Iniziativa di Revisione Civica: prime valutazioni dei ricercatori dell’Australian National University

Un terzo post dedicato all’Iniziativa di Revisione Civica (IRC) condotta il 5-7 ottobre scorso in merito al progetto di fusione dei 5 comuni della valle del Samoggia può sembrare roba da cultori della materia. Ed in effetti lo è. Ma la diffusione di pratiche “deliberative” o “partecipative”, anche se spesso condotte all’italiana, suggerisce ai cittadini attenti di formarsi una propria competenza in materia. Inoltre abbiamo la possibilità di svolgere ancora qualche considerazione sul caso concreto di IRC svolta a Monteveglio, sul quesito referendario che il 25 novembre interesserà i cittadini dei 5 comuni coinvolti nel progetto di “fusione”. Come risaputo a seguire i lavori, il 5-7 ottobre, c’era un’équipe di ricercatori del Centre for Deliberative Democracy and Global Governance dell’Australian National University (ANU),  con sede a Camberra. I ricercatori hanno redatto un report preliminare dove svolgono considerazioni sull’IRC – il report è stato trasmesso agli amministratori locali che hanno deciso (fatto singolare!) di non renderlo pubblico. Lo facciamo dunque qui, aggiungendo qualche considerazione.

Parco di sculture di Ca’ La Ghironda a Ponte Ronca di Zola Predosa (foto dell’8 aprile 2006)

[1] Nei precedenti due post sul tema ho svolto alcune osservazioni critiche su questa esperienza. Da un lato ho criticato la scelta di un metodo di democrazia deliberativa “in-vitro” (coinvolgendo solo 20 cittadini, quello che si chiama un mini-public) quale surrogato della più ampia democrazia deliberativa in-vivo (che avrebbe potuto coinvolgere qualche migliaio di cittadini interessati a capire i pro ed i contro del “comune unico”) che le amministrazioni locali non hanno avuto il coraggio di promuovere (vedi). In secondo luogo ho criticato le modalità di svolgimento dell’IRC: la mancanza di una cabina di regia bi-partisan, l’assenza di contraddittorio tra i sostenitori del sì e del no, l’asimmetria tra le due parti in causa nonostante regole di “pari trattamento”, la tendenza a piegare l’IRC come occasione di marketing, come risulta evidente dal modo (non casuale) in cui è stata raccontata dalla stampa locale (vedi). L’analisi preliminare condotta dai ricercatori dell’ANU (Simon Niemeyer, Andrea Felicetti, Olga di Ruggero) offre un diverso punto di vista. Aiuta anche a capire meglio cosa effettivamente è avvenuto nel corso delle tre giornate dell’IRC – proponendo una prima valutazione della sua efficacia. Un ulteriore aspetto che sarà successivamente indagato è quello dello “scaling up”, ovvero della misura in cui gli argomenti più convincenti per il sì o per il no prodotti nell’ambito dell’IRC andranno a diffondersi nella comunità più ampia. Al proposito io mi sono già esposto con una prognosi: zero impatto (vedi). Vedremo. Comunque, per quanto riguarda l’IRC la lettura del report preliminare è decisamente interessante. A me hanno colpito alcune cose, che segnalo.

Parco di sculture di Ca’ La Ghironda a Ponte Ronca di Zola Predosa (foto dell’8 aprile 2006)

[2] Al fine di valutare l’efficacia dell’Iniziativa di Revisione Civica come metodo deliberativo, ovvero di formazione di opinioni tramite scambi argomentativi, il gruppo dei ricercatori ha rilevato le opinioni dei partecipanti all’inizio ed al termine dell’IRC. Per un motivo non dichiarato queste “misurazioni” sono state possibili solo su 16 dei 20 partecipanti. Tramite una particolare procedura i partecipanti sono stati collocati in una “griglia” suddivisa in quattro quadranti. Al termine dell’IRC si è provveduto a rilevare di nuovo il posizionamento dei partecipanti, rilevando in tal modo le differenze intervenute, attribuibili all’esperienza “deliberativa”. Innanzitutto va detto che “spostamenti” di opinione ci sono stati, anche se in misura assai inferiore rispetto a quanto atteso dai ricercatori (che potevano fare riferimento ad altre esperienze). Il report parla di “un cambiamento globalmente limitato. A dire il vero un cambiamento di molto inferiore a quanto di solito osservato in studi simili a quello qui presentato ma effettuati su altri minipublics (come la IRC)” (p.4). I 16 partecipanti si sono così distribuiti nei quattro quadranti-posizione, prima e dopo l’IRC:

  • SI’-Procedere alla fusione: (pre-IRC: 8; post-IRC:10; saldo: +2)
  • Rafforzare l’Unione dei comuni (anziché fusione): (pre-IRC: 4; post-IRC:3; saldo: -1)
  • NO-Lasciare le cose come sono: (pre-IRC: 2; post-IRC:1; saldo: -1)
  • Postporre-Fare la fusione in modi e tempi diversi: (pre-IRC: 2; post-IRC:2; saldo: 0)

Gli spostamenti di opinione rilevati sono ovviamente un po’ più “complessi” (mentre alcuni partecipanti passavano dalla posizione “rafforzare l’Unione” a quella “SI’-fusione”, qualcuno faceva il percorso inverso, ecc.). Il risultato finale, tuttavia, vede in effetti crescere l’orientamento pro-fusione (il SI’ passa da 8 a 10 sostenitori), ma in misura abbastanza blanda. Occorre però considerare che non pochi partecipanti hanno scelto opzioni diverse da quella “procedere alla fusione”: erano 8 nella fase pre-IRC, sono calati a 6 nella fase post-IRC. Ma questa “complessità” delle opinioni non favorevoli alla fusione (ora) non è stata adeguatamente rappresentata nella comunicazione sugli esiti dell’IRC.

Parco di sculture di Ca’ La Ghironda a Ponte Ronca di Zola Predosa (foto del 25 aprile 2010)

[3] Alla luce della complessità delle posizioni in campo risulta singolare l’adozione di un procedimento iper-semplificatorio come il mini-referendum, con la possibilità di votare solo SI’ o NO alla fusione. La restrizione delle opzioni disponibili da quattro (SI’, Unione, NO, posporre) a due (nel mini-referendum finale: SI’, NO) ha “forzato” uno spostamento verso il SI’. Il risultato del mini-referendum, come noto, è stato infatti il seguente: 16 SI’, 3 NO, 1 scheda bianca. E’ un aspetto che rilevano anche i ricercatori: “i risultati [del mini-referendum] non erano coerenti con la situazione da noi osservata dopo la IRC” (p.3). In effetti “nonostante molti partecipanti possano essere persuasi dagli argomenti in favore alla fusione essi non sembravano essere d’accordo senza riserve. Tanto più che il report dei partecipanti sembra sollevare molte domande sulla fusione, evidenziando le incertezze attorno alla sua realizzazione” (p.8) E più avanti osservano: “gli schiaccianti numeri a favore (16 SI, 3 NO, 1 scheda bianca) maschera la sofisticatezza di cui sopra. Forzare una scelta binaria alla fine del processo, una scelta che sarà comunicata con le altre osservazioni, sembra aver banalizzato molta della sofisticatezza in un semplice, quasi assoluto, supporto per il progetto di fusione” (p.10). Ed infine: “le dinamiche dell’evento deliberativo sarebbero state differenti se esso fosse stato chiamato a considerare la forma della fusione, invece che il principio” (p.10). Queste ed altre considerazioni mettono in luce in modo chiarissimo che il metodo deliberativo è stato piegato a finalità non proprie. Anziché utilizzarlo per far emergere gli argomenti più convincenti a favore o contro il progetto di fusione (e misurarne la condivisione), la realizzazione del mini-referendum finale ha schiacciato la dimensione argomentativa, enfatizzando solo il momento decisionale (SI’ o NO). Come è stato rilevato, tuttavia, l’espressione del SI’ non significa affatto piena adesione al progetto. Aggiungo anche che, molto probabilmente, la presenza di una “cabina di regia” bi-partisan nella conduzione dell’IRC avrebbe evitato questo slittamento verso il semplice referendum SI’/NO, salvaguardando meglio la vera finalità deliberativa dell’IRC, ovvero di garantire un’adeguata “rappresentatività discorsiva”, facendo emergere gli argomenti pro o contro meritevoli di una trattazione più ampia. E’ significativo, tra l’altro, che una parte consistente delle forze politiche e sociali che invitano a votare NO al referendum del 25 novembre si identifichino esattamente con questa posizione. Ovvero con la posizione di chi non dice NO in assoluto alla fusione dei 5 comuni, ma dice invece NO a questa fusione, con questi tempi, con questa modalità, con questa indeterminatezza del progetto, con questa rinuncia ad un confronto aperto con chi chiede chiarimenti o suggerisce modifiche nell’implementazione. E’ evidente la responsabilità delle amministrazioni comunali (tutte a maggioranza PD) nell’aver impostato un percorso chiuso alle sollecitazioni di molti cittadini pur disposti a rinunciare al proprio “campanile” (è singolare quanto poco abbia pesato questo tema nella discussione locale), ma fermi nell’esigere la presentazione di un progetto dettagliato e credibile.

Qui il testo dell’analisi preliminare sull’Iniziativa di Revisione Civica realizzata a Monteveglio il 5-7 ottobre 2012 dai ricercatori dell’Australian National University (pdf).

2 Responses to Iniziativa di Revisione Civica: prime valutazioni dei ricercatori dell’Australian National University

  1. Clic Clac ha detto:

    “E’ la somma che fa il totale” (Totò)

    Provo a vedere i numeri per quel che sono e a considerarli per quel che sono.
    A parte la “stranezza” del quadrante con 16 partecipanti invece che 20, ma che penso non possa venire considerata una forzatura per avere un risultato atteso o richiesto, consideriamo i numeri, tenendo sempre presente l’impatto che la limitatezza del campione ha sulla scientificità e senza considerare la esiguità del campione per parlare numericamente di “spostamenti limitati”

    Pre IRC
    8 su 16 = 50% SI
    4 su 16 = 25% pro Unione dei comuni
    2 su 16 = 12,5% NO comunque (Pro staus quo)
    2 su 16 = 12,5% NO a fusione fatta così, fare la fusione in tempi diversi

    Si può notare, incidentalmente, che le percentuali corrispondono, e a livello di vallata, più o meno alle divisioni fra maggioranza e opposizioni, con una leggera sotto rappresentazione delle maggioranze di circa il 4-5% e sovra rappresentazione speculare delle minoranze

    Post IRC
    10 su 16 = 62,5% SI (aumento relativo 25%)
    3 su 16 = 18,75% pro Unione dei comuni (diminuzione relativa 25%)
    1 su 16 = 6,25%% NO comunque (Pro staus quo) (diminuzione relativa 50%)
    2 su 16 = 12,5% NO a fusione fatta così, fare la fusione in tempi diversi (invariato)

    La informazione fornita dal si e dal no ha quindi spostato sostanzialmente l’opinione dei partecipanti, quindi è stata vera informazione, cioè introduzione di dati, concetti e notizie che non erano a conoscenza dei partecipanti.
    Non c’è poi da meravigliarsi che la restrizione delle opzioni disponibili da quattro (SI’, Unione, NO, posporre) a due (nel mini-referendum finale: SI’, NO) abbia “forzato” spostamenti. Non certo per volere dei ricercatori, quanto per riportare il tutto alla effettiva scelta del referendum: Si o No. E’ questo infatti un fenomeno tipico di ogni scelta bipolare, e quindi anche del referendum, che nel nostro caso ha dato risultati fra l’altro abbastanza in linea (ma in eccesso di un buon 8-10%) col al sondaggio SWG su un campione più vasto
    Il risultato non maschera quindi dei no, ma semplicemente dà forma al parere che “comunque” una fusione sia meglio dello status quo, sia perenne del No comunque e del “meglio la Unione” che temporanea del “Si, ma in tempi diversi”.
    Oserei dire, ma è solo una mia opinione personale, che il maggior spostamento in fase di scelta bipolare viene proprio dal “tempi diversi” proprio perché posizione sostenuta con motivazioni valide per OGNI operazione di fusione e senza prendere poi alcuna distanza da posizioni invece radicalmente anti fusione come quelle politiche, quelle “taglia radici” o quelle che sostenevano l’impossibilità di gestire un territorio così vasto e altre simili.

  2. Andrea Paltrinieri ha detto:

    Ciao Clic Clac, Totò ha sempre ragione. A prescindere. Fin qui tutto ok. Non è così, invece, per le cose che dici tu. (1) Sono gli stessi ricercatori dell’ANU che rimangono colpiti dai limitati mutamenti dì opinione prodotti dall’IRC, non io. Loro hanno evidentemente confrontato l’esperienza della valsamoggia con altre condotte in precedenza. E giungono a questa conclusione. Scrivono: “dalla nostra analisi emerge che il processo deliberativo ha avuto un impatto in generale relativamente limitato impatto sia in termini delle disposizioni sottostanti gli individui in merito all’argomento in esame sia con riguardo alle preferenze per il risultato finale”. Perché questo? Non lo so. Posso solo formulare ipotesi: forse perché l’IRC è stata condotta troppo avanti nel tempo, dopo che i partecipanti si erano già formati una loro opinione (la maggior parte dei partecipanti, infatti, al termine dell’IRC conferma la valutazione fatta all’inizio). Solo una ristretta minoranza cambia opinione. Ribadisco: per me non è un problema. Loro però si aspettavano un impatto maggiore, ovvero un cambiamento più ampio. (2) Gli spostamenti rilevati vanno comunque in direzione del SI’ alla fusione (i partecipanti che approvano la fusione erano 8 diventano 10). Ho già rilevato, nel precedente post, una situazione asimmetrica tra i sindaci (per il sì) ed i consiglieri comunali (per il no). I sindaci sono amministratori a tempo pieno, alla vicenda della fusione hanno dedicato almeno 20 volte il tempo dedicato da un consigliere, inoltre per approfondimenti ed elaborazioni possono mobilitare la macchina elettorale. Cosa che, di fatto, non può fare un consigliere comunale. Vogliamo riconoscerlo? Vogliamo ammettere, dunque, che c’era un vantaggio per i sostenitori del SI’? Mi sembra banale ammetterlo. (3) Sono di nuovo ancora i ricercatori ad esprimere “sorpresa” per il fatto che al termine dell’IRC si fa un mini-referendum. Leggiti a modo quello che scrivono: “Secondo noi una semplice votazione di gruppo alla fine di una deliberazione potrebbe aver rappresentato una scelta poco felice, particolarmente quando il processo è sotto ravvicinato scrutinio pubblico, in quanto avrebbe conferito un livello di rappresentatività descrittiva della comunità che è semplicemente impossibile da ottenersi con 20 partecipanti. Mentre è, in principio, ragionevole che la IRC potesse simulare discussioni all’interno della più ampia comunità (che noi di solito chiamiamo “rappresentatività discorsiva”), particolarmente se i partecipanti sono scelti secondo una logica prefissata a tal fine, essa non può simulare dinamiche elettorali. Il voto comporta un tipo di legittimità per l’esito preferito (l’opzione SÌ) che non può essere giustificata quando le argomentazioni dettagliate esposte sono prese in considerazione. Il pensiero dei partecipanti era abbastanza sofisticato ed a volte equivoco – anche se è il SÌ ad essere chiaramente il risultato preferito. Ma gli schiaccianti numeri a favore (16 SI, 3 NO e 1 scheda bianca) maschera la sofisticatezza di cui sopra. Forzare una scelta binaria alla fine del processo, una scelta che sarà comunicata con le altre osservazioni, sembra aver banalizzato molta della sofisticatezza in un semplice, quasi assoluto, supporto per il progetto di fusione.” Il fatto è che l’obiettivo principale di questo metodo deliberativo è quello di riprodurre sostanzialmente lo stesso gioco argomentativo che avverrebbe nella più ampia comunità del partecipanti. Contano dunque gli argomenti che emergono. Ed in effetti i ricercatori erano interessati al fenomeno dello “scaling-up”, ovvero alla diffusione degli argomenti emersi nel dibattito nel mini-pubblico nel più grande maxi-pubblico, ovvero nell’intera comunità. Ma il mini-referendum “brucia” gli argomenti. In effetti qualcuno forse ricorderà il risultato numerico 16-3-1, ma nessuno ricorda più i principali argomenti pro o contro emersi nel corso dell’IRC. Insomma, questa pratica deliberativa avrebbe dovuto produrre argomenti, ma il contesto in cui è stata usata ha reso praticamente impossibile la loro valorizzazione dal punto comunicativo.
    In conclusione rimango convinto di quanto ho scritto nei vari post dedicati all’IRC: (1) l’IRC è stata usata come “surrogato” di quello che più opportunamente avrebbe dovuto essere un percorso partecipativo aperto a tutti i cittadini interessati, non al mini-public di 20 cittadini; (2) l’IRC poteva ancora essere utile se realizzata in una fase preliminare, per testare le opinioni sul progetto e verificare quali perplessità o contrarietà emergevano, al fine di dare loro una risposta (in termini di aggiornamento o riscrittura del progetto); (3) la gestione dell’IRC, inoltre, affidata (principalmente) a Cristiano Bottone (pagato anche per la campagna pubblicitaria!) anziché ad una “cabina di regia” bi-partisan ha evidenziato un pregiudizio a favore del sì (non riconoscimento dell’asimmetria di competenze tra sindaci e consiglieri; forzatura per il mini-referendum finale; immediata divulgazione dell’esito della votazione – 16-3-1 – ma ritardo di più di una settimana nel rilascio del documento conclusivo; ecc.). Insomma, un discreto esempio di opportunismo. Dunque, niente di nuovo sul fronte occidentale.
    Ultima cosa. Da ieri (12 novembre) il report preliminare sull’IRC scritto dai ricercatori dell’ANU è accessibile pubblicamente sul sito della fusione dei comuni Valsamoggia. Per diversi giorni era stato tenuto in cassetto. Ma dopo che è stato pubblicato su AmareVignola c’è stata la corsa alla pubblicazione.

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