La funzione ideologica del PSC. Come il piano cerca di legittimare l’esigenza di costruire ancora case

Il vecchio PRG, quello del 1998, doveva semplicemente servire a delineare meglio i contorni della città in alcune aree frastagliate. Era cioè, secondo i politici dell’epoca, un piano “di contenimento”. Abbiamo visto com’è andata a finire: +4.000 residenti in dieci anni (pari ad un incremento del 20% circa sulla popolazione del 2000). Sempre quel PRG prospettava, come idea-guida centrale, la “città sul fiume” (tra Vignola e Savignano): per fortuna non se n’è fatto nulla perché il risultato, certo non voluto, ma altamente probabile (visto com’è andata da altre parti sul territorio), sarebbe stata una cementificazione delle sponde. Il Piano delle strategie del 2006 aveva l’obiettivo di realizzare a Vignola e dintorni nientepopodimeno che il “parco europeo dell’ospitalità” (vedi), ma poi succede che non si riesce a sgomberare il Percorso Natura lungo il fiume Panaro da un paio di km di squallide baracche, peraltro in genere abbandonate (vedi)! Oggi il Documento Preliminare in corso di elaborazione propone il “boulevard” Spilamberto-Vignola-Formica, altra trovata degna dell’almanacco delle gran sparate. Chi frequenta da tempo gli esercizi di pianificazione sa che ogni “documento di piano” è accompagnato da una abbondante razione di retorica. Fare esercizi di “immaginazione”, pensare ad “altri mondi” è indubbiamente un esercizio imprescindibile. Peccato che quando si tratti di urbanistica succede in genere che le cose belle non si realizzano e l’unica cosa che avanza sia il cemento, il costruito. Infarcire dunque i documenti di pianificazione territoriale di richiami alla qualificazione, alla sostenibilità, all’ambiente, alla qualità della vita, ecc. diventa un espediente per distogliere l’attenzione dai processi reali. Significa caricare questa retorica di una funzione ideologica: distrarre il cittadino dal fatto che, anche per via dello squilibrio tra le finalità enunciate ed i mezzi di cui dispongono le amministrazioni (e considero tra questi anche le “capacità” degli amministratori), alla fine ciò che un “piano urbanistico” è chiamato a fare è comunque quello di consentire di costruire ancora un po’. Insomma, tutta questa bella “narrazione” in cui si prova a vendere un futuro migliore per tutti gli abitanti di un territorio serve per “coprire” la richiesta di ulteriore consumo di territorio. Di ulteriore edificato. Di ulteriore cemento. Ecco, vorrei dirlo subito in modo chiaro (e poi provare ad argomentarlo), ho l’impressione che anche il nuovo PSC punti a questo: a legittimare una ulteriore ondata di edificazioni (un po’ meno rispetto al precedente, ma ancora tanto). In fondo – e così la pensano molti amministratori – a cosa serve un “piano” se non lascia costruire ancora un po’? Vediamo.

Ancora edilizia residenziale a Vignola: "la corte del parco" (ex-Valle del ciliegio) (foto del 26 marzo 2011)

[1] “Il futuro sarà dunque un futuro di crescita demografica. Su questo non c’è alcun dubbio. La questione è dunque: quanto? Occorre però osservare che il “quanto” crescere (come popolazione) non è solo il risultato di processi “naturali”, ma anche di politiche di “governo” della crescita demografica, innanzitutto tramite l’offerta di edilizia residenziale. E qui sta secondo me un vizio del documento “conoscitivo” del PSC. Esso assume come ineluttabile una crescita demografica che riproduce, negli anni a venire, quello che è avvenuto nell’ultimo decennio. ” Così scrivevo in un post dell’11 agosto 2008 a commento dei documenti del primo PSC dell’Unione Terre di Castelli, poi abbandonato (vedi). Con il “nuovo” Documento  Preliminare (versione 28 marzo 2011) siamo ancora a questo punto. Amministratori e tecnici usano le proiezioni demografiche (costruite in modo discutibile) per legittimare l’esigenza di costruire ancora case. Il messaggio che, certo con qualche cautela in più, si vuol comunque far passare è il seguente: servono ulteriori unità abitative, servono ancora nuovi diritti edificatori. Ma è davvero così? Vediamo cosa dice il “nuovo” Documento Preliminare. “Il PSC ha ripercorso e approfondito nella sua nuova stesura 2010 gli scenari di previsione demografica (…) per registrare gli andamenti più recenti e per ridiscutere, moderandole, le tendenze, del saldo migratorio anche alla luce delle nuove condizioni dell’economia internazionale. Lo scenario assunto, che prevede una riduzione del 20% dei saldi migratori dell’ultimo quinquennio, propone previsioni demografiche che, nell’orizzonte quindicennale di qui al 2025 comporta una crescita di poco inferiore al 20% della popolazione con il passaggio dagli attuali 71.000 a 85.000 residenti nei cinque comuni dell’Unione.” (p.26) Diciamolo subito: questa è ideologia. Non c’è alcun motivo per cui si debba prendere l’andamento demografico degli ultimi 10 o 20 anni e, assumendolo come un dato “naturale”, proiettarlo anche nel futuro. Però questo è quanto fa l’Arch. Ugo Baldini, coordinatore del gruppo di lavoro sul PSC dell’Unione Terre di Castelli. Prende il trend degli ultimi 5 anni, gli toglie il 20% (ma perché il 20% e non il 15% o il 40%? Questo non è dato saperlo!) e lo proietta nel futuro, arrivando quindi alla conclusione che per dare accoglienza a tutta questa popolazione aggiuntiva occorre costruire nuova edilizia residenziale! Ecco, questo è l’approdo. Ma il ragionamento è fallace. Per un semplicissimo motivo: per il fatto, cioè, che quanto crescere come popolazione residente non è un destino o un dato naturale, ma è (anche) una decisione politica. Come argomentavo già nel 2008 (vedi) l’andamento della popolazione è dato da due elementi: (1) i processi di “sostituzione” (quando una unità abitativa occupata da due anziani viene occupata, alla loro morte, da un nucleo familiare più numeroso) – questo fa crescere la popolazione residente a parità di unità abitative; e (2) quando, grazie agli strumenti di pianificazione, si programmano e poi si costruiscono nuove unità abitative. In questo caso l’offerta di nuova edilizia residenziale aumenta la probabilità della crescita demografica. Il fatto, però, è che quante unità immobiliari nuove immettere sul mercato nei prossimi anni è una decisione squisitamente politica. E in quanto tale non può affatto essere ricondotta a dati tecnici (che poi tecnici non sono)!

Ancora nuova edilizia residenziale lungo via di Mezzo (foto del 26 marzo 2011)

Insomma è una decisione politica, spettante alle amministrazioni comunali, prevedere e dunque consentire una crescita demografica da 71.000 a 85.000 abitanti sul territorio dell’Unione Terre di Castelli! Questo deve essere chiaro! Dunque la domanda, di nuovo, è: vogliamo crescere? E anche: di quanto vogliamo crescere? Ricordo che il territorio dell’Unione è passato da 56.121 residenti del 1991 a 67.479 del 2006, con un incremento del 20,2%, contro l’incremento dell’11,6% della popolazione provinciale complessiva. Dunque siamo già cresciuti più che altri territori. Il PSC nella sua precedente versione prevedeva, secondo lo “scenario medio”, una crescita della popolazione residente fino a 82.346 residenti al 2023 (e 28.331 residenti di Vignola, sempre al 2023) (vedi). Oggi la “nuova” versione del 2010-2011 ipotizza 85.000 residenti al 2025. Io non vedo alcun cambiamento significativo! Non vedo alcuna correzione! Vedo invece la stessa ideologia che prende i trend storici e li proietta nel futuro come se ciò fosse naturale! Ma il fatto è che quei trend storici sono anche la conseguenza di PRG fortemente espansivi. Perché dobbiamo insistere lungo questa strada? Perché dobbiamo prevedere la stessa crescita demografica del passato se tutte le amministrazioni affermano di voler costruire meno che in passato? Ipotizzare 85.000 residenti sul territorio dell’Unione nel 2025 significa appunto ipotizzare che si continui a costruire edilizia residenziale sostanzialmente allo stesso ritmo degli anni passati! Non dovrebbe invece essere invertito il ragionamento? Non si dovrebbe partire dalla questione tutta “politica”: quanto vogliamo crescere ancora? Se oggi siamo in 71.000, perché non possiamo decidere di fare il possibile per fermarci a 75.000 al 2025? Ecco, schivare questa domanda ed invece assumere come un dato “naturale”, indipendente dalla politica, la riproposizione della crescita del passato significa assumere una visione ideologica. Ideologia. Ovvero il mascheramento della realtà a vantaggio di scelte compiute, ma presentate come “naturali”. La (falsa) “previsione” demografica viene usata come dispositivo per giustificare l’esigenza di nuove case: “Le previsioni di crescita demografica hanno le proprie conseguenze più dirette sul fronte della domanda abitativa e della sua articolazione (…) Il passaggio dalle attuali 29.000 famiglie alle 35.000 ipotizzate all’orizzonte di previsione del 2025 comporterà una nuova domanda abitativa.” (p.29) Si tratta in realtà di una profezia che si auto-avvera. Se dico che crescerà la popolazione e, per questo motivo, costruisco più case, succederà che l’offerta di nuove abitazioni attirerà nuovi residenti. Traducendosi effettivamente in crescita demografica. E’ esattamente quello che è successo negli anni passati. Dobbiamo davvero affidarci di nuovo a questo modo di pensare?

Nuova edilizia residenziale nella zona di Brodano (foto del 5 settembre 2009)

[2] Ma c’è un secondo elemento che richiama la funzione ideologica delle previsioni demografiche. Il fatto è che in tutto il Documento Preliminare non trovate citato il problema delle case sfitte. E non trovate neppure un dato relativamente allo stock di immobili già costruiti e disponibili per il mercato, ma che scontano la mancanza di domanda. Possibile che questo dato sia così trascurabile? No. Certamente trascurabile non lo è. Ma se il tema non viene citato, se non si azzarda neppure una stima degli immobili sfitti esistenti a Vignola e negli altri comuni dell’Unione Terre di Castelli, questo è per un semplice motivo: si vuole legittimare l’impulso a costruire ancora; ad aggiungere nuova edilizia residenziale! Invece è chiaramente imprescindibile per qualsiasi ragionamento serio sul “fabbisogno abitativo” partire da una ricognizione non solo dei diritti edificatori già assegnati con i vigenti strumenti di pianificazione o delle aree di riqualificazione (ecc.), ma anche e soprattutto dal patrimonio residenziale esistente ed oggi non utilizzato. Sembra un ragionamento banale, eppure è sfuggito ai progettisti – plausibilmente per la foga a legittimare nuove edificazioni (e finanche “nuovi consumi di territorio” come è ipotizzato a p.33). Il fatto è, inoltre, che queste previsioni demografiche sono usate come un “grimaldello” e servono, infatti, anche per legittimare significativi incrementi di nuove aree produttive (ma quanti capannoni sfitti e abbandonati ci sono oggi, a seguito della crisi economica, nelle nostre zone artigianali? Anche questo non è dato sapere). Ed anche per richiedere maggiori unità di social housing (dopo che per più di un decennio non si è fatto nulla sul versante dell’edilizia residenziale, pubblica o privata che sia, per le “fasce deboli” – ma questo è un altro discorso). Insomma, demografia come ideologia. Forse si può fare meglio.

Qui la bozza del Documento Preliminare nell’ultima versione disponibile, datata 28 marzo 2011 (pdf). Il documento non è ancora stato “revisionato” dalle amministrazioni comunali che hanno, ovviamente, la facoltà di chiederne modifiche sino all’approvazione definitiva con delibera di giunta. Seguiranno dunque altre versioni.

6 Responses to La funzione ideologica del PSC. Come il piano cerca di legittimare l’esigenza di costruire ancora case

  1. Luciano Credi ha detto:

    Salve,

    Quasi è comprensibile il fatto, che se la popolazione aumenta, anche il bisogno di case aumenta.
    Quello che spesso manca oggi, soprattutto in Italia, è una strategia architettonica preprogettuale, che coinvolga i cittadini. In certe città come Berlino, artisti d’arte contemporanea, individuano zone dismesse, d’animare, come ad esempio vecchie fabbriche abbandonate, cercando percorsi logici e a misura d’uomo, con il resto della città. Dopo qualche anno, abitualmente, dove c’erano i graffiti degli artisti, i loro furgoni Volkswagen, abbiamo palazzi, ospedali…
    In Italia è interessante l’iniziativa degli starker o “camminatori”, che sono degli “architetti paesaggisti”, che fanno trekking, pensando di collegare, nuove ipotetiche aree residenziali, con aree verdi, immaginando un cambiamento armonico della città, in rispetto ai vincoli ambientali e storici artistici. Il problema forse è anche prettamente tecnico, abbiamo in Italia una cultura più “ingenieristica” che non “architettonica”.

    • Andrea Paltrinieri ha detto:

      Ciao Luciano, ti consiglio di rileggerti il post. Scopriresti che quasi è comprensibile il fatto che “di quanto aumenta la popolazione” ha un qualche nesso con quante case costruisci. E’ di questo che si discute. Invece dopo aver dichiarato che sino ad ora Vignola è cresciuta troppo, si prospetta per i prossimi dieci anni la stessa crescita demografica dei dieci anni passati. Vogliamo parlare di questo?

  2. Luciano Credi ha detto:

    Ciao Andrea,

    per non darti la solita risposta sulle cooperative edili rosse, ti dico che mia madre mi “rompe” troppo, in quanto lei, invece, si auspica un aumento della popolazione, vuole diventare nonna… Anche se sò, che forse non è questo il problema… In tutti i casi speriamo in bene!!!

  3. Roberto Adani ha detto:

    Se non te li faccio io questi conti, non te li fa nessuno. Forse è bene partire da qui però, mi sembrano dati indispensabili.
    Intanto nel 2001 viene fotografato un residenziale consolidato pari a 1.846.764 mq. 8,48% del territorio comunale pari ad un consumo procapite nei precedenti 50 anni di 2mq all’anno.
    Le aree di espansione residenziale previste nel piano del 2001 ammontavano a 413.114 mq. Bisogna però considerare che in tali aree di espansione venivano considerate anche aree del piano ancora precedente, già realizzate e concluse, ma rimaste dal punto di vista urbanistico aree di espansione come Le Corti 82.256 mq. o la lottizzazione Zanasi al Bettolino 43157 mq. o il Millenium ed altre aree minori in via Caselline per un totale di 152.232 mq. Le aree consumate dal nuovo piano per la nuova residenza sono quindi 260.232 mq. a cui sarebbe corretto togliere le aree al limite dell’abitato in cessione al comune e destinate interamente a verde come aree a Campiglio o quelle attorno al Poggio pari a 38.751 mq. Arriviamo quindi a 222.131 mq. questo è il dato delle nuove aree destinate a residenza. Se si volesse poi escludere le aree completamente incluse nell’abitato, quindi non agricole, anche se non ancora edificate, dovremmo togliere 41.372 mq. Infine quindi il territorio agricolo consumato per nuova residenza dal nuovo piano è stato uguale a 180.759 mq. pari allo 0,83% del territorio comunale con un incremento invece del 8,85% delle aree residenziali.
    Di queste, 101.047mq.sono le aree di espansione in cui non è stata posata nemmeno una pietra.
    La prima riflessione è quella che gli ultimi comparti del PRG degli anni ottanta (Corti, Millenium, Bettolino, Caselline etc.) pesano più di tutte le nuove aree inserite in piano. Il vecchio PRG aveva un indice oltre 1 e un altezza max di circa 18 m. se ricordo bene. Le aree del nuovo PRG hanno un indice di edificabilità di 0,30 e un altezza massima di 10,5 m. Per inciso: meglio prima a 18 o ora a 10,5? Bella domanda! L’edificabilità di Corti e C. era oltre i 160.000 mq. tutta realizzata, mentre quella delle aree del nuovo piano è pari a 78.000 mq. e per più della metà non ci sono nemmeno le fondamenta e i permessi a costruire. L’altra metà anche se costruita è in parte invenduta.
    Anche quando consideriamo la demografia dobbiamo quindi considerare che la maggior parte delle nuove famiglie vive nelle case del PRG degli anni 80.
    Poi il nuovo PRG aveva l’ambizione di riqualificare le aree dei vecchi magazzini da frutta. Complessivamente 131.431 mq. di questi ne sono stati trasformati solo 34.562 (Ex Valle del ciliegio, Ex Galassini, Ex Maglio, Ex Blemfer) pari al 26%.
    Se nei dieci anni del maggior boom edilizio della storia se ne sono trasformati solo un quarto, forse bisognerà pensare se c’è una probabilità che si trasformino in futuro e se è comunque auspicabile.
    Dico subito, per me no, quella scelta va ripensata specialmente per le aree fuori dal centro urbano consolidato. Quando tutta la capacità edificatoria del piano sarà esaurita, avremo edificato il 16,44% del territorio comunale, mentre la città pubblica, verde e servizi occuperà il 4,75% e il territorio agricolo sarà il 79,11% del territorio comunale. Mi fermerei qui. Negli ultimi 10 anni ogni cittadino è passato da un consumo procapite di territorio di 95 mq. a 85 mq. abbiamo consumato per la residenza circa 0,5 mq./anno per abitante, un quarto dei cinquant’anni precedenti, ma comunque penso fossero gli ultimi che ci potessimo permettere di consumare e forse neanche quelli.
    Per le aree industriali ti faccio un altra puntata.

  4. Roberto Adani ha detto:

    Ecco come promesso il pezzo sulle aree produttive.
    Le nuove aree produttive contenute nel piano sono 187.398 mq. mentre 64.701 erano presenti nel piano degli anni 80, ma non ancora edificate. Il 35% è stato dedicato all’agroalimentare,, il 41% sostanzialmente alla meccanica e collegate, il 12% ai servizi e al trasporto, e l’12% al commercio e agli uffici. Le aree agroalimentari e a servizi sono state edificate per il 57%, mentre quelle destinate alla meccanica ed affini sono state edificate per il 46%. Le aree commerciali sono state realizzate al 60%. Tutte le aree sono state occupate da imprese e imprenditori vignolesi già esistenti che necessitavano di ampliarsi (+ 1 impresa cinese). Tali imprese, se escludiamo quelle del commercio, sono in gran parte diventate da piccole (<50 addetti) a medie raddoppiando mediamente gli addetti. Nell'agroalimentare si sono insediate 4 nuove imprese medie, i nuovi addetti in tali aree sono aumentati di circa 150 unità, ed alcune imprese come AGRA sono rimaste a Vignola proprio grazie alla possibilità di ampliarsi.
    Nella meccanica ed affini si sono insediate 4 imprese medie e 4 piccole i nuovi addetti sono stati circa 170. Nei servizi e in particolare nel trasporto invece l'impresa che si è insediata è fallita. Nell'area commerciale si sono insediati alcuni esercizi commerciali e alcuni studi professionali con un aumento degli addetti di qualche decina di unità. Quindi si sono creati mediamente un nuovo posto di lavoro ogni 300 mq. di nuovo terreno a destinazione produttiva.
    N.B. Mentre tutti i dati di superficie e di consumo di territorio derivano da elaborazioni geometriche del Sistema Informativo Territoriale e quindi sono dati certi, i dati sulle nuove imprese non sono dati statistici e si basano sulla mia conoscenza e sui miei ricordi, dovrebbero comunque essere in errore per difetto.
    Ad oggi dei 187.398 mq ne abbiamo edificato il 50% circa, consumando annualmente 0,4 mq. per abitante.
    Se a questi sommiamo quelli già presenti nel vecchio piano anni 80 ma non ancora edificati, il territorio edificato nell'ultimo decennio sale a 0,5 mq. /anno per abitante.

    La superficie destinata alle attività produttive prima dell'attuale piano era pari a 1.159.049 mq pari al 5% del territorio comunale. Nei primi 50 anni del dopoguerra abbiamo consumato mediamente 1,2 mq/anno per abitante. Negli ultimi 10 anni abbiamo consumato 0,4 mq/abitante circa 1/3 rispetto ai 50 anni precedenti. Tali aree sono state destinate all'ampliamento delle imprese locali e hanno creato circa 400 nuovi posti di lavoro, certo che si potrebbe sostenere che se queste imprese non avessero trovato risposte sul territorio avrebbero delocalizzato o sarebbero morte di nanismo, e allora il saldo occupati sarebbe stato almeno il doppio e negativo, lascio comunque a voi le valutazioni. L'aumento di aree edificabili produttive è stato del 17%.
    Sono ancora disponibili il 50% di tali aree e nel frattempo a causa della crisi, non è certo difficile trovare capannoni vuoti, anche se i prezzi non sono crollati, quindi se rimanessimo a questi dati probabilmente non ci sarebbe bisogno di ulteriori aree, e anche se si decidesse di aggiungerne meglio sarebbe se localizzate a Sipe Alte o a Sant'Eusebio i due poli produttivi esistenti più importanti collocati direttamente sulla pedemontana.
    Rimane però il tema di quelle imprese esistenti che hanno bisogno di crescere dove sono, che fare in questo caso? Consentire gli ampliamenti o delocalizzare tutto nei poli di cui sopra? Con quali costi e con che risorse si finanzia la delocalizzazione di queste imprese?

  5. Luciano Credi ha detto:

    Mi dispiace dover intervenire di nuovo,

    dico innanzitutto grazie ad Adani per averci fatto l’inventario dello stato patrimoniale di una parte di Vignola.

    Il problema del discorso politico autoreferenziale avuto a Vignola, durante l’ultima parte dell’ammnistrazione Adani; non dico del comune di Vignola o dell’ammnistrazione passata, ma della città, insomma il clima che ha dato origine a proposte politiche quali Vignolaperme… (che io come candidato consigliere dell’attuale sindaco ho contrastato) é che non guarda e non legge notizie sul resto del mondo…

    Insomma mostrare le pentole e le lenzuola, come si faceva fino a poco fa nel sud Italia (duranti i matrimoni), va bene per me che sono un poveraccio… Ma a Bruxelles, New York?

    Io forse a fino a luglio sfortunatamente debbo tornare a vivere in Italia, a Vignola (bellissima…), ma fare la voce grossa con me è facile… Tutte le volte che passo 2 giorni a Vignola, incontro per strada vecchi compagni di scuola, ed ho la sensazione che si diano arie, che altrove sono veramente ridicole, e fuori luogo.

    Di fronte alla crisi economica ed a tutti i problemi sviluppati da questa “mondialisation” (globalizzazione), è possibile continuare a ragionare con questa mentalità?

    Per fare un esempio è come sedersi ad un tavolo da poker, pensando che tutto dopo finisca amichevolmente con un bottiglia di lambrusco, dopo una partita a briscola (dove si bara più che a poker…).

    Vignola andava pensata non come centro nevralgico, ma come punto strategico interessantissimo della reàlta socio culturale, ed economica nell’ambito del resto del contesto emiliano.

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