Si è svolto giovedì 22 luglio a Spilamberto il consiglio dell’Unione Terre di Castelli, convocato in “seduta aperta” (ovvero, anche i cittadini avevano la possibilità di prendere la parola ed intervenire), dedicato a “manovra finanziaria correttiva (decreto legge n.78/2010) – impatto sull’Unione Terre di Castelli e sui Comuni aderenti”. 7 i sindaci presenti (mancava il sindaco di Castelnuovo, assente giustificato) e 10 i consiglieri (di cui 2 di minoranza) – per l’istituzione, dunque, presenti 17 su 31. Circa 60 i partecipanti tra il pubblico (meno di 1 ogni mille residenti nel territorio dell’Unione). Dopo l’introduzione del Presidente Lamandini il dibattito ha visto 14 interventi, in parte di sindaci e consiglieri, ma anche di qualche “esterno” (Patrizia Palmieri ed Anna Paragliola della CGIL –sindacato che ha sollecitato questo evento istituzionale; Claudio Migliori di CNA; io; Roberto Melotti della CISL Modena; Marco Villa, giovane consigliere comunale di Spilamberto; Angelo Fregni). I numeri e la specificazione degli intervenuti al dibattito solo per dire che la performance si può ampiamente migliorare, sol che si voglia abbandonare queste formule rituali del dibattito politico. Il tema in effetti è di primaria importanza, visto che stiamo parlando di “downsizing”: riduzione delle risorse a disposizione degli enti locali in conseguenza della manovra che il governo sta ancora definendo, ma la cui portata è definita (oltre 24 miliardi di euro in due anni). Sono tagli pesanti che colpiscono Regioni, Province e Comuni e che costringeranno a ridurre la spesa locale ed a tagliare iniziative e servizi. Per chi ha seguito l’analisi ed il dibattito sulla manovra le caratteristiche sono chiare: la manovra è necessaria, anzi forse è quantitativamente insufficiente, ma è profondamente iniqua dal punto di vista istituzionale (il grosso dei tagli va su Regioni e Comuni, non sui ministeri) e sociale (la riduzione dei servizi colpirà le famiglie con redditi medi e bassi). Inoltre non affronta il tema dello sviluppo, né i nodi strutturali di questo paese (es. l’efficienza della pubblica amministrazione e del governo locale – il “taglio” delle province, anche di quelle “nane” è stato stralciato!). Comprensibile la forte reazione di contrarietà di regioni ed enti locali. Comprensibile la forte preoccupazione di sindacati (CGIL in primis), di associazioni di categoria e cittadini. In una situazione di questo tipo che cosa possono fare le amministrazioni comunali? Nel mio intervento ho provato a dire che cosa mi aspetto dagli amministratori locali. Vediamo di articolare quelle considerazioni. Tre punti: trasparenza sugli effetti; coinvolgimento dei cittadini nella definizione delle priorità; più coraggio nella ricerca dell’efficienza.
[1] La “manovra correttiva” avrà effetti gravi sui bilanci degli enti locali e delle regioni e tramite questi sulla vita delle persone. L’assessore al bilancio del Comune di Vignola ha stimato un taglio alla spesa, nel 2011, pari a 740mila euro (Gazzetta di Modena del 3 giugno). Di oltre un milione di euro l’anno successivo, nel 2012. Tanto per intenderci: i tagli previsti nel 2011, se confermati, equivalgono alla cancellazione dell’intero “servizio cultura” del Comune di Vignola: basta biblioteca (costa poco più di 600mila euro all’anno) e basta iniziative ed eventi culturali (altri 180mila euro all’anno). Secondo le stime dell’assessore al bilancio dell’Unione (nonché sindaco di Castelnuovo) gli 8 comuni delle Terre di Castelli dovranno tagliare le spese per 7 milioni di euro in due anni (pari a circa il 12% della spesa) (Gazzetta di Modena del 14 luglio). Un rapporto dell’ANCI rilasciato in questi giorni stima effetti ancora più severi (vedi). Appena la manovra sarà approvata e si potrà stimare il combinato dei tagli su enti locali (comuni e province) e Regioni (anche i tagli a queste colpiranno i cittadini, traducendosi in minor finanziamento agli enti locali, in minori investimenti nel trasporto pubblico e così via) occorrerà iniziare a dire in modo chiaro ai cittadini (ed elettori) che cosa sta succedendo. In particolare sarà importante trovare un modo efficace per rappresentare l’impoverimento dell’offerta dei servizi che si viene a determinare (nel paese ed in questo territorio) e la “redistribuzione” in atto di risorse ed opportunità tra i diversi gruppi sociali. Giovani, donne, lavoratori a retribuzione fissa sono quelli che pagano il conto. La manovra, con i suoi tratti di iniquità, contribuisce a processi di trasformazione sociale (di ri-allocazione di chances di vita) che sono tendenzialmente opachi. Ci se ne rende conto dopo anni, quando oramai la frittata è fatta. Occorre rischiarare il modo in cui i provvedimenti del governo aprono e chiudono opportunità per i diversi gruppi sociali.
[2] “Gestire” una riduzione della spesa di 700-800mila euro nel 2011, per il solo Comune di Vignola (che ha una spesa corrente annua di circa 19 milioni di euro), o di 7 milioni di euro per gli 8 comuni dell’Unione (nel biennio) non è certo facile. E non è certo indolore. Significa ripensare il profilo dei servizi erogati. Significa decidere se tagliare un po’ su tutti i settori, se cancellare per intero alcuni servizi, se ridurne la qualità, se introdurre od aumentare le tariffe a carico degli utenti – o tutte queste cose insieme. Gestire la fase del downsizing è complicato ed impopolare. E’ difficile. La tentazione di farlo in modo non trasparente è forte. L’abbiamo già visto con il bilancio di previsione 2010 dell’Unione: del tentativo di fare economie sullo “scodellamento” erano stati tenuti all’oscuro i diretti interessati (le istituzioni scolastiche) (vedi). Le decisioni (poi rientrate) di tagliare il “centro per le famiglie” ed i “centri giovani” erano state prese senza alcun dibattito pubblico, anzi neppure i consiglieri comunali erano informati (vedi). Di questo e della decisione di rinunciare alla gestione diretta dei centri estivi, dettata essenzialmente da ragioni economiche, non trovate alcun riferimento nella Relazione previsionale della giunta – il documento che accompagna la proposta di bilancio. Del fatto che la rete dei “centri diurni per anziani” è a rischio non trovate menzione nei documenti ufficiali. E così via. Questa non è trasparenza. Questa non è “buona amministrazione”. E’ un modo di fare da “furbetti del quartierino”. Serve un cambio di strategia. Serve il coraggio per inaugurare una nuova fase del rapporto tra istituzioni (ed amministratori) e cittadini. Serve trasparenza e partecipazione vere.
[3] Infine un’ultima questione. E’ possibile cogliere la drammaticità della crisi per operare scelte drastiche che modernizzino la struttura amministrativa di questo territorio? Bisogna infatti dire che l’Italia soffre di un problema legato agli enti locali: troppi e di troppo piccole dimensioni per gestire in modo efficiente i servizi e per svolgere con qualità compiti complessi di pianificazione, programmazione, controllo, rendicontazione. Oggi i Comuni sono 8.094 (salvo fusioni dell’ultima ora). Il 71,9% ha meno di 5.000 abitanti (nel nostro distretto è così per Marano, Guiglia, Zocca, Montese). Un altro 14,2% ha più di 5.000, ma meno di 10.000 abitanti (da noi Savignano s.P.). Si tratta di un problema strutturale di lungo corso che il sistema politico risulta incapace di affrontare. Si interviene pertanto in modo episodico, senza volere o potere mettere mano ad una vera “razionalizzazione” dimensionale degli enti locali (lo hanno fatto da tempo altri paesi europei). Anche il decreto legge n.78/2010 introduce una norma che obbliga tutti i comuni con meno di 5.000 abitanti a gestire in modo associato determinate funzioni o servizi, ma si tratta di una norma – per quanto importante – estemporanea, non una riforma organica, definita nei dettagli e condivisa istituzionalmente. Ma questo tema della ricerca di una maggiore efficienza (o di maggiori “capacità”) deve essere assolutamente affrontato, soprattutto ora che si riducono le risorse a disposizione degli enti locali!
Questo territorio, su questo fronte, è stato virtuoso in passato. Dovrebbe esserlo nuovamente oggi. Con grande intelligenza nel 2002 gli amministratori di questo territorio hanno dato vita ad un’Unione di Comuni (l’Unione Terre di Castelli, allora formata da 5 comuni, dal 2009 da 8), trasferendo servizi importanti (scuola, sociale, polizia municipale, gestione personale, informatica, ecc.) ed in questo modo migliorando la qualità dei servizi e la loro efficienza (vedi). Per lungo tempo l’Unione Terre di Castelli è stata l’Unione di comuni più grande in Italia per popolazione residente (e se oggi non lo è più è pur sempre ai primissimi posti). Lo strumento dell’Unione è stato usato per associare comuni di medie dimensioni, non comuni piccoli o piccolissimi (come era invece negli intenti del legislatore). Ma ha dimostrato di funzionare, anche se troppo spesso l’Unione diventa ancora oggi bersaglio di critiche strumentali e fuori misura. Certo, ci sono ancora problemi (governance, rendicontazione, un appannamento della visione strategica, convenzioni non attuate, ecc.), ma l’esperienza sino a qui compiuta è ampiamente positiva. E’ vero che l’Unione soffre di una debolezza “politica” e di scarsa riconoscibilità da parte dei cittadini (e gli amministratori del passato avrebbero certamente dovuto investire di più su questi fronti). Questo è un aspetto rilevante perché, ammesso e non concesso che risulti conveniente (dal punto di vista economico e della funzionalità/efficienza) andare oltre l’Unione di comuni (questo è l’aspetto da studiare!), ovvero procedere alla fusione dei comuni (vedi), il problema principale lo si avrebbe proprio nel sentimento di “attaccamento al campanile” di parte della popolazione (che potrebbe essere sfruttato da forze politiche di opposizione in una prospettiva di interesse a breve termine). Rimane comunque vero che in una situazione di forte difficoltà economica, come quella che si prospetta con i tagli ai trasferimenti agli enti locali, agli amministratori locali è richiesto un surplus di coraggio e di lungimiranza. Bisogna saper immaginare ulteriori azioni di razionalizzazione delle macchine istituzionali ed amministrative, nel tentativo di liberare risorse da impiegare per innovare i servizi e per interventi che diano futuro a questo territorio. Di nuovo: perché non cogliere la drammaticità della crisi (e della situazione che si genera per gli enti locali) per operare scelte drastiche che modernizzino la struttura istituzionale, amministrativa, di questo territorio? Questo interrogativo merita una risposta. Il Presidente dell’Unione Francesco Lamandini (assieme al presidente del consiglio dell’Unione, Tiziana Flandi) ha inteso, con l’iniziativa di giovedi scorso, “inaugurare una nuova stagione di progettualità, per collaborare e trovare soluzioni condivise”. Il prossimo appuntamento è per settembre. Avremo dunque molto presto l’occasione per misurare la qualità dei nostri amministratori.
Nota. Per valutazioni sulla manovra si veda l’articolo di Tito Boeri su la Repubblica del 26 maggio (vedi) e quello di Pier Paolo Baretta su Europa del 27 maggio (vedi) (le caratteristiche della manovra erano state annunciate da poco; alcune cose sono cambiate da allora, ma non i saldi) e quello di Luca Ricolfi su La Stampa del 16 luglio (vedi).
Ciao, sul dibattito Vostro e di (ormai) tanti altri entra la riapertura dei termini per la presentazione di domande per progetti/studi di fattibilità per fusioni/gestioni associate della Regione E-R, che rilancio qui http://twitter.com/piranology/status/19657020813 E’ un’opportunità per fare un ragionamento un po’ più approfondito su come arrivare all’esito della ridefinizione strutturale dei confini amministrativi, esito necessario anche se non sufficiente alla gestione del downsizing cui tu fai riferimento. A vs. disposizione. Alessandro Pirani
Ciao Alessandro, grazie per la segnalazione. Proprio in questi giorni il tema delle fusioni di comuni è stato trattato da Chiara Bussi sul Il Sole 24 ore (del 2 agosto):
http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArticle=T5QES
In vent’anni, in Italia, sono state fatte 8 fusioni di comuni. L’opera di razionalizzazione degli enti locali è dunque ancora tutta da compiere in Italia, diversamente che negli altri paesi europei. Per quanto riguarda i comuni dell’Unione Terre di Castelli, 5 di questi hanno avviato il percorso per un PSC intercomunale. Una volta completato questo iter (oggi si va a rilento dopo il cambio di molti amministratori) verrebbe ad essere eliminato uno dei principali fattori ostacolanti una eventuale fusione (ovvero l’eterogeneità delle norme edilizie). Io ribadisco il mio pensiero: in tempi di tribolazioni come quelli che si annunciano con i tagli agli enti locali è un atto di responsabilità quello di NON escludere questa prospettiva. Sarebbe saggio avviare uno studio in proposito. Poi magari questo dimostrerà che non è conveniente o che si sono altri fattori ostacolanti insormontabili. Però è uno scenario da approfondire.