Località Ziribega, comune di Monteveglio. Al confine con Castello di Serravalle. Periferia della periferia della periferia. Un agglomerato di case lungo una strada. Già cercando e non trovando un posto per parcheggiare l’auto si capisce che c’è qualcosa che non va nel “progetto” urbanistico della località (impressione poi confermata da resoconti di “cittadini informati”). Io sono forestiero, vengo da Vignola per partecipare ad un incontro organizzato dalle liste civiche del territorio “contro” il progetto della fusione dei 5 comuni della valle del Samoggia, in vista del referendum del 25 novembre. “C’è chi dice no!!!” – questo è lo slogan che introduce l’incontro di ieri pomeriggio (sabato 10 novembre, presso un piccolo locale adibito a “centro civico” di borgata; 40 i partecipanti), come i molti altri che si tengono in questi giorni nella valle. La cosa che colpisce in questa mobilitazione contro il “progetto” della fusione è che non è affatto basata sulla difesa del campanile e delle “piccole patrie” (per una trattazione più estesa: vedi). Le critiche si concentrano sul “progetto” o, meglio, sulla mancanza di un progetto vero; sulle manipolazioni all’informazione ed al “processo” verso la fusione messe in atto dagli amministratori locali (tra cui i “surrogati” della partecipazione: vedi); sulla lontananza percepita tra il ridisegno istituzionale ed i problemi quotidiani dei cittadini (che vorrebbero una parola chiara sul modo in cui il comune unico migliorerà la qualità della loro vita). Proviamo a capire.

La bella chiesa di Sant’Apollinare, in località di Mercatello, sulla strada tra Castello di Serravalle e Monteveglio, pochi km prima di Ziribega (foto del 10 novembre 2012).
[1] Le liste civiche dei comuni interessati presidiano una posizione tutt’altro che facile. Il loro non è un no “di pancia”. Non è a difesa delle identità locali. Non è la difesa delle “piccole patrie”. Non che queste non vadano difese, ma c’è consapevolezza che tra la difesa del radicamento nel territorio, della “tipicità” locale, del sentimento di appartenenza a luoghi concreti, da un lato, e dimensioni e caratteristiche dell’infrastruttura amministrativa, dall’altro, non c’è una relazione diretta. Non è la difesa aprioristica del “piccolo è bello”. Ma non si ritene convincente neppure il suo contrario: più grande è meglio, aprioristicamente, acriticamente (un discorso che vale sia per gli enti locali, sia per le aziende pubbliche come HERA: vedi, ecc.). Insomma la posizione del no non è contro la “modernizzazione” istituzionale, tanto che in diversi (anche tra gli intervenuti all’incontro di Ziribega), affermano di essere favorevoli in principio ai processi di aggregazione di comuni (qui le FAQ sul NO: vedi). Certo, la fusione comporta oggi l’accesso a trasferimenti regionali e statali importanti, per quanto non del tutto certi in termini di importo e continuità (ricordiamo, però, che doveva essere così anche per le Unioni di comuni, ma che poi i corrispondenti trasferimenti sono stati pesantemente ridimensionati nel tempo). Comunque è innegabile, da questo punto di vista, il vantaggio di essere i primi. Un vantaggio economico ci sarà indubbiamente. Ma ci saranno anche costi derivanti dalla riorganizzazione (e questi non sono stati contabilizzati), così come costi e disagi (concentrati in uno o due anni, forse meno) derivanti dalla omogeneizzazione dei servizi, visto che l’attuale Unione di Comuni, sorta nel 2009 sulle ceneri della precedente Comunità Montana, ad oggi gestisce in forma associata solo una parte piccolissima dei servizi (equivalente al 10-20% della spesa corrente comunale). Insomma, dopo lo studio di fattibilità realizzato su commissione dagli esperti della SPISA dell’Università di Bologna (vedi) è mancato un serio lavoro di definizione del progetto e quindi di discussione delle sue parti con i cittadini. Lo hanno riconosciuto anche i 20 partecipanti all’Iniziativa di Revisione Civica (IRC) messa in campo dalle amministrazioni come “surrogato” di un processo di informazione e deliberazione più ampio (con il potenziale coinvolgimento di ogni cittadino interessato). Dopo aver sentito le testimonianze pro-fusione di alcuni sindaci i “revisori” hanno concluso: “servono dati certi”, “abbiamo riscontrato che spesso mancano dati certi” (18 revisori su 20 concordano); “sarebbe importante conoscere come, dopo l’eventuale unificazione, potrebbe funzionare il Comune unico. Avere dei dati che consentano di capire meglio cosa porterà la fusione dei diversi Comuni in termini di servizi, costi, risparmi, benefici ecc. Nel corso della revisione non siamo riusciti a capire se questi dati esistono” (18 revisori su 20) (pdf). Non è proprio esaltante impostare un passaggio così impegnativo (da 5 comuni al comune unico) come un atto di fede nei confronti degli attuali amministratori e dei partiti che li sostengono. E’ assolutamente comprensibile, invece, l’esigenza di “volere capire” nel modo più preciso possibile cosa succederà, come funzionerà, quale assetto dei servizi e degli organi di rappresentanza (altro nodo critico: vedi). E’ singolare che la risposta a queste richieste di chiarimento da parte di una parte consistente dei cittadini sia trattata, dagli amministratori locali e dai partiti pro-fusione, in termini di “schivamento”. Nessuna risposta nel merito. Da mesi la linea è questa.

Tamara Masi, consigliere capogruppo della lista Monteveglio Bene Comune, introduce l’incontro a Ziribega (foto del 10 novembre 2012).
[2] E’ un no che si alimenta anche di sfiducia verso amministratori, istituzioni locali, partiti. Alla sfiducia generalizzata verso partiti ed istituzioni (montante in tutta Italia) si somma, però, la sfiducia specifica provocata dall’incapacità degli interlocutori (amministratori e PD locale) di prendere sul serio preoccupazioni e richieste di chiarimento assolutamente ragionevoli, peraltro espresse in modo del tutto trasversale – come testimoniano le “raccomandazioni” formulate dalla quasi totalità dei partecipanti all’IRC. Il percorso verso il comune unico è risultato impostato, infatti, come un processo amministrativo tutto interno al “sistema politico” locale, come una decisione maturata in un gruppo ristretto di amministratori locali e dirigenti di partito e poi “imposta” alle comunità – fino al referendum del 25 novembre, in cui, però, i cittadini chiamati a partecipare potranno dare il proprio voto in base ad un’idea, non certo ad un progetto. E come sempre succede in processi top-down gli spazi per la discussione vera si restringono fino quasi a scomparire, perdendo di rilevanza rispetto ai dilatati spazi della propaganda, del marketing, delle piccole “furberie” per “far passare” una decisione già assunta. Trascurando però i rilevantissimi costi che ha un tal modo di procedere in termini di consunzione della fiducia verso le istituzioni. Chi ha seguito con continuità il percorso verso il referendum del 25 novembre – snodo decisivo per l’avvallo del progetto, nonostante sia puramente consultivo – è stato testimone di numerosi episodi in cui la “vera politica” è stata soppiantata da piccoli opportunismi:
- l’intervento, confezionato ad hoc per la Valsamoggia, di eliminazione del quorum al referendum sulla fusione inserita nelle pieghe della legge di bilancio per il 2012 della Regione Emilia-Romagna (vedi). Il modo opaco del procedere e l’opacità delle ragioni sono gli aspetti che più disturbano in questa vicenda. Per il resto si potrebbe dire che il quorum andrebbe eliminato in tutti i referendum (e si dovrebbe agire di conseguenza, a livello regionale e locale, ma sul fronte di tutti gli altri referendum nessuno si è mosso);
- il rifiuto dei sindaci di accettare “esperti civici” esterni ai tavoli di approfondimento sullo studio di fattibilità a cui erano invitati i consiglieri comunali dei 5 comuni;
- la messa in campo di un “momento deliberativo”, l’Iniziativa di Revisione Civica, come surrogato di una partecipazione più ampia, vera, aperta di tutti i cittadini interessati. La proposta dell’IRC nasce tra l’altro come “reazione” alla proposta di un percorso partecipativo, fatto sotto le insegne della legge regionale sulla partecipazione n.3/2010 (vedi), avanzata da SEL nell’aprile 2012. Essa risulta dunque una contromossa strumentale, una foglia di fico utile agli amministratori locali per coprire il mancato investimento in partecipazione e coinvolgimento delle comunità locali (cosa sarebbe stato corretto fare? Terminato lo studio di fattibilità, prima di ogni decisione, andava avviato un processo deliberativo aperto a tutti i cittadini, un anno di “cantiere partecipativo” per approfondire il progetto del comune unico). Alla fine anche l’IRC è stata piegata a finalità di marketing politico, cosa di cui hanno dovuto prendere atto anche i ricercatori dell’Australian National University osservatori scientifici dell’evento (vedi);
- il rifiuto di qualsiasi contraddittorio pubblico tra i sostenitori del sì e quelli del no (una modalità dialettica che aiuta i cittadini-spettatori a comprendere meglio la solidità delle ragioni pro e contro questa fusione);
- pratiche di marketing politico come l’esibizione di “testimonial per il sì” come Massimo D’Alema (venuto giovedì 8 novembre a Crespellano a promuovere la fusione) e pure Susanna Camusso che sarà a Bazzano il prossimo 14 novembre (vedi). Queste pratiche di “sponsorizzazione” che caratterizzano le campagne elettorali (non sarò certo l’unico a ricordare l’endorsement di Pierluigi Bersani per Delbono alle primarie del 2009 per la scelta del candidato a sindaco di Bologna: vedi – abbiamo poi visto com’è finita) sono operazioni di puro marketing in cui si spende il prestigio di personalità che nulla hanno a che fare con le vicende locali e che nulla sanno del dibattito locale. Se servono a produrre argomenti nuovi o più solidi verso questa fusione (non verso l’astratta aggregazione tra piccoli comuni) sono certamente utili, ma se si limitano ad “incensare” le scelte già compiute, senza rispondere alle richieste avanzate dai cittadini perplessi o non convinti dal (mancante) progetto sono azioni manipolatorie. Se qualcosa dovesse andare storto nel progetto del comune unico quali “assunzioni di responsabilità” si prenderanno D’Alema e la Camusso? Le stesse che Bersani ha preso dopo l’affaire Delbono. Nessuna.
- l’abbinamento di un secondo referendum, sulla scelta del nome del futuro comune (a proposito, il sondaggio online de Il Resto del Carlino assegna il 63% delle preferenze al nome “Valsamoggia”), a quello principale sul sì o il no alla fusione (peraltro solo consultivo), come se questo fosse il tema vero e non, invece, una strizzata d’occhio al marketing populistico. Ci fosse almeno l’impegno ad attuare un vero percorso deliberativo per elaborare lo statuto del futuro comune e poi sottoporlo a referendum!

Rodolfo Lewanski, docente all’Università di Bologna e tecnico di garanzia per la partecipazione della Regione Toscana, parla di partecipazione dei cittadini (mancata) nel processo verso il comune unico. Alle sue spalle la slide con la “scala della partecipazione”. In valsamoggia ci si è fermati al secondo gradino (foto del 10 novembre 2012).
[3] Ciò che colpisce dell’incontro di Ziribega è che molti di questi cittadini voterebbero sì al progetto del “comune unico” se solo fosse anche il loro progetto. Un progetto, cioè, che consentisse ai cittadini di contare di più nell’amministrare la loro città ed il loro territorio e che contenesse impegni concreti e verificabili sul miglioramento della dotazione di servizi. Nessuna concessione all’anti-politica, ma tanta “altra-politica” (come precisa Stefano Rodotà: vedi). E’ un peccato vedere il principale partito del centrosinistra, il PD, incapace di percepire questo messaggio. Un messaggio in bottiglia. Che da un anno a questa parte gruppi più o meno organizzati di cittadini stanno mandando. Da ultimo anche da Ziribega, piccola località alla periferia della periferia del futuro comune unico.
Qui le FAQ sulla fusione dei comuni, chiaramente per il SI’, dal sito web realizzato dall’Unione dei comuni della Valle del Samoggia a sostegno del progetto di comune unico (vedi). Qui invece un video che senza prendere posizione dà voce alle opinioni del sì e del no sul comune unico della Valsamoggia (vedi).
Trovo che nella critica, presentata in modo garbato ed elegante, rispetto al mancato coinvolgimento (figlio di un interesse particolaristico, come alcuni sostengono) ed all’assenza di un progetto che marcherebbe concretamente la percezione di lontananza tra quotidianità e disegno istituzionale, ci sia un errore di partenza. Provo spiegare il perché.
Qualsiasi progetto o azione di riforma istituzionale, com’è la fusione dei comuni della Val Samoggia, ha il fine di predisporre le condizioni per dare con più efficacia le risposte ai problemi quotidiani delle persone. La logica sta nel perseguire prima una riorganizzazione ed una semplificazione strutturale, per poi fornire servizi e altro ancora, meglio allineati con le esigenze e la situazione attuale. Logica imperfetta finché si vuole, ma che è un indubitabile passo avanti rispetto alla gestione di secondo livello di un territorio che va sempre di più strutturandosi come sistema ben definito ed in rete con gli altri sistemi regionali.
E se è comprensibile la sensazione diffusa di intangibilità del progetto, non è però ammissibile procedere a valutare il progetto di fusione come se si trattasse di un’uguaglianza dove, inconsistente il secondo termine, automaticamente cade il primo.
Non siamo di fronte ad un’equazione, ma agli argomenti dimostrativi di una tesi la cui conseguente sono i contenuti anticipati in forma di impegni per il domani.
Quindi si tratta di un progetto politico?
Sì! Le riforme o i ridisegni istituzionali si fanno a partire da una strategia politica, da un’idea concreta di futuro per il territorio.
È un progetto “interno al sistema politico locale” (di maggioranza aggiungo io)?
No, perché i criteri riorganizzativi della rappresentanza locale (che di questi tempi non mi sembra in punto secondario) sono stati presentati e discussi nel corso di svariati incontri con i cittadini, in sede pubblica o istituzionale. Ed inoltre non è mai stata negata ad alcun amministratore la parallela possibilità di discutere e portare i propri elementi al progetto.
Detto senza polemica, chi quindi oggi detrae il progetto dovrebbe contestualmente rammentare il proprio rifiuto, pur in veste di rappresentante eletto direttamente, a partecipare ai tavoli di revisione progettuale (secondo la mia sensibilità politica, fossi stato all’opposizione avrei invece marcato la presenza sui tavoli istituzionali).
Come altri dovrebbero rammentare altrettanto bene il tentato baratto di alcune identità locali con l’appoggio ad una fusione di minor estensione (per dire su che livelli si è rischiato di finire!!).
È un progetto avulso dalla ricerca sui contenuti? Anche questo è infondato, non fosse altro per il quotidiano lavoro degli amministratori per consegnare all’auspicabile Nuovo Comune le condizioni su cui basare una futura riorganizzazione dei servizi, equilibrata ed equiparabile in ciascuna parte del territorio.
Ed a proposito dei contenuti mi permetto poi di aggiungere, per dovere di replica e solleticato sul vivo di attivista di lungo corso della “ditta”, con occhi, orecchie e naso non meno attenti alle tensioni ed esigenze della “clientela” (per me un tutt’uno fra cittadini e prospettive per una zona suburbana e rurale), le occasioni messe in piedi in cui cittadini, associazionismo, mondo produttivo rappresentanti politici e amministratori locali o regionali, potessero confrontarsi sui contenuti -pratica sportiva, servizi sociosanitari, lavoro e crescita produttivo, per citarne alcuni- e su come potrebbero svilupparsi il giorno dopo l’eventuale approvazione referendaria.
Niente di eccezionale, ma ne più ne meno di quello che secondo me sta nel ruolo di una forza politica.
Chiudo scrivendo che questo percorso di riforma non è un’operazione fredda o in vitro o distante dagli interessi delle persone. È un percorso politico promosso e portato avanti con solide ragioni ed elementi reali per concretizzare una proposta di futuro del territorio e di società.
E mi permetto di negare anche la pretesa di vacuità (il marketing politico) nell’interessamento mostrato dalla politica nazionale per la fusione di cinque municipalità, perché fatico a pensare all’on D’Alema e all’on. Galletti in veste di “testimonial” prestati a fare “passerella” a Crespellano (iniziativa di cui vado invece fiero, intoppi tecnici a parte!).
Michele Zanoni
(Crespellano)
Non ho alcun problema a riconoscere che il progetto di fusione dei 5 comuni della Valle del Samoggia sia un progetto coraggioso ed ambizioso. Ma, allo stesso tempo, mi sento di dire che è stato condotto in modo eccessivamente maldestro. E nel progetto trovo aspetti non convincenti (es. l’architettura della rappresentanza su quattro livelli – facile prognosi: non funzionerà). Mentre altri rimangono indefiniti, per cui si chiede una sorta di “atto di fede”: andrà tutto (o quasi) bene, si starà certamente meglio. Dalla sua il “progetto” ha indubbiamente le risorse che, con esso, piovono sul territorio. Anche se nessuno può fare assicurazioni più in là di qualche anno (non certo dieci, abbiamo visto come le cose sono andate con le Unioni). Ma se si vuole per davvero convincere gli elettori, quelli che dovrebbero partecipare al referendum del 25 novembre, bisogna avere la capacità di produrre qualche argomento un po’ più solido. Ribadisco: se li si vuole convincere. Allora bisognava (1) mettere a punto un documento progettuale meno indefinito ed aleatorio dello studio di fattibilità della SPISA (non mi sembra che i tavoli tecnici successivi con gli amministratori locali abbiano prodotto granché). (2) Si poteva inoltre elaborare una bozza di bilancio del nuovo comune, evidenziando le risorse in più ed ipotizzando 3 o 4 impieghi alternativi, così da rendere tangibili i vantaggi del nuovo assetto (nuovi trasferimenti inclusi), ma anche rappresentando i costi aggiuntivi della riorganizzazione e pure i disagi (omogeneizzazione dei servizi e delle tariffe, gestione dei contratti in essere e loro superamento, redistribuzione del personale, ecc.). (3) Si poteva, ancora, predisporre una bozza dello Statuto del nuovo comune, in cui magari innovare in modo significativo sul versante della trasparenza, dell’informazione, del coinvolgimento e partecipazione dei cittadini alle principali decisioni amministrative (PSC, piano della mobilità, dell’energia, ecc.). Dando con forza il messaggio: non ridisegniamo solo i confini amministrativi, ma anche i confini “interni” tra istituzioni e cittadini. (4) Si poteva, infine, far partire un vero processo partecipativo, certo più dispendioso in termini di energie, non appena disponibili i documenti dello studio di fattibilità. Raccogliere osservazioni e dubbi e quindi incaricare di nuovo un pool di esperti a formulare le loro valutazioni e proposte, così da mobilitare centinaia di cittadini non a partecipare ad un’assemblea, ma a costruire il progetto. Rinunciando a quella micro-esperienza deliberativa che è l’IRC (è con riferimento ad essa che uso l’espressione “in-vitro”, in contrapposizione ai processi partecipativi “in vivo”, ovvero potenzialmente aperti a tutti gli interessati) – una metodica che ha senso prima della decisione, non quando questa è già stata presa da tempo! Invece non solo non si sono fatte queste cose, ma il progetto è stato portato avanti con quei piccoli opportunismi che ricordo nel post: dalla modifica delle regole sul quorum (praticamente di nascosto!!!), fino, appunto, all’IRC come “surrogato” di processi partecipativi che si è preferito non attivare (nonostante le sollecitazioni pervenute da SEL). E fino alla scelta di affidare l’organizzazione dell’IRC (che dovrebbe dare l’idea di imparzialità) alla stessa azienda pagata per realizzare la campagna promozionale! Ecco, con questi “ingredienti” sarebbe rimasto ugualmente un progetto politico, ma con ben altro respiro, con ben altra volontà e capacità di convincimento. Ultima cosa: D’Alema, Galletti, Camusso, Merola, Franceschini e non so chi altri: non c’è dubbio che siano testimonial che vengono a “spandere” un po’ del loro prestigio (novelli re taumaturghi)! A meno che non vengano a produrre buoni argomenti pro-fusione, in grado di convincere chi dubbioso assiste al dibattito locale. Ma per produrre buoni argomenti occorre prendere sul serio le obiezioni della controparte – unico modo per realizzare una politica “deliberativa”. Ma forse tu sei soddisfatto ed orgoglioso di questa politica che a me, invece, lascia perplesso.
Salve a tutti vedo in queste discussioni una grande confusione da entrambe le parti , noi stiamo entrando in tale fusione con tutti i dubbi che vedo riscontrati da voi , vi seguirò con piacere per cercare di capire il più possibile ,il bello è che voi da un unione nel 2009 di 5 comuni che poi a avuto solo esiti fallimentari e le solite opportunità per i soliti avete fatto una fusione di 5 comuni ,da noi caso strano un unione avvenuta nel 2003 con tante promesse e come da voi solo fallimenti e opportunità per i soliti , la fusione è stata approvata solo da 2 comuni su 5 , già siamo partiti male ,il mio unico dubbio è che se non ha funzionato così bene tale fusione da voi ,come potrà funzionare bene da noi , continuo a pensare che tutto ciò si faccia esclusivamente per sistemare con quel poco che potrà entrare con soli 2 comuni di 15000 abitanti ,i conti delle nostre amministrazioni , se non si manderà a casa tutta questa gentaglia corrotta nulla mai cambierà.