Si stravolge (con leggerezza?) l’assetto dei servizi sociali nel distretto di Vignola

Colpisce la modestia del dibattito. E con il termine “modestia” ho usato un eufemismo. Sto parlando del dibattito che da tre anni a questa parte (prima nel dicembre 2007: vedi; poi a metà 2009: vedi)  ha accompagnato una delle decisioni più tortuose, ma anche più impegnative, prese dagli enti locali del nostro territorio. Quella che riguarda l’assetto dei servizi sociali e precisamente l’allocazione di un bel pacchetto di servizi tra i due enti coinvolti nella vicenda: l’Unione Terre di Castelli e l’ASP G.Gasparini. Si torna indietro. Dopo aver fatto dell’ASP G.Gasparini (l’Azienda di servizi alla Persona, ovvero l’azienda pubblica che ha gestito sino ad ora la stragrande maggioranza dei servizi sociali sul territorio del distretto) la prima (prima!) azienda multiservizi della regione Emilia-Romagna (così dall’1 gennaio 2007), ora si torna indietro. Indietro! L’ASP viene smembrata, viene smantellata come azienda multiservizi e ritorna ad essere ciò che era all’inizio: un paio di strutture residenziali per anziani, tre centri semiresidenziali per disabili, un po’ di assistenza domiciliare. Insomma, dall’1 novembre sarà come se l’operazione di confluenza di quello che allora si chiamava Coiss (Consorzio Intercomunale per i Servizi Sociali) nell’ASP G.Gasparini non fosse mai avvenuta! Appunto. E’ stato cancellato il percorso compiuto in dieci anni: dal 1997 al 2007, dalla nascita del Coiss alla costituzione dell’ASP G.Gasparini come azienda “multiservizi”. Con le delibere che verranno assunte nei prossimi consigli comunali e nel prossimo consiglio dell’Unione del 21 ottobre si compie un’inversione a U. Abbiamo scherzato. Non ci abbiamo creduto. Abbiamo preferito un’altra strada. Legittimo, per carità. Solo che fossero chiari gli argomenti alla base di questo ribaltamento di strategia. Ma così non è. Anzi. Agli incontri delle commissioni consiliari a cui ho partecipato (e seguo la vicenda da tre anni, da quando ero – nel 2007 – capogruppo DS a Vignola e consigliere dell’Unione Terre di Castelli) si è continuato a “vendere fumo”. Affermazione pesante, lo riconosco. Chi avrà la pazienza di seguirmi – su un tema dall’appeal pari a zero – capirà perché.

Peschici, località del Gargano (foto del 31 agosto 2010)

[1] Nelle delibere che in questi giorni approdano nelle assemblee elettive sono intrecciati due temi. Il primo riguarda un aspetto meramente logistico. Dove collochiamo le assistenti sociali? In un unico ufficio centralizzato a Vignola o disperse sul territorio dell’Unione? Rispondere a questa domanda è banale. Ci sono buoni motivi per rispondere che la presenza sul territorio delle assistenti sociali (lasciamo perdere per quanta parte del loro orario lavorativo) è una buona cosa. E’ una buona cosa che però non va mitizzata (per intenderci: non risolverà tutti i problemi di performance dell’assistenza sociale). Ci torneremo. Ma questa è solo la prima delle due questioni. Quella, diciamo così, banale. Ce n’è una seconda. Assai più impegnativa. E che dovrebbe vedere ragionamenti un minimo sofisticati. E’ la seguente questione: le assistenti sociali (ed il “servizio sociale professionale” a cui esse appartengono) dove è meglio sia collocato: sotto l’ASP o sotto l’Unione? Ecco, questa è la questione decisiva. E’ la questione impegnativa. E’ la questione che richiederebbe una capacità di visione della governance socio-sanitaria. E’ una questione di tipo organizzativo. Le due questioni (il problema “logistico” da un lato, il problema governance-organizzazione dall’altro) sono nettamente distinte. E come tali andrebbero trattate. Posso infatti distribuire sul territorio le assistenti sociali, ad esempio per facilitare il loro rapporto con gli utenti (e questo attiene alla dimensione “logistica”), pur mantenendole sotto l’ASP G.Gasparini. Questo poteva essere fatto. Anzi è disponibile da qualche anno uno studio curato dall’IRS di Milano che prospetta questa soluzione. Studio che è stato “tenuto fermo” e consegnato in un qualche cassetto. Viceversa si potrebbero trasferire tutte le assistenti sociali sotto l’Unione (cambiando l’assetto organizzativo), senza toccare la soluzione logistica, ovvero mantenendo un loro accentramento su Vignola. Dico questo solo perché voglio rendere evidente una volta per tutte che le decisioni che sono in ballo sono di due tipi: appunto “logistica” (dove collochiamo le assistenti sociali dal punto di vista territoriale?) ed “organizzativa” (dove allochiamo le assistenti sociali dal punto di vista organizzativo?). Non giova a nessuno (o quasi) fare confusione tra le due dimensioni. Ciascuna delle due dimensioni, infatti, necessita di buoni argomenti. In realtà tutto il dibattito di questi anni è stato impostato giocando sull’equivoco. Con un ragionamento di questo tipo: poiché tutti sono favorevoli ad adottare la soluzione logistica che vede la distribuzione delle assistenti sociali sul territorio (5 a Vignola, 3 a Spilamberto e così via), per il fatto che in tal modo sarebbero “più vicine” agli utenti, questa decisione è stata usata per “coprire” la seconda decisione in merito all’assetto organizzativo. Alla fine, in diverse occasioni si è arrivato a dire: il passaggio di un pacchetto di servizi (assistenti sociali incluse) dall’ASP all’Unione serve per risolvere il problema logistico! Cosa falsa, visto che le due decisioni – come si è mostrato – sono indipendenti. In questo modo si è cancellata la decisione numero due (quella organizzativa), trattandola come se fosse un derivato, una mera appendice, della decisione numero uno (quella di tipo logistico). Quando i processi decisionali sono impostati in questo modo, ovvero quando non sono chiari né gli obiettivi, né le strategie per raggiungerli, risulta semplicemente frutto dell’accidentalità che essi producano un miglioramento di efficienza o di efficacia (nel caso specifico: nell’assistenza sociale) .

Trabucco, tradizionale struttura per la pesca, in prossimità di Vieste, sul Gargano (foto del 31 agosto 2010)

[2] Che la posta in gioco sia qualcosa di più rispetto al “solo” servizio sociale professionale (si tratta pur sempre di 35 operatori che passano dall’ASP all’Unione: 26 assistenti sociali e 9 tra educatori e OSS) lo si capisce guardando la delibera di modifica della Convenzione tra Unione e comuni, da un lato, ed ASP G.Gasparini, dall’altro. Delibera che dice quanta parte del “pacchetto dei servizi” gestito dall’ASP viene ad essere riportato sotto l’Unione Terre di Castelli. Ecco i servizi che “transitano” dall’ASP all’Unione a far data dall’1 novembre: (U1) servizio sociale professionale (compresi interventi educativi); (U2) assistenza economica area minori; (U3) assistenza economica area adulti ed anziani; (U4) contributi per il pagamento di rette ad ospiti di comunità alloggio; (U5) contributi per il pagamento delle rette per l’ospitalità in strutture semiresidenziali e residenziali per adulti ed anziani; (U6) ulteriori interventi per la non autosufficienza e diversi. Cosa, invece, rimane all’ASP G.Gasparini? Spogliata della funzione di valutazione dei casi e della definizione del “piano di intervento” (il cosa fare per aiutare la persona in difficoltà); spogliata di ogni funzione di assistenza economica; l’ASP viene ridotta ad un’azienda di gestione di strutture, con un’appendice di assistenza domiciliare (ricorda tanto i servizi sociali a Reggio Emilia all’inizio degli anni ’80)! Ecco in dettaglio attività e servizi conferiti all’ASP: (A1) assistenza domiciliare; (A2) RSA e case protette per anziani; (A3) comunità alloggio per anziani; (A4) centri diurni per anziani; (A5) centri diurni per portatori d’handicap; (A6) servizio di inserimento lavorativo. La portata di questa operazione di downsizing dell’ASP risulta evidente anche guardando ai dati di bilancio: con questo trasferimento di servizi dall’ASP all’Unione si spostano anche circa 6 milioni di spesa. Circa il 50% della spesa dell’ASP viene riportata sotto l’Unione Terre di Castelli (nel 2008 il bilancio dell’ASP era infatti pari a circa 12 milioni di euro). Risulta ora evidentissimo che non stiamo parlando solo di una diversa soluzione logistica per le assistenti sociali! Quest’ultimo – tema pur importante – è usato come specchietto per le allodole.

Rodi Garganico, dettaglio (foto dell’1 settembre 2010)

[3] Immagino che qualcuno abbia già pensato: perché stare a perdere tempo con queste questioni legate all’ingegneria istituzionale? Agli assetti organizzativi? Le cose che importano sono altre: performance e qualità dei servizi. Appunto. Il fatto è che performance e qualità dei servizi erogati discendono dalle soluzioni organizzative adottate (oltre che, ovviamente, dalla qualità dei professionisti che le organizzazioni sono in grado di attrarre). Non mi è chiaro come il nuovo assetto organizzativo che si delinea con il ritorno all’Unione del “pacchetto” dei servizi sopra elencato determini un miglioramento della performance. Come, ad esempio, possa riuscire a “dare autonomia” ad un nucleo famigliare in difficoltà in tempi più rapidi rispetto a prima, quando l’intervento era gestito dall’ASP. Anche perché neppure l’Unione brilla in rapidità, in fluidità dei processi decisionali, in capacità d’intervento. L’impressione è che, nel migliore dei casi, si sposti semplicemente il problema (dell’efficacia dell’intervento) da un ente all’altro. D’altro canto l’ASP G.Gasparini è un’azienda pubblica. Ed è un’azienda pubblica controllata da quei comuni (che in quanto soci avevano il proprio rappresentante – sindaco od assessore – nell’assemblea dei soci) che sono gli stessi che, tramite l’Unione, oggi ricevono il pacchetto dei servizi sottratto all’ASP. Che cosa cambia con il passaggio? Come può, il semplice passaggio all’Unione, garantire una migliore efficacia dell’intervento? Garantire una migliore performance? Perché quelle soluzioni innovative (ma ad oggi non è dato sapere) che eventualmente saranno messe in campo in seguito al trasferimento di questi servizi all’Unione non è stato possibile applicarle a quegli stessi servizi quando questi erano sotto l’ASP? Solo gli sprovveduti non si fanno queste domande (e ce n’è qualcuno di troppo nei nostri consigli comunali)! In realtà io temo che si vada a determinare un assetto organizzativo che peggiora la performance. Per un semplice motivo: mentre prima l’intero “processo assistenziale” era in larga parte governato da un’unica organizzazione (l’ASP), oggi quello stesso “processo assistenziale” è spezzato tra due enti: l’Unione (committente) e l’ASP (esecutore). Il rischio che io vedo è quello di comportamenti strategici dell’uno sull’altro, tra questi due enti.

Isole Tremiti (foto dell’1 settembre 2010)

[4] Ammettiamo però che io mi sbagli. Che non si registrino casi di comportamenti opportunistici e strategici tra gli attori coinvolti nel “processo assistenziale” (cosa che invece è avvenuta in sanità a partire dal 1994 a seguito dell’introduzione dei DRG). C’è da chiedersi com’è possibile verificare, diciamo tra un paio di anni, il successo di questo intervento di riorganizzazione del sociale nel distretto di Vignola. Già come fare? Questo è il punto. In effetti gli obiettivi sono così vaghi, così astratti, così poco “operativizzati” che manca un metro di misura univoco per determinare successo od insuccesso di questa operazione. Insomma, manca la definizione di obiettivi che siano misurabili. Perché in effetti in nessuno dei documenti inutilmente verbosi e fumosi che sono stati prodotti a condimento di questa operazione sta scritto chiaro: con il nuovo assetto vogliamo raggiungere questi precisi obiettivi. Ad esempio, a parità di risorse (economiche ed umane) impiegate intendiamo ridurre del 30% i minori affidati ad istituti (incrementando in modo corrispondente l’affido familiare). Oppure, di nuovo ad esempio, a parità di risorse (economiche ed umane) impiegate intendiamo ridurre la cronicizzazione della dipendenza dai servizi (il fatto che l’appoggiarsi ai servizi inibisce il recupero dell’autonomia della persona assistita) del 50%. O ridurre l’incidenza degli stranieri assistiti del 30% (perché, ad esempio, si riesce ad avviare al lavoro anche un maggiore numero di donne oggi “relegate” a casa). E così via. Amministrare seriamente vorrebbe dire esplicitare gli obiettivi che si perseguono con le politiche di cui si porta la responsabilità decisionale. Vorrebbe dire assumere obiettivi misurabili ed approntare sin dall’inizio gli indicatori da utilizzare per verificare il loro raggiungimento o meno. E ciò dovrebbe ancora di più valere nel caso di scelte controverse, di scelte non condivise da tutti. Potrei allora dissentire rispetto alla scelta effettuata, ma almeno sarei spinto a riconoscere la serietà degli amministratori, visto che esplicitando gli obiettivi si assumono comunque un rischio (ne sa qualcosa Berlusconi con il suo “contratto con gli italiani”). Purtroppo la vicenda del ridisegno dell’assetto dei servizi sociali ci consegna un’altra storia. Peccato.

L’orientamento verso uno smantellamento dell’ASP in quanto “azienda multiservizi” era già evidente nelle posizioni assunte dai sindaci (Adani e Lamandini soprattutto) nel dibattito nel consiglio dell’Unione a fine 2007 (vedi). Il dibattito è stato tenuto volutamente latente per un anno e mezzo, sino alla fine della legislatura, quando è stato compiuto un vero e proprio blitz in Comitato di distretto (vedi). Dopo le elezioni del giugno 2009, i nuovi amministratori hanno per un po’ tergiversato, nell’intento di capire e di non esasperare la CGIL (l’unica organizzazione sindacale che aveva manifestato contrarietà su metodo e merito). Quindi progressivamente si è arrivati a confermare l’orientamento del 2007, ma inquinando il dibattito e sovrapponendo più temi (questione logistica e questione organizzativa). Nell’ultimo mese i lavori in commissione tanto dell’Unione (il 13 ottobre), quanto dei comuni (il 14 settembre e 20 ottobre a Vignola) hanno confermato che la maggior parte dei partecipanti non ha chiara la posta in gioco. La questione della performance del servizio sociale è ancora ben lungi dall’essere non dico affrontata, ma anche solo inquadrata correttamente.

10 Responses to Si stravolge (con leggerezza?) l’assetto dei servizi sociali nel distretto di Vignola

  1. E.T. 57 ha detto:

    Chi vivrà vedrà…..
    Io semplicemente penso che le ragioni, andrebbero ricercate forse nella volontà di avere un controllo politico diretto dei Servizi da parte dell’ Unione Terre di Castelli, a prescindere dal resto.
    Perchè quando c’è la volontà di smantellare una struttura del genere (che magari è anche presa a riferimento ed esempio da identiche strutture sparse sul territorio nazionale) senza troppe spiegazioni, e senza prevedere quali saranno le conseguenze, vuol dire farsi un grandissimo autogol.
    Poi ,come di solito succede in questi casi, se si affida la gestione a persone poco competenti, ma altamente fidelizzate con la gestione politica.
    gli autogol sono 2.
    Non bisogna poi meravigliarsi più di tanto se queste operazioni chiamiamole di poca trasparenza, che per giunta non vengono spiegate adeguatamente, generino nella testa del cittadino della strada fantasie (a volte reali)e luoghi comuni, che generalmente danno per scontato che quando una cosa funziona bene, ma crea “problemi”, deve essere “normalizzata”.
    Le parole chiarezza o trasparenza ,dovrebbero essere utilizzate, non solo nella stesura dei programmi elettorali ( dove fanno sempre un convincente effetto..) ma anche nella realizzazione di rapporti ,programmi e servizi rivolti ai cittadini del territorio.
    I quali poi tramite il voto, esprimono il loro punto di vista sull’operato dei nostri politici, che a loro sembrano poco interessati alle conseguenze negative, perchè stranamente si sentono sempre dentro una botte di ferro.
    I nostri attuali amministratori politici di maggioranza dell’Unione Terre di Castelli, dovrebbero interrogarsi un pò più spesso,sul perchè i recenti risultati elettorali tendono a premiare Lega e Company,evidenziando un crescente ed evidente voto di protesta.

  2. cittadino 4859 ha detto:

    E.T. 57 dice: I nostri attuali amministratori politici di maggioranza dell’Unione dovrebbero interrogarsi un po’ più spesso ecc ecc…. E devono fare anche in fretta perchè alla prossima tornata elettorale non ci saranno più!

  3. Roberto Melotti ha detto:

    Nella mia veste di rappresentante CISL Funzione Pubblica per il distretto vignolese, quindi da soggetto parte del dibattito, ti volevo dire che dissento dall’uso del termine “smantellamento”. Le questioni sono distinte e sono due: la ricollocazione sul territorio, e qui il tema deriva da una scelta politica locale che è legittimo condividere o meno, e il transito da ASP a Unione, che invece corrisponde a logiche regionali che vedono separata la programmazione e la richiesta di servizi (in capo ai comuni o, se l’hanno delegata, alle Unioni)e la fornitura di servizi stessi. Se committente e fornitore sono lo stesso soggetto, qualche cortocircuito è possibile, o quantomeno non è la situazione ideale in un contesto di “stato liberale” e non di socialismo reale. Piaccia o non piaccia questa è la scelta della Regione, adottata in tutti i distretti della nostra Provincia: è palese che non è il modello del Coiss, della gloriosa, lungimirante, felice esperienza del Coiss, è chiaro, ma a questo punto piantiamo il chiodo a Bologna.
    Ho usato il termine “fornitore” in quanto non ho preclusioni sul fatto che l’ASP possa anche “comprare” servizi da privati utilizzando i know how che ha maturato per curarne la qualità, ma avrei dei problemi come cittadino e contribuente, in un contesto di spesa pubblica problematica, a reggere i costi di due strutture con i medesimi compiti: è un lusso che oggi non credo il sistema pubblico non si possa più permettere, e mi riferisco a tutte le spese di staff -o burocratiche, per semplificare- che ogni singolo ente pubblico comporta.
    Se vuoi sapere come la penso, credo che un servizio sociale collocato sul territorio sia maggiormente efficace in quanto meglio collegato con i singoli contesti comunali ma sicuramente meno efficiente in quanto la dispersione porta a minore razionalizzazione della forza lavoro. Credo che per il lavoro dell’assistente sociale salvaguardare la qualità della prestazione sia più importante, purchè le “code”, ovvero i tempi da attendere per avere un appuntamento, siano sostenibili. Credo altresì che la politica non debba invadere il campo della professionalità degli operatori, tentazione che temo sarà irresistibile per qualche amministratore.
    Credo soprattutto che sia ora di finirla con la contrapposizione frontale tra Unione e ASP, che ho toccato con mano proprio in occasione del confronto sindacale sul personale interessato dal trasferimento, un piccolo scontro istituzionale che è però indice di diverse visioni e che mi meraviglio la politica locale tolleri (figuriamoci se ne fosse il mandante!). Le emergenze sui bilanci pubblici rendono irresponsabile una logorante discussione su a chi debba andare un portafoglio di spesa, che come tu ammetti è il cuore della questione. Però mi meraviglio che questo blog, che seguo con attenzione e del quale riconosco l’indipendenza di giudizio e il coraggio propositivo, si schieri apertamente con un’opzione anzichè tentarne un’analisi distaccata e meno ideologica. Non volermene, Paltrinieri, ma l’impressione che riporto dalla tua analisi è questa.
    Roberto Melotti, CISL FP Provinciale

  4. Andrea Paltrinieri ha detto:

    Caro Roberto, non te ne voglio di certo. E delle questioni che tu poni parto proprio da quest’ultima. Tu dici che mi schiero “apertamente con un’opzione anzichè tentarne un’analisi distaccata e meno ideologica”. E’ certamente vero che “mi schiero” con un’opzione, anche se non mi ritrovo molto nell’etichetta di “schierato”. Direi piuttosto che, per quello che io ho visto sino ad ora, gli argomenti più convincenti li ho trovati a favore di questa opzione. Tra l’altro forse è il caso di notare che le cose che sto dicendo ora le dicevo anche a fine 2007, quando per la prima volta si è parlato di questo tema nel consiglio dell’Unione Terre di Castelli:
    https://amarevignola.wordpress.com/2007/12/18/governance-socio-sanitaria-alla-ricerca-di-buoni-argomenti/
    Nel prendere questa posizione mi sembra di essermi fatto guidare dagli argomenti. Provo a spiegarmi. E dunque tratto le questioni di merito che tu poni. Su una direi che siamo tutti d’accordo. La distribuzione delle assistenti sociali sul territorio è da valutare positivamente. Non penso che vada caricata di eccessive attese per chissà quali effetti, però potrà contribuire ad affermare uno stile operativo più “centrato sull’utente”. Dunque su questo non ho cose da aggiungere a quelle che dici tu: migliora l’accessibilità, si paga un po’ in perdita di efficienza.
    La questione più importante che tu poni, però, è un’altra. Tu dici che questa impostazione che separa nettamente chi fornisce i servizi (e su questo fronte si collocherebbe l’ASP dopo la riorganizzazione) dal “committente” (e su questo versante si colloca invece l’Unione, ovvero gli enti locali) risponde alla logica che la Regione sta introducendo. E poi dici: “Se committente e fornitore sono lo stesso soggetto, qualche cortocircuito è possibile, o quantomeno non è la situazione ideale in un contesto di “stato liberale” e non di socialismo reale. Piaccia o non piaccia questa è la scelta della Regione, adottata in tutti i distretti della nostra Provincia: è palese che non è il modello del Coiss, della gloriosa, lungimirante, felice esperienza del Coiss, è chiaro, ma a questo punto piantiamo il chiodo a Bologna.” Io penso che questo sia davvero l’unico vero nodo discriminante di questa vicenda. Ed è rispetto a questo argomento – che però è rimasto assolutamente ai margini del dibattito nelle istituzioni – che occorre prendere posizione. Ad onor del vero mi sembra che a ribadire questa “visione” sia stata essenzialmente Romana Rapini, dirigente del settore welfare dell’Unione. Sarebbe però interessante innanzitutto capire se davvero le cose stanno così. Io qualche dubbio ce l’ho. (1) Se le norme regionali prevedessero il superamento delle ASP “multiservizi” non ci sarebbe più ragione per il dibattito. In realtà mi sembra che altre ASP (io ho presente quella di Ferrara e quella del comprensorio imolese) non stiano affatto tornando indietro rispetto alla realtà dell’azienda multiserzi. Quella imolese, anzi, gestisce anche le politiche per la casa! In regione le ASP sono 45 (così a giugno 2010), qualche dato sulla loro configurazione avrebbe aiutato il dibattito. (2) Ma anche l’argomento “teorico” della separazione committente/provider mi sembra debole. E l’impressione che ho io è che difficilmente questa Regione potrà applicarlo in modo rigoroso, se non altro perché vorrebbe dire mettere in discussione tutto l’assetto della sanità! Le ASL, come tu sai, sono al tempo stesso committenti (fanno accordi di fornitura con aziende ospedaliere pubbliche e con case di cura private), ma anche provider (hanno al loro interno ospedali ed ambulatori specialistici, ecc.). Perché nel sociale la Regione dovrebbe voler applicare un modello che ricorda assai più quello lombardo (che teorizza l’effettiva parità tra provider pubblico e provider privato)? Mi sembra dunque che il tema non possa essere trattato con schematismi troppo rigidi. A mio modo di vedere proprio l’esperienza della sanità testimonia che è improprio parlare di conflitto di interessi inerente un’ASP multiservizi, ovvero al contempo committente e provider (almeno per una parte delle prestazioni di cui necessitano gli utenti). Uso questo argomento perché fu usato da Roberto Adani nella discussione del dicembre 2007 (vedi il link sopra) – secondo me impropriamente (come testimonia l’assetto dei servizi sanitari). Insomma, anche in merito a quale dovrebbe essere il “modello organizzativo” preferibile io non ho visto, sino ad ora, emergere argomenti stringenti a favore del riportare il “pacchetto di servizi” di cui discutiamo sotto l’Unione (togliendoli all’ASP). Mi sembra che ci sia spazio per soluzioni diverse che, ugualmente, non contrastano con le norme regionali. Sarà interessante vedere come si muovono gli altri territori che in questi anni si sono dotate di ASP “multiservizi”.
    Infine tu dici: “Credo soprattutto che sia ora di finirla con la contrapposizione frontale tra Unione e ASP, che ho toccato con mano proprio in occasione del confronto sindacale sul personale interessato dal trasferimento”. Potrei essere d’accordo con te, però mi è chiaro che queste frizioni hanno origine dal modo, che io non esito a definire opaco e maldestro, con cui è stata gestita la vicenda. Vogliamo ricordare il “blitz” in comitato di distretto pochi giorni prima delle elezioni amministrative 2009 (dopo che Adani aveva esplicitamente affermato che della questione si sarebbero occupati i nuovi amministratori)? O la continua confusione tra argomenti, come il tentativo di presentare la vicenda come se si stesse solo parlando della sede di lavoro delle assistenti sociali? E’ chiaro che ci sono amministratori ed operatori che hanno visto all’opera una manovra poco trasparente. Innanzitutto nelle motivazioni. All’ASP sono state imputate responsabilità non sue. Mentre sindaci ed assessori non hanno preso sul serio il tema del ridisegno del processo di indirizzo, controllo, rendicontazione (anche qui ci sarebbe stato qualcosa da imparare dalla sanità) – necessario per “governare” un’ASP cresciuta in complessità. Per tutte queste considerazioni posso dire ancora oggi, dopo tre anni di “dibattito” stentato e poco trasparente, di non essere affatto convinto che quella imboccata sia la strada migliore. Ti prego però, per questo, di non considerarmi “schierato”, come se fossi insensibile ai buoni argomenti. E’ che fino ad ora non ne ho visti molti!

  5. Roberto Adani ha detto:

    Caro Andrea,
    visto che mi citi vorrei precisare. In premessa dico di essere completamente d’accordo con Roberto Melotti. E’ del tutto legittimo che tu rimanga della tua opinione e cioè che il modello del consorzio che vede delegate ad esso sia la gestione che il governo dei servizi sia il migliore possibile. E’ effettivamente un modello molto simile a quello sanitario. Ma il punto sta proprio qui, il modello sanitario emiliano ha ottenuto grandi risultati dal punto di vista della efficienza della spesa, ma un è pò autoreferenziale . E’ un modello cioè in cui l’azienda sanitaria dice a se stessa di che cosa c’è bisogno sul territorio, poi eroga quei servizi (nemmeno tutti quelli che ha previsto), e alla fine si da anche almeno un nove in pagella. Ecco io penso che manchi una distinzione tra chi eroga servizi e chi stabilisce o almeno condivide i bisogni del territorio e controlla quei servizi. Nonostante i cittadini facciano riferimento al sindaco quando il servizio sanitario non funziona, è bene chiarire che nelle sue mani non esiste un reale potere di indirizzo o di controllo. Può fare qualche polemica sul giornale (più efficace di tanti documenti di indirizzo che è chiamato ad avvallare e che rimangono solo belle parole) ma non ha i cordoni della borsa, non può sanzionare, e non ha nemmeno gli strumenti per contestare o intervenire sulle scelte di un bilancio oltremodo complesso come quello sanitario. Non propongo assolutamente che i sindaci e i consiglieri tornino negli organismi di gestione delle aziende sanitarie (le vecchie USL) farebbero gravi danni come gestori. Ma propongo che la riforma tocchi anche la sanità dando strumenti di indirizzo e di controllo reali assieme alle corrispondenti responsabilità ai rappresentanti eletti dai cittadini. Quindi su un punto sono d’accordo, ma in senso opposto, cioè che la separazione voluta per i servizi sociali tra fornitore/gestore e controllore/governance si attui anche in sanità. Scusa ma poi non c’entra nulla la questione dell’azienda multiservizi, nessuno mette in dubbio che l’ASP possa gestire più di un servizio sociale e anzi magari tutti. Perchè altrettanto non corretto è che l’unione, quale organo di indirizzo, gestisca direttamente servizi. Fino a quando c’è questa commistione non si capisce mai di chi è la colpa. Specie in periodi di crisi in cui c’è da tagliare, difficile che uno si tagli un braccio anche se potrebbe fare con uno solo. Ti faccio un esempio, i servizi di assistenza domiciliare, hanno visto diminuire fortemente le richieste in momenti di crisi, difficile che il gestore, chiunque esso sia, decida di tagliarli, rivederli completamente o affidarli ad altri se da vent’anni li sta gestendo sempre allo stesso modo. Forse serve qualcuno che non sia chi gestisce, che verifica se quei servizi sono apprezzati, se qualcun altro li può fare meglio, se è il caso di destinare quelle risorse ad altri servizi…
    Tutta la regione a quanto mi risultava fino nel 2009, è andata in questa direzione (eccezione fatta forse per Imola che ha però un assetto istituzionale molto particolare). Di questo si è molto discusso a suo tempo, e tu, ti do atto, già allora non eri d’accordo, si decise di sperimentare una soluzione ibrida nel 2008 e responsabilmente nel 2009 tutti i sindaci del distretto (se non ricordo male ad unanimità) hanno tratto le conclusioni di quella sperimentazione, che hanno consegnato a chi veniva dopo di loro. I nuovi sindaci avrebbero potuto cambiare quelle conclusioni. Ma a me piace una politica che si assume le responsabilità anche sui temi difficili e dibattuti, sarebbe stato facile svicolare, e lasciare la palla a chi veniva dopo e quello sì sarebbe stato un blitz, ma dopo dieci anni di esperienza era per me doveroso lasciare le nostre valutazioni, senza pretendere che fossero oro colato, ma assunte dopo una lunghissima discussione e un lungo ragionamento in cui la politica e non solo la tecnica si è assunta le proprie responsabilità. Un caro saluto a te e ne approfitto anche a Roberto Melotti.

    • Andrea Paltrinieri ha detto:

      Ciao Roberto, la prima cosa che mi viene da dire è che questa – come peraltro già notavo commentando l’intervento di Melotti – è la VERA discussione. Quale assetto dare ai servizi sociali perché siano più efficaci, efficienti e, come prospetti tu, più “ricettivi”, sensibili ai cambiamenti dei bisogni. Peccato che QUESTA discussione non si sia fatta con la serietà dovuta, con lo studio dovuto, con le comparazioni necessarie. Ed io, magari anche per questo, rimango della mia opinione. Ovvero che quei risultati che tutti noi auspichiamo potessero essere anche raggiunti tramite l’ASP. Tra le cose che dici ce ne sono alcune che è opportuno riprendere, proprio perché fanno capire meglio “vizi e virtù” delle organizzazioni che abbiamo sul fronte sanitario e sociale. (1) La prima questione riguarda la difficoltà, anche per un sindaco, ad incidere sulla programmazione sanitaria. Hai perfettamente ragione. Ho sempre visto una certa debolezza che però non è affatto un destino ineluttabile. Perché se i sindaci di un territorio (non certo UN sindaco) vogliono giocare un ruolo rilevante ci sono alcune cose che possono e debbono essere fatte. La prima ha un nome: Ufficio di Piano. E significa strutturare un ufficio di piano che faccia davvero quello che la legge regionale gli richiede: supporto tecnico alla pianificazione. In realtà l’Ufficio di Piano dell’Unione fa di tutto tranne questo! Pensa invece ad avere qualcuno che, interagendo con l’ASL, è in grado di raccogliere ed elaborare i dati sanitari per dimostrare – l’esempio non è casuale – che l’offerta di specialistica ambulatoriale nel distretto di Vignola è significativamente inferiore a quella degli altri distretti (per cui i nostri cittadini vanno, in misura maggiore dei cittadini di altri distretti, fuori distretto per ottenere determinate prestazioni). Questo è un esempio banale. Ma fa intravvedere quello che bisognerebbe essere in grado di fare. Infatti per ogni nuovo ente che vado a creare (è così anche per l’ASP!) introduco un elemento di opacità in più rispetto a cui non posso fare nulla, se non rafforzare la catena di controllo e rendicontazione. Per questo io avrei sezionato diversamente il settore sociale: tutta la gestione all’ASP; ma un Ufficio di Piano come si deve sull’Unione (a cui affidare il supporto tecnico per la pianificazione sia sul versante sociale – rapporto con l’ASP – sia sul versante sanitario – rapporto con l’ASL). (2) La seconda riflessione che la politica deve fare è sulla qualità degli amministratori che si mette a capo di queste aziende, di questi enti. E qui un ragionamento un minimo sofisticato andrebbe fatto, riconoscendo che non sempre ci si mette “il meglio”. Ma qui mi fermo. Comunque, se QUESTA discussione fosse stata fatta per davvero, con l’ausilio di studi ed esperti, oggi forse avremmo compiuto la scelta davvero migliore (e magari io stesso avrei maturato un orientamento diverso …), ma soprattutto avremmo fatto una scelta con un ALTRO livello di consapevolezza. Consentimi di dire che è stata un’occasione mancata. Ciao.

  6. Roberto Adani ha detto:

    Guarda Andrea, sul disegno istituzionale che tu delinei, posso solo dire : pienamente d’accordo, era anche il mio disegno. Anche io immaginavo un ufficio di piano sufficientemente forte da confrontarsi alla pari con le tecnocrazie sanitarie e regionali, capace di supportare e gestire governance e controllo di soggetti privati e pubblici, in grado di raccogliere e far progredire i bisogni dei cittadini e le relative risposte. Dall’altro canto pensavo che all’ASP andava trasferita tutta la gestione (poi magari il confine gestione-governo non è sempre così netto) in modo da avere un soggetto pubblico che si occupasse di quelle gestioni che il privato non trova interessante attivare, ma soprattutto facesse da target, da termine di confronto per valutare sia le performance del pubblico che quelle del privato: Questo era l’approdo, che si sia passati per qualche transizione e che ci voglia un pò di tempo per mettere a punto il disegno mi sembra normale se si pensa alla giovane età sia dell’unione che dell’ASP. Le organizzazioni vanno accompagnate, assecondate a volte anche aspettate se è necessario per portare tutti al traguardo. Se l’obiettivo è ancora chiaro e condiviso mi sembra comunque raggiungibile…con un pò di coraggio …e un pò di fiducia. Anche nel personale ASP e Unione che continuo a considerare di buona e a volte perfino ottima qualità.

    • Roberto Melotti ha detto:

      Riportiamoci su Vignola e dintorni. A suo tempo non mi era sfuggito il tuo primo intervento nel merito e all’epoca anch’io e la mia organizzazione dovevamo farci un’idea su come concretamente andasse applicata la nuova impostazione regionale, sapendo che gli atti di indirizzo spesso permettono un ventaglio di modalità applicative e tra queste val la pena di provare a individuare quella più virtuosa. Nella nostra provincia il modello che si è maturato, vuoi perchè la partita l’hanno condotta i diversi uffici di piano vuoi perchè gli amministratori più esperti condividono le valutazioni di Roberto Adani, è sostanzialmente quello che nel tuo post, che giustamente è incentrato su Vignola, attribuisci a Romana Rapini, con qualche sfumatura diversa tra i vari distretti sul tema della cosiddetta subcommittenza, ovvero se l’ASP non debba essere solo produttore ma anche intermediario nei rapporti con fornitori privati. So che da altre parti le scelte sono state diverse, la mia segretaria regionale non perde occasione di ricordarmelo, così come ha ben presente che Modena è la provincia che più di tutte sta mettendo in discussione il sistema dell’accreditamento (che ci destinerebbe minori risorse di provenienza regionale). Già, perchè il vero spartiacque nel percorso di costituzione e sviluppo delle ASP è stata la norma sull’accreditamento. Prima con alcuni comuni ragionavamo addirittura di nidi o servizi per stranieri trasferiti all’ASP, anche per aggirare i limiti di spesa per il personale cui gli enti locali erano soggetti, poi il quadro è cambiato, ci si è pure messa la crisi economica e le ASP sono sempre più state inquadrate come produttori pubblici di servizi.
      E su questo volevo proporre una riflessione: perchè il fatto di essere produttori di servizi vuol dire “ridimensionarsi”? In tutta la nostra provincia stiamo battagliando come sindacati per preservare le esistenti gestioni pubbliche di servizi alla persona. Ultimamente va di moda pensare che gli enti locali debbano concentrarsi sulla programmazione e non si debbano “sporcare le mani” nella produzione di servizi, che tante grane comporta. Come categoria sindacale stiamo difendendo invece le gestioni pubbliche sia come riferimento qualitativo che come maggiore fattore di governance in un contesto sussidiaristico (che concordo con te essere più adatto al contesto lombardo che a quello emiliano) come quello azzardato dalla Regione. Gestire è una cosa nobile, in quanto credo che la qualità della performance derivi di più da come organizzi il servizio che dalla programmazione sociosanitaria che vi sta a monte. Definire una realtà gestionale come una cosa diminuita non fa onore ai tanti che, quotidianamente, col loro lavoro e rispetto alle singole responsabilità, portano avanti servizi indubbiamente qualitativi! E qui cito la mia personale esperienza di dipendente, anche se ora temporaneamente distaccato, di un’ASP che quotidianamente e da anni va avanti nonostante la conclamata inadeguatezza dei suoi vertici.
      Altrettanto credo che lo stesso servizio sociale andrà avanti bene, grazie alla grande professionalità degli operatori. Sicuramente le politiche di organizzazione e di selezione del personale tenute in questi anni prima dal COISS poi dall’ASP hanno determinato questa situazione favorevole, ma non mi risulta che l’impostazione dell’Unione sia così differente. La sfida vera è la devoluzione sul territorio, e se mi sono permesso di postare le mie critiche sul tuo blog è perchè ritengo che il tuo intervento possa disorientare il personale coinvolto in una fase complessa. La mattina successiva alla mia replica ho visto in assemblea le assistenti sociali, quasi tutte avevano in mano la stampata del tuo intervento: già è difficile elaborare il cambiamento, se si diffonde l’idea che forse i giochi non sono ancora definiti ci si deconcentra da quello che è il vero nodo, ovvero, per citarti, come migliorare o quantomeno mantenere la performance del servizio e, aggiungo io per il ruolo che ho e gli interessi che rappresento, salvaguardare la loro professionalità e garantire loro condizioni di lavoro accettabili.
      Discutere delle scelte politiche è legittimo e anche opportuno, per il bene degli amministratori stessi che lavorano meglio se stimolati. Questo mi pare però un dibattito di retroguardia. Giusto criticare il fatto che provvedimenti legislativi vengano adottati a livello regionale senza un coinvolgimento del territorio e che anche localmente vari amministratori preferiscano bypassare il dibattito e accentrare le scelte, sono mali della politica attuale. Ma molto di più mi preoccupa, e qui parlano anche il riformista e l’elettore di centrosinistra, la nostra capacità di dividerci anziché discutere in termini costruttivi. Non mi avventuro a distinguere se è colpa dei politici che decidono da soli e chiedono solo il nostro avvallo senza fare dibattito o se invece sono la nostra tafazziana rissosità e quella cupio dissolvi che da anni e a tutti i livelli ci pervade a indurre gli amministratori ad assumersi le responsabilità in prima persona, sarebbe come stabilire se è nato prima l’uovo o la gallina! Ma se vogliamo venirne fuori dobbiamo partire dal riconoscimento dei ruoli, magari subito dopo pretendendo confronti allargati a chi come noi, pur competente, è ai margini delle stanze dei bottoni, ma mai rinunciando a essere costruttivi e a riconoscere che la legittimazione a decidere certe persone, che le abbiamo votate o no, ce l’hanno. Una società disunita è sempre in declino.

      • Andrea Paltrinieri ha detto:

        Caro Roberto, non avrei aggiunto niente alle tue considerazioni, ma una cosa che tu scrivi mi ha “provocato”. E’ quando parli di “dibattito di retroguardia”, della tendenza a dividersi “anziché discutere in termini costruttivi”, di persone legittimate a decidere (e che dunque debbono poter decidere). Temo ci sia un’equivoco di fondo. Nessuno qui mette in discussione l’esistenza di un “potere” legittimato a decidere. Non certo io. Allo stesso tempo l’essere cittadini e non sudditi implica che ciascuno di noi è legittimato a scrutare e commentare le decisioni assunte dal potere legittimo. Ovvero a criticare, quando tali decisioni non convincono. Quando gli argomenti che sono utilizzati per giustificarle non sembrano solidi. E’ quello che faccio – con qualche grado di libertà in più di quando ero consigliere comunale – ora che sono un semplice cittadino. Inoltre non penso che sia il mio intervento a “disorientare il personale coinvolto in una fase complessa”. Immagino che quel personale sia disorientato innanzitutto da un dibattito trascinato ed opaco. Non chiaro. Mai sviluppato fino in fondo. Senza la dovuta trasparenza. In cui non sono chiari gli obiettivi che si assegnano al nuovo assetto organizzativo. In cui non sono chiare le valutazioni che si da del loro operato e dell’organizzazione in cui hanno lavorato sino ad oggi. Tu stesso riconosci che, al di là dell’orientamento prevalente a livello provinciale, altre scelte potevano essere fatte. Io per l’ennesima volta ho ribadito che non vedo degli argomenti forti a sostegno di QUESTO ridisegno organizzativo del settore sociale che pure è di grande portata, se non altro perché inverte una tendenza assunta in questo distretto per diversi anni con il Coiss prima, con l’ASP dopo. Legittimo farlo – non è di questo che si discute. Ma della visione che vi sta dietro, dell’incapacità di fare un dibattito come si deve (vieni in consiglio od in commissione se ne vuoi la conferma), dell’incapacità di fissare esplicitamente ed in modo misurabile gli obiettivi che si perseguono. Ecco, forse è questo quello che disorienta. Disorientano i rappresentanti delle istituzioni che portano in Comitato di Distretto, nel maggio 2009, la delibera di trasferimento del servizio sociale professionale dall’ASP all’Unione senza aver detto nulla al Presidente ed al Direttore dell’ASP (che, anzi, avevano avuto assicurazioni in senso contrario). E mi fermo qui. E’ questo modo di operare delle istituzioni che provoca disorientamento. Non certo la critica trasparente ed argomentata. Se poi il dibattito sia di retroguardia o di avanguardia lo lascio dire agli altri. Mi accontenterei di far emergere “cosa abbiamo imparato” dalle esperienze di gestione dei servizi sociali del passato e dal modo in cui la politica locale ha preso e prende le decisioni politiche più impegnative (tra cui ASP, SIPE, PSC, ecc.). Buon lavoro.

  7. Andrea Paltrinieri ha detto:

    Piccola riflessione a margine della seduta del consiglio comunale di stasera (26 ottobre) in cui è stata approvata, a maggioranza, la riorganizzazione del servizio sociale nel distretto, con il passaggio di un significativo “pacchetto” di servizi (tra cui il servizio sociale professionale, ovvero le assistenti sociali) dall’ASP G.Gasparini all’Unione. Per chi ha seguito i lavori nelle sedi istituzionali (in primo luogo nelle commissioni consiliari) in questi ultimi 40 giorni è evidente lo spostamento progressivo che è avvenuto sul fronte delle motivazioni di questo provvedimento. All’inizio era tutto ricondotto alla distribuzione delle assistenti sociali sul territorio – come se si trattasse di ridisegnare la “logistica” del servizio sociale. Che questo però non fosse l’aspetto determinante è divenuto evidente non appena dal fronte delle opposizioni (assai disarticolato per verità) è stato osservato che questa operazione (lo spostamento delle assistenti sociali sul territorio) poteva essere fatta anche dall’ASP, ovvero senza lo spostamento di questo pacchetto di servizi sotto l’Unione. Questa considerazione ha spostato la “strategia motivazionale”. Sono dunque stati messi in campo altri motivi, non sempre convincenti però. Questa sera, ad esempio, il sindaco di Vignola si è affidato ad un supposto “conflitto di interesse” che avrebbe connotato l’ASP come sin qui conosciuta, perché – secondo il sindaco – non è opportuno che “committenza” e “produzione di servizi” stiano all’interno dello stesso ente. Verrebbe da suggerire di non far giungere questa voce all’assessore regionale alla sanità Lusenti (ed al suo predecessore Bissoni), che potrebbero rimanerne turbati. Visto che, nella sanità regionale, le aziende sanitarie locali verrebbero considerate – secondo il sindaco di Vignola – sia “committenti” che “produttrici di servizi”. Esse infatti hanno al loro interno sia la lettura dei bisogni, sia le politiche di promozione della salute, che la produzione di servizi (attività ambulatoriale ed ospedaliera, in primis). Per rendere l’immagine ancora più concreta, secondo questa “interpretazione” in sanità esisterebbe un conflitto d’interessi visto che chi compie la diagnosi e fa la prescrizione (il medico di base, in quanto convenzionato ASL; il medico specialista, dipendente dell’ASL) appartiene alla stessa organizzazione che poi è chiamata ad erogare le prestazioni (l’ASL stessa, tramite ambulatori ed ospedali). Ora se a livello regionale nessuno eccepisce su questo supposto “conflitto d’interessi” riguardante la sanità (che tra l’altro incide per quasi l’80% del bilancio regionale), difficilmente potrà eccepire sul corrispondente “conflitto d’interessi” che riguarderebbe il sociale. Anche perché, a ben vedere, non si tratta di un conflitto d’interessi vero – specie se si fa funzionare il processo di indirizzo, controllo, rendicontazione. In sanità è la Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria (CTSS) che, nella misura in cui ne è capace, fissa gli obiettivi che poi l’azienda sanitaria è chiamata a raggiungere. Lo stesso avveniva in sede ASP, con l’assemblea dei sindaci che – sempre nella misura in cui ne era capace, questione NON BANALE – fissava (?) annualmente gli obiettivi dell’ASP dal punto di vista del bilancio e delle prestazioni da erogare. Allo stesso tempo esistono strumenti – basterebbe conoscerli e pretenderne l’applicazione – per monitorare la performance dei professionisti (medici od assistenti sociali che siano): dall’audit clinico alla rilevazione della “qualità percepita degli utenti”, alle forme di controllo degli utenti (CCM, audit civico, ecc.). Dunque l’argomento del “conflitto d’interessi” suona alquanto stonato. Insomma ciò che colpisce è il dibattito “artefatto”, fitto di cattivi argomenti (ovvero di argomenti non decisivi, non stringenti), chiamati in causa per “giustificare” un orientamento già maturato, anzi maturato da tempo (e, secondo me, di cui neppure tutti gli amministratori hanno consapevolezza). Quando si vogliono fare operazioni di questa portata (si spostano 35 unità di personale, 6 milioni di euro di spesa, tutta l’assistenza economica, ecc.) sarebbe buona cosa farlo sulla base di motivazioni chiare, esplicite, misurabili; sarebbe buona cosa mettere a confronto quanto stanno facendo altri territori (ho già ricordato che Imola e Ferrara si muovono esattamente nella direzione opposta di quella dell’Unione Terre di Castelli) – ed invece nel dibattito è mancata completamente la comparazione (se si vuole: il benchmarking); sarebbe buona cosa esplicitare gli obiettivi che si vuole perseguire, così da dare l’opportunità anche agli scettici di “misurare” gli effetti del cambiamento (ad esempio in termini di aumento dell’efficacia di intervento sui nuclei familiari multiproblematici con minori), individuando indicatori precisi per verificare a distanza nel tempo se la performance è effettivamente migliorata. Peccato che NESSUNA – dico NESSUNA! – di queste cose è effettivamente stata fatta e nessun documento scritto consenta di analizzare la situazione ex-ante e definisca la situazione a cui si tende (in termini di performance)! Fare queste cose vorrebbe dire amministrare seriamente. Qui, dispiace dirlo, si sta facendo altro. Ribadisco – è bene chiarirlo – che la critica è innanzitutto sul metodo e sull’opacità del percorso, PRIMA che sulla soluzione organizzativa infine adottata. Che a me PARE insoddisfacente. Dove invece HO CERTEZZA è sul modo approssimativo con cui si è gestito questo processo decisionale.

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