Con il titolo “Segni” è stata inaugurata il 12 giugno una singolare esposizione alla Rocca di Vignola. Oggetto della mostra sono appunto i “segni” che una popolazione varia – abitanti, ospiti, visitatori – ha lasciato sulle pareti della Rocca stessa. Incisioni, disegni, scritte, scarabocchi, impronte. Nelle sale affrescate, nelle prigioni, nei camminamenti, nelle stanze degli armigeri. Dal XV al XX secolo. Molti segni risultano incomprensibili o dicono davvero poco. Altri sono firmati o consentono comunque di fare congetture sull’autore. Qualcuno offre un piccolo squarcio sulla vita di allora e sulla condizione di chi lo lasciò. “CAPPE. ALTE. RICCI. QUI. ENTRO’. SENSA MOTIVO CIURA DI FARE VENDETTA” – così si legge inciso in una cella della torre Nonantolana. “ADI 16 8br 1581 IO GALVANO FUI MISO IN PRIGIONE CREDENDO DI FARE BENE P[ER] IL NOSTRO PATRONE ET TROVAI A GRAN MIO DANO ET COSTO CHE FEZE MALE” – questa scritta è invece nello stipite di una porta della sala delle colombe, un tempo riservata all’amministrazione della giustizia. Graffiti e scritte sui muri della Rocca ci offrono un diverso punto di vista su più di cinque secoli di storia. Una storia “dal basso”, fatta delle vicissitudini, tribolazioni, sogni del “volgo” che ha frequentato il castello di Vignola. Una storia complementare a quella delle fonti ufficiali; quest’ultima più attenta a fornire elementi di conoscenza delle élites locali (con l’eccezione degli atti dei tribunali, spesso uniche fonti che consentono di ricostruire le microstorie quotidiane della gente del popolo – un bellissimo esempio è il libro dello storico Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500, Einaudi, Torino, 1976: vedi). La mostra rende accessibile questa dimensione di storia popolare.

Dalla mostra "Segni": una delle 21 immagini di grande formato, scritta incisa in una cella della torre Nonantolana (foto del 19 giugno 2010)
Frutto di un lavoro sistematico di rilevazione, la mostra è organizzata in un percorso composito: 10 immagini narranti, dove voci di attori registrate raccontano “suggestioni” nate dall’interpretazione di altrettanti “segni”; 21 immagini di grande formato e relativi pannelli “informativi”; la proiezione di altre 200 immagini; una “linea del tempo” dove gli avvenimenti della Rocca di Vignola sono rapportati ai grandi avvenimenti della storia nazionale; ed anche, infine, un “pannello-laboratorio”, una parete intonacata dove i visitatori possono lasciare i loro segni (confidando, come esposto dal Presidente della Fondazione in occasione dell’inaugurazione, che questa opportunità eviti di aggiungere ulteriori “segni” ai muri originali!). La mostra si inserisce nell’ambito della manifestazione “Accadde in Rocca”, “giunta alla sua quarta edizione” – così recita il piccolo “catalogo” della mostra. E questo è un piccolo mistero, perché conteggiando l’edizione originaria del 2005, quella della prima teatralizzazione di un episodio davvero accaduto (“La Mostarda”), quella del 2010 risulterebbe la quinta edizione, non la quarta. Partiamo da qui per un commento.

Pannelli con immagini fotografiche della mostra "Segni". Alla Rocca di Vignola dal 12 giugno all'1 novembre 2010 (foto del 19 giugno 2010)
[1] “Quante volte è successo, a coloro che si aggiravano per stanze, scale e labirintici percorsi, di immaginare e desiderare che le pareti, per un’arcana magia, iniziassero a parlare, narrando i fatti di cui erano state mute testimoni? Accadde in Rocca è un progetto che si propone di realizzare, per quanto possibile, tale fantasia.” Questo il proposito della prima edizione: la messa in scena (teatrale) di un episodio documentato di storia locale. Si iniziò il 14 dicembre 2005 con la rappresentazione, nelle sale della Rocca, dello spettacolo “La Mostarda”, realizzato dalla compagnia “Teatro del vicolo” (vedi). “Mostarda” è il nomignolo dato a tale Maria Dominici Montalogni, detta anche “la Duchessa”, parte lesa nel processo a carico di Giulio Valmori, il quale l’avrebbe insultata e fatta oggetto di “atti osceni”. Il processo si celebrò in Rocca in alcune sedute comprese fra il 13 marzo ed il 1° aprile del 1754. Il fatto si evince dagli atti del processo che hanno offerto sufficienti informazioni per ricavarne un vero e proprio canovaccio sul quale è stata costruita un’azione teatrale. Dal dicembre 2005 si passa all’aprile 2007 per la seconda edizione. La formula venne sostanzialmente confermata – la teatralizzazione di un episodio “accaduto in Rocca”. Cambiò la compagnia teatrale: la compagnia Koiné (vedi) realizzò infatti le tre edizioni 2007, 2008 e 2009, mettendo in scena di volta in volta i preparativi per la visita del Duca Borso d’Este e del Duca di Mantova alla Rocca di Vignola il 29 luglio 1458 (nel 2007, vedi); alcuni episodi e suggestioni della vita di Jacopo Barozzi (nel 2008, vedi); l’assedio di Vignola, iniziato e repentinamente concluso nell’aprile del 1745, quando il territorio modenese era preda delle soldatesche spagnole e croato-ungheresi che si affrontavano nella Guerra di Successione Austriaca (nel 2009, vedi). Questi spettacoli teatrali basati su materiale documentario storico, messo a disposizione dal Centro di documentazione della Fondazione, hanno lo scopo di far conoscere fatti, personaggi e momenti storici, utilizzando come mezzo la teatralizzazione degli eventi. Come si evince dal Bilancio di Missione 2005-2008, alla realizzazione delle (prime) tre edizioni (2005, 2007, 2008) “sono stati destinati € 163.457” (p.45) (anche se non è chiaro se tali “destinazioni” siano o meno al netto dell’incasso da vendita di biglietti). Con il 2010 la formula della “teatralizzazione” di vicende storiche è abbandonata (magari solo temporaneamente), per introdurre, sempre nell’ambito del programma “Accadde in Rocca”, la mostra “Segni”, che alcuni elementi di teatralità comunque mantiene.
[2] La mostra è stata ideata e curata da Massimo Trenti, fotografo vignolese (ma oggi residente a Guiglia) – io lo ricordo anche per l’impegno politico: consigliere comunale indipendente di sinistra nella legislatura 1995-1999 (era sindaco Gino Quartieri) e, più recentemente, in lista per il consiglio comunale di Vignola alle elezioni amministrative del 2009 nella lista civica “Vignola Noi” (lista civica creata ad hoc dall’allora candidato sindaco Daria Denti). Bella l’idea che ha guidato questo progetto: recuperare un pezzo di storia locale, per quanto frammentario, tramite le scritte sui muri della Rocca. Bella l’idea di un censimento dei “segni” e di ricavarci una mostra connotata da un mix tra conoscenza storica ed intrattenimento. Debbo però dire che alcune soluzioni relative all’impostazione ed all’allestimento non mi convincono del tutto.
Tralascio i dettagli tecnici – i sensori che in automatico attivano la voce narrativa delle “immagini narranti” qualche problema lo danno – e mi concentro su un unico aspetto di fondo. Che è questo. La mostra è giocata sul confine tra conoscenza storica ed arte. Vorrebbe – come avvenuto con le passate edizioni di “Accadde in Rocca” – utilizzare l’arte (il teatro, la narrazione, la fotografia) per trasmettere conoscenza storica. Un’operazione di grande intelligenza. Usare l’appeal che ha l’arte (ed il teatro in particolare) per offrire un’occasione di conoscenza storica (e sappiamo quanto ce n’è bisogno nel nostro paese!). La mia impressione è che con “Segni” questa operazione sia riuscita meno che in passato. Che l’interazione tra dimensione artistica e dimensione conoscitiva sia qui meno feconda che in passato. In effetti, la teatralizzazione funziona se c’è una storia da narrare (vedi “La Mostarda”). Ma in questo caso non c’è una storia. Ci sono solo dei segni – al massimo una frase. Ovvero unità semantiche troppo striminzite e che costringono a spostare l’impresa artistica (in primo luogo delle 10 immagini narranti) in modo troppo marcato nell’ambito della fiction. Facciamo un esempio. Delle “tre macchie”, le impronte delle tre dita lasciate con la vernice sul muro fresco, non sapremo mai la storia che vi sta dietro. L’immagine narrante che vi corrisponde ipotizza che il giovane aiutante dell’affrescatore si sia pulito le dita apposta sul muro fresco, per fare un dispetto al proprio datore di lavoro. Ma potrebbe benissimo essere il segno di dispetto del mastro affrescatore nei confronti di un committente che non rispettava i tempi di pagamento o che si rivolgeva a lui in malo modo. O nulla più che un semplice errore, senza alcuna intenzionalità.
A ciò si aggiunge il fatto che, nelle immagini di grande formato, i segni sono trattati come fossero arte, anziché storia. Sono esposti più come se avessero valore estetico, dunque se avessero valore in sé, piuttosto che come segni o frasi di un testo il cui senso non è autoevidente e che – sta in questo il compito del divulgatore – deve invece essere esplicitato. Anche se i “segni” che compongono la mostra sono oltre 200 essi da soli non bastano a fare un “testo”, a rendere una narrazione unitaria. Su ciascuno di essi, potendo, bisognerebbe scrivere una storia. Chi era il Galvano che il 16 ottobre 1581 incide sulle pareti della cella in cui è rinchiuso quel triste commento alla sua vicenda? Chi amministrava la Rocca in quell’anno? Quali erano i reati più comuni per cui si veniva imprigionati? Queste ed altre domande potrebbero guidare la tessitura di un testo narrativo che a partire da un segno racconta davvero un pezzo di storia locale. Forse meglio sarebbe stato selezionare solo quei pochi che consentivano, con un lavoro di interpolazione, di imbastire una storia, per quanto lacunosa. Raccontando così una storia “esemplare” delle prigioni, una della cucina e degli approvvigionamenti, una dell’amministrazione della giustizia. Intendere quei segni come segni storici avrebbe voluto dire porsi questo obiettivo. Invece qui la narrazione della storia passa in secondo piano ed anzi sostanzialmente scompare dietro all’estetizzazione dei segni (od all’imbastire su di loro sì una “storia”, ma nel senso di fiction). La fotografia, più che al servizio della narrazione storica, sembra presentarsi come valore in sé, come fatto estetico.

Il pannello-laboratorio per consentire ad ogni visitatore di lasciare i propri "segni". La foto è del 19 giugno, una settimana dopo l'inaugurazione, ed il pannello è già saturo (italiani popolo di grafomani?). Ne verrà messo un altro?
Personalmente, mi auguro che le future edizioni di “Accadde in Rocca” recuperino integralmente quell’obiettivo, assai ambizioso proprio perché assai difficile, di usare l’arte per trasmettere conoscenza storica locale. E che magari provino ad usare il web per diffondere i video di queste narrazioni teatralizzate (magari iniziando proprio dalle edizioni passate). Sarebbe anche questo un modo intelligente per promuovere cultura e conoscenza storica. Con questa edizione, in effetti, la presentazione web della mostra è di altissima qualità ed efficacia (vedi). Perché dunque non esercitarsi anche con il videostreaming?
Di questa commistione tra arte e conoscenza storica sulla Rocca di Vignola va citato un precedente. In quel caso si trattò di letteratura. Di un libro che, in modo romanzato, narrò vicende del XVI secolo: Gervaso R., Calabrese O., Manfredi V.M., Celli G., Quattro per un delitto. 1575-Vignola, Cassa di Risparmio di Vignola, 1991. In quell’anno la CRV decise che il tradizionale volume di fine anno fosse un po’ originale ed affidò la sua stesura “alla penna di quattro Maestri che hanno “letto”, in totale autonomia, uno di quei tragici fatti, d’uomini e donne, d’amore e di morte, che è così spontaneo evocare una volta entrati nell’antica, silenziosa dimora” (dall’introduzione firmata dal Direttore Generale Emilio Crippa e dal Presidente Franco Rabitti). L’episodio scelto per queste narrazioni avvenne il 2 agosto 1575: durante un colloquio negli appartamenti ducali di Ferrara, in presenza del Duca Alfonso II e di alcuni gentiluomini, Ercole Contrari, Marchese di Vignola, morì di morte improvvisa. In quel caso l’abbinamento fu tra letteratura e conoscenza storica.
ho visto la mostra solo in parte. non mi ha comunicato grandi sensazioni devo dire. in compenso ho scoperto che nella prima sala c’è un secondo ritratto nascosto tra gli affreschi. E’ poco distante da quello fotografato. Un volto con una specie di turbante in testa. Questo “segno” manca nella mostra. Dimenticanza, mancanza di conoscenza o voluto? Mah!!!
Con colpevole ritardo la Fondazione di Vignola ha reso pubblico (la cosa è avvenuta nel mese di novembre 2011) il bilancio d’esercizio 2010. Nel documento sono riportati, tra le altre cose, i dati di spesa della mostra “Segni” (vedi pag.56):
Fai clic per accedere a Bilancio2010.pdf
La spesa complessiva per la realizzazione della mostra è pari a 56.706,40 euro. Una cifra che – mi permetto di dirlo – mi sembra eccessiva (anche considerando alcuni problemi di allestimento e funzionalità). Nulla si dice sul numero dei visitatori! E nulla si dice sul gradimento della mostra (io l’ho visitata, ma se fossi stato chiamato ad esprimere un giudizio avrei valutato “insufficiente” la qualità dell’allestimento, come ho cercato di argomentare nel post) da parte dei visitatori. Evidentemente non deve essere stato un successo neppure agli occhi della Fondazione! La mostra è rimasta allestita per il periodo 12 giugno – 1 novembre 2010.