Sinceramente non sarei riuscito a prevedere il risultato del referendum, ma mi sarei certamente aspettato una partecipazione molto maggiore (qui i risultati: vedi). Pensandoci però, è vero che i cittadini hanno partecipato ai referendum quando hanno interessato diritti individuali o quando riguardavano argomenti che inducevano una certa paura, il nucleare, l’acqua privatizzata etc. In realtà non c’è mai stata in questo paese una classe politica che abbia voluto affrontare e spiegare ai cittadini i temi complessi, preferendo restare nella convinzione che i cittadini non li avrebbero mai capiti.

Enrico Prampolini, Astrazione in due tempi (Composizione spaziale n.42), 1930, GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma (foto del 24 novembre 2012)
Solo con la recente crisi e con il governo Monti le persone hanno cominciato a capire che i problemi sono piuttosto complessi e le soluzioni non possono essere semplici. In realtà penso che i processi di fusione dei comuni siano partiti sull’onda della critica ai costi della politica, della casta, delle poltrone. Forse solo i sindaci si sono resi conto che in piccoli comuni, non c’è più nulla da governare e che si potrebbe anche fare a meno del sindaco, in queste condizioni, visto che ci si deve limitare ad una gestione ordinaria ed a tagli dettati dall’alto. L’eliminazione dei consigli comunali e dei sindaci sarebbe il massimo dal punto di vista del risparmio dei costi della politica. Ma in realtà questa questione è ridicola, non sono certo le striminzite indennità di sindaci, giunte e consiglieri a costituire un problema per la spesa di un comune, basterebbe rinunciare alle luminarie a Natale o ad una sagra per comune per ottenere un risultato analogo. Magari il tema potrebbe essere che per un grande comune si potrebbe trovare un sindaco e una giunta di maggiore qualità rispetto alle attuali. Rendiamoci conto che nei piccoli comuni, ma potremmo arrivare tranquillamente ai 30.000 abitanti nessuno di coloro che hanno un mestiere o una professionalità è disposto a sacrificarla per fare il sindaco, è diventato un lavoro per pensionati o per dipendenti pubblici. Quindi mentre parliamo di merito dovremmo mettere mano anche ad una riforma sostanziale del sistema istituzionale. Forse si pensava in definitiva che l’indignazione anticasta bastasse, che bastasse dire riduciamo da 5 a 1 sindaci e consigli. Come si vede per il 51% della popolazione che è rimasta a casa questo tema ha un importanza relativa, penso che questo 51% sia sostanzialmente indifferente al tema, pensi che non gli cambia nulla, la mia casa , la scuola, l’ospedale rimangono dove sono sempre state. Quindi penso che questa maggioranza silenziosa sia sostanzialmente abbastanza indifferente, altrimenti visto che tutti sapevano del referendum sarebbero andati a votare.

Emilio Vedova, Immagine del tempo, 1946-1951, GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma (foto del 24 novembre 2012)
D’altra parte in queste discussioni si enfatizzano sempre i temi dei costi, dei risparmi e dei contributi, che pur avendo un suo peso, non sono determinanti. Un analogo risultato si può ottenere con una buona unione di comuni senza bisogno di referendum. Il tema è un altro a mio parere, nessuno è riuscito a spiegare ai cittadini di questo paese che buona parte dei bisogni e delle soluzioni ai problemi quotidiani della gente non stanno nella disponibilità di un sindaco, nel senso che per temi come il lavoro, lo sviluppo, la sanità, la scuola, il sindaco non ha risorse, competenze, poteri per incidere direttamente. Le leve indispensabili per governare un territorio e risponderne ai cittadini non sono leve che un sindaco possa azionare direttamente con i necessari poteri e le necessarie risorse (vedi). Qualunque sindaco vi racconterebbe di ricevere quotidianamente cittadini per i cui problemi non ha risposte, se è molto bravo si arrabatta facendo telefonate, chiedendo piaceri, rompendo le scatole a questo o a quello per tentare di approssimare una risposta o anche semplicemente per dire che ci ha provato. I sindaci di questi comuni mi sembra quindi che non abbiano grandi colpe, si sono resi conto che il loro lavoro così non aveva più senso e con un certo coraggio hanno provato a cambiare. In un contesto politico in cui nessuno fa scelte coraggiose e men che meno innovative se non affidandosi ai governi tecnici, sinceramente a questi sindaci si dovrebbero fare i complimenti per aver avviato un percorso che si sapeva incerto dal principio. Visto poi che nessuno in questo paese rinuncia mai alla propria poltrona, diamogli atto di essere parte di quella buona politica che tutti vorremmo, altrimenti ci rimangono solo quelli che non scelgono mai, che non si assumono mai dei rischi e che pensano solo a loro stessi.

Alberto Burri, Grande legno n.59, 1959, GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma (foto del 24 novembre 2012)
Anche il povero Donini che ha difeso fino alla morte un progetto ambizioso e incerto, lo metterei tra coloro che hanno avuto coraggio e senso di responsabilità. Io penso che tutta questa problematica debba essere risolta da una politica intelligente e capace, che elabora, spiega e illustra il suo progetto, ma poi decide assumendone la responsabilità e dimostrando nei fatti la bontà di un progetto. Prendiamo atto che l’unica cosa sulla quale il referendum ha dato un indicazione chiara è il nome del nuovo comune. Anche la questione degli studi non enfatizziamola troppo, ce ne sono a decine, anche molto seri della comunità europea fatti in tutta europa che pongono a 50.000 abitanti il comune ideale che ottiene il massimo risultato di efficacia ed efficienza. Ma ditemi cosa ce ne facciamo di questi studi se manca un progetto di riforma istituzionale complessivo. I comuni sono strumenti per dare risposte ai bisogni dei cittadini, la loro forma, dimensione ed organizzazione deve dipendere dal ruolo e dai poteri che gli si vuole assegnare. In Spagna ad esempio se i comuni si fondono o si uniscono fino ad arrivare ad un certo numero di abitanti hanno risorse e poteri per gestire scuola, sviluppo, servizi sociali e sanitari, altrimenti tali competenze sono assolte per i comuni troppo piccoli dalle provincie, Allora sì che un referendum “Volete gestirvi localmente i servizi scolastici, sociali e sanitari e lo sviluppo del vostro territorio o volete delegarlo alla provincia?” è degno di una risposta partecipata da parte dei cittadini. L’Assemblea regionale quindi, invece di interrogarsi su chi ha vinto il referendum e sul da farsi per questi 5 comuni, si impegni a sviluppare una riforma profonda del sistema delle autonomie locali. Invece di farsi passare sulla testa un ridicolo ridimensionamento delle provincie, elabori una propria riforma cedendo poteri e risorse a quei comuni che si uniscono.

Guenther Uecker, Spirale scura, 1970, GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma (foto del 24 novembre 2012)
A cosa servono migliaia di dipendenti e centinaia di dirigenti regionali che si occupano di gestione del sociale, di scuola, di ambiente ed urbanistica? Per fare norme e leggi ne basterebbero qualche decina a tempo determinato. Possibile che dalla riforma del titolo quinto della costituzione, che doveva mettere sullo stesso piano comuni, regioni e stato, trasferendo ai comuni tutta la gestione, non ci sia stato un solo trasferimento di competenze e risorse ai comuni, che la riforma costituzionale si sia fermata al livello regionale e non sia andata oltre scendendo ai livelli istituzionali più bassi, esaurendosi in una guerra quotidiana tra regioni e stato sulle competenze? Come sono finite le regioni, chiuse nella propria autoreferenzialità e nell’accentramento del proprio potere è davanti agli occhi di tutti. Possibile che l’ultimo tentativo di riforma istituzionale lo abbia fatto l’assessore regionale Vandelli ormai 12 anni fa. I sindaci dei cinque comuni penso che i loro 1500 euro se li siano guadagnati tutti in questa avventura, così non è per gli oltre 7000 euro dei consiglieri regionali tutti. Se c’è una responsabilità dell’insuccesso di un referendum che in queste condizioni ha poco senso sta tutto sull’assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna, che non è stata in grado di creare le condizioni minime al contorno, in modo che la fusioni di cinque comuni avesse un senso che andasse oltre la riduzione dei sindaci da 5 a 1. Altrimenti la prossima proposta potrebbe essere che con la indennità di un consigliere regionale si pagano le indennità di tutti e cinque i sindaci e che quindi se i consiglieri regionali non fanno le leggi che servono tanto vale eliminare questi ultimi invece che accorpare i comuni.
Roberto Adani