben descritti in questo post e una ristretta cerchia di cittadini sicuramente interessati alla cosa pubblica, magari appartenenti a più associazioni. Il tema è trovare le modalità per coinvolgere una platea più ampia di persone.
Condivido l’analisi proposta in questo post.
A quando amministratori della cosa pubblica capaci di fare analisi di questo livello e comportarsi di conseguenza?
Non basta prendere delle precauzioni: ormai “loro” (i professionisti) sono sempre più in combutta con le amministrazioni che li nominano e li pagano, per cercare di arrivare alle conclusioni già decise prima dalle stesse amministrazioni. Altrimenti nessun sistema di questo tipo (delle 3 carte) dove credete voi di scegliere, potrebbe funzionare. E’ la ripetizione in piccolissimo, di ciò che accade in grande, ad esempio al MPS.
Tema sul quale, se volete saperne di più di quello che vi “raccontano” i giornali, dovete visionare il Video (piccolo) che trovate qui: http://www.ilrischiocalcolato.it/
Questi, di cui parla l’articolo, sono gli epigoni in piccolo, di quelli, finalmente un pò in difficoltà. Ma mai quanto noi.
Buona Visione.
Ho partecipato ad uno di questi processi e sto partecipando a quello avviato per la città metropolitana di Bologna.
E’ vero chi “comanda” sta inserendo momenti di chiacchiericcio per darsi un’immagine di apertura e poter dire che ha fatto “partecipazione”. Il rischio è che i cittadini, ancora una volta “presi per il naso” , si allontanino definitivamente dalle rappresentanze amministrative e politiche.
Quello di cui pochissimi si rendono conto è che sono saltati tutti i parametri,non tanto della politica,quanto dell’economia, che stà diventando una economia di GUERRA.
Per questo motivo,chi può espatria,dopo aver espatriato prima i propri capitali.
Tutti i politici sono quì solo per prenderci per il naso, ma fortunatamente i cittadini per bene si sono già definitivamente allontanati dalle rappresentanze amministrative e politiche e di questi tempi anche “bancarie”.a prescindere.