Proprio allo scadere della legislatura l’Assemblea regionale dell’Emilia-Romagna ha approvato una legge sulla partecipazione. L’aveva già fatto la Regione Toscana nel 2007, prima regione italiana a dotarsi di una legge sulla partecipazione (vedi). Poco più di due anni dopo, in extremis, anche la Regione Emilia-Romagna si dota di una legge volta a sostenere alcune modalità di “democrazia partecipativa” (vedi). Questo fatto è rilevante anche per Vignola visto che, soprattutto grazie alla lista civica Vignola Cambia, il tema della partecipazione dei cittadini è entrato nell’agenda politica locale. Reagendo alle sollecitazioni della campagna elettorale del 2009, l’amministrazione comunale retta dal sindaco Daria Denti ha annunciato il proprio impegno anche sul fronte della partecipazione dei cittadini alle scelte più importanti della città. Il primo banco di prova – gestito in modo non esaltante, in verità – è stato “Via della partecipazione”, il percorso di partecipazione per la messa a punto del progetto di risistemazione di via Libertà e via Barella. Il percorso è stato concluso il 12 dicembre 2009 – ora la scelta spetta all’amministrazione comunale. In prospettiva si annunciano, però, banchi di prova assai più impegnativi. L’amministrazione comunale ha già annunciato di voler fare un percorso partecipato anche per la riqualificazione dell’ex-mercato ortofrutticolo. Sullo sfondo, poi, sta il grande tema della partecipazione dei cittadini a disegnare il futuro di questo territorio, tramite il nuovo PSC (vedi). Proprio in riferimento a queste prospettive la nuova legge della Regione Emilia-Romagna risulta assai rilevante. Per questo conviene darle un’occhiata.

Stefano Corazza ed un cittadino coinvolto nell'iniziativa "Non il mio nome", in difesa dei tigli di via Libertà (foto del 18 luglio 2009)
[1] Il progetto di legge “Norme per la definizione, riordino e promozione delle procedure di consultazione e partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali” (ora Legge Regionale 9 febbraio 2010, n.3: vedi) è stato presentato dai consiglieri Ugo Mazza e Massimo Mezzetti, di Sinistra Ecologia Libertà (vedi) ed è stato votato dalla maggioranza (plausibilmente spinta anche dalla necessità di compattare la coalizione in vista delle imminenti elezioni regionali; del PD registro l’intervento convinto di Gianluca Borghi). Esso ha come obiettivo quello di sostenere, anche grazie al contributo finanziario della Regione, alcune forme di partecipazione e democrazia diretta applicate ai processi decisionali inerenti le scelte che riguardano opere pubbliche, territorio, questioni di rilevanza sociale o culturale. Chi è interessato alla partecipazione dei cittadini o, per utilizzare formule teoricamente più sofisticate, alla “democrazia partecipativa” o “democrazia deliberativa”, farebbe bene a leggersi le quattordici pagine del testo di legge, per complessivi 18 articoli (vedi). Io vorrei qui richiamare l’attenzione sui principali aspetti. Innanzitutto chiarendo che la nuova legge non introduce un obbligo, ma fissa dei principi e dispone degli incentivi (economici). La legge, cioè, non introduce alcun obbligo di attuare percorsi partecipativi a fronte di decisioni importanti per la collettività o anche solo di attivarli se richiesti da un certo numero di cittadini. Non fissa dunque norme vincolanti sull’attivazione dei percorsi partecipativi. E qui probabilmente si poteva fare qualcosa di più (è evidente che la legge è un punto di mediazione tra diverse istanze). Ad esempio in Francia esiste dal 1995 l’istituto del débat public: l’apertura del “dibattito”, ovvero del dispositivo di partecipazione dei cittadini, è automatica per le opere che superano una certa soglia in termini di costo (ne dà conto Luigi Bobbio in un saggio molto interessante dedicato a Democrazia e nuove forme di partecipazione, una delle nove “lezioni” sulla democrazia: vedi). La legge regionale prevede però la definizione di “incentivi” finanziari per quegli enti locali che, dovendo realizzare importanti opere pubbliche o dovendo assumere decisioni di rilievo per il futuro di un territorio, si impegnano ad attuare percorsi di partecipazione dei cittadini. E’ comunque importante come principio “orientativo”. La nuova legge sulla partecipazione riconosce dignità, anche per la maggioranza PD, alla “democrazia partecipativa”. Da oggi sarà un po’ più difficile, a livello locale, eludere le istanze che si richiamano a quei principi.

Un momento informativo "alternativo" nell'ambito del progetto "Via della partecipazione" (foto del 14 novembre 2009)
[2] Vediamo alcuni aspetti più in dettaglio. “Cittadini singoli o associati possono inoltrare istanze e petizioni agli organi della Regione o degli enti locali competenti, per la conoscenza e l’informazione sulle scelte”. Essi “possono richiedere, secondo le modalità previste dallo statuto dell’ente competente, l’apertura della discussione su determinate questioni con l’avvio di un processo partecipativo” (art.4, comma 2). Come si diceva non c’è alcun obbligo per gli enti locali di istituire il “processo partecipativo”. Si rimanda, invece, alle previsioni del loro statuto ed alla volontà politica delle amministrazioni. Si rimanda anche – e questo può aprire scenari interessanti – all’opera di “mediazione” tra l’ente interessato (es. il Comune di Vignola) ed i “cittadini richiedenti” (che intendono avviare un processo di partecipazione) condotta dalla figura del “tecnico di garanzia” (una figura definita a livello regionale). Infatti, “nel caso in cui l’ente locale risponda negativamente o non risponda alle richieste partecipative dei cittadini entro trenta giorni (…) questi ultimi possono richiedere l’intervento di mediazione del tecnico di garanzia in materia di partecipazione” (art.4, comma 3). L’intervento di mediazione di questa figura avviene “nei casi in cui il progetto sia di notevole rilievo ed abbia ottenuto l’adesione formale” di un numero minimo di cittadini, definito in termini di percentuale sulla popolazione residente (art.15). Nel caso di Vignola (comune che rientra nella fascia di popolazione 15.001-30.000) si tratta dell’1 per cento dei residenti (ovvero 246 cittadini, visto che la popolazione è oggi di 24.575 unità). Per intenderci, 246 cittadini vignolesi possono richiedere l’intervento di mediazione del “tecnico di garanzia” (regionale) per “invitare” l’amministrazione comunale ad attuare un percorso di partecipazione in merito ad “un progetto di notevole rilievo”. Ovviamente il “tecnico di garanzia” non può obbligare l’ente ad avviare un percorso partecipativo. La sua è un’opera di moral suasion. Quegli enti locali che intendono avviare processi di partecipazione vengono aiutati con l’erogazione di contributi, assegnati sulla base di una progetto e relativa richiesta. Sarà dunque importante verificare quante risorse la Regione ha stanziato o stanzierà per queste finalità (e sarà importante richiedere un impegno preciso in tal senso ai tanti candidati alle imminenti elezioni regionali). La legge dispone che tali progetti debbano essere massimamente inclusivi: “Hanno diritto di partecipare ai procedimenti partecipativi di cui alla presente legge tutte le persone, le associazioni e le imprese che siano destinatari, singolarmente o collettivamente, delle scelte contenute in un atto regionale o locale di pianificazione strategica, generale o settoriale, o di atti progettuali e di attuazione in ogni campo di competenza regionale, sia diretta che concorrente” (art.3, comma 1) Inoltre, laddove il percorso partecipativo è sviluppato a fronte di una richiesta dei cittadini (es. tramite una petizione), tale iniziativa costituisce “un fattore premiante nella valutazione delle domande per ottenere il sostegno regionale alla partecipazione” (art.4, comma 2).

Le foto di alcuni dei cittadini mobilitati in difesa dei tigli di via Libertà (foto del 14 novembre 2009)
[3] Che cos’è nel concreto un processo partecipativo? La legge non entra nel dettaglio. Si limita invece a richiamare i punti essenziali, rimandando la definizione di metodologie, linee guida, ecc., – ovvero gli “aspetti tecnici” – ad atti successivi e ad altre figure (il “tecnico di garanzia in materia di partecipazione”: art.8; incaricato anche di presiedere un “nucleo tecnico” Regione-enti locali: art.7) La legge si limita ad affermare che per processo partecipativo si intende “un percorso di discussione organizzata” che viene avviato in riferimento ad “un progetto futuro o ad una futura norma” di competenza delle assemblee elettive o delle giunte “al fine di ottenere la completa rappresentazione delle posizioni, degli interessi o dei bisogni sulla questione” e con l’intento di ricercare “un accordo delle parti coinvolte” (art.10, comma 3). E ne definisce anche i termini temporali: un processo partecipativo non può avere una durata superiore a 6 mesi (art.11, comma 3). Che cosa produce un tale “processo partecipativo”? “Il prodotto del processo partecipativo è un documento di proposta partecipata di cui le autorità decisionali si impegnano a tener conto nelle loro deliberazioni.” Attenzione, però! “Tener conto” non significa che le autorità decisionali si adeguano. Ma piuttosto che esse sono tenute a considerare la posizione espressa dal percorso partecipativo e, nel caso “si discostino dal documento di proposta partecipata” esse devono darne “esplicita motivazione”. In altri termini: la potestà decisionale rimane in capo alle istituzioni (giunta o consiglio), ma queste debbono prendere in considerazione gli esiti del percorso partecipativo. Chiarissimo in proposito è il comma 2 dell’art.16: “L’ente responsabile della decisione istituzionale da assumere, valutata la proposta partecipata, non ha obbligo alcuno e può decidere di recepire, in tutto o in parte, le conclusioni del processo partecipativo o di non recepirle.” In sintesi l’ente locale non è obbligato ad attuare il “processo partecipativo” e non è obbligato neppure a farne proprie le conclusioni nel caso lo abbia attuato. A qualcuno questo doppio non-obbligo può apparire come una squalificazione della partecipazione popolare. Io mi limito a dire che è materia di riflessione. Ci muoviamo pur sempre – né d’altro canto può essere altrimenti – nell’ambito di una democrazia rappresentativa, su cui si prova ad innestare più robusti istituti di partecipazione dei cittadini.

Un momento di confronto nell'ambito del progetto "Via della partecipazione" (foto del 25 novembre 2009)
[4] Ancora tre sono gli aspetti per me degni di attenzione: tecnico di garanzia; comitato di pilotaggio; “diritto” ad un’informazione esaustiva ed accessibile. Del “tecnico di garanzia” abbiamo già detto nella sua veste di “mediatore”. Si tratta di un ruolo ibrido, da un lato “giudice” (dunque una figura super-partes, ma senza reali poteri), da un lato “esperto” della partecipazione (ha il compito di emanare “linee-guida” ed anche di valutare l’adeguatezza tecnica dei progetti affinché siano ammessi a contributo). Se ne tratta in diversi punti del testo di legge (art.8, ma anche art.4 comma 3, artt.7, 15 e 16) a testimonianza che il suo ruolo è rilevante. Sarà interessante vederlo all’opera in qualche caso concreto. La mia impressione è che si tratti di uno dei punti deboli della legge. Interessante è invece la previsione di un “comitato di pilotaggio” chiamato a governare i processi partecipativi. Esso è “appositamente composto da delegati rappresentativi del tavolo di negoziazione” (dunque anche di rappresentanti di cittadini). Mi sembra interessante questa proposta visto che sulla mancanza di un organo con funzioni analoghe avevo criticato il progetto “Via della partecipazione”. Esso, infatti, non ha previsto una “cabina di regia” che governasse il processo partecipativo e di cui facessero parte rappresentanti dei cittadini (vedi il punto 5 del post “Via della partecipazione. Facciamo il punto“: vedi). Partecipazione sì, ma “governata” dall’alto! Invece, se si vuole un impegno vero alla partecipazione anche il modo di condurre il processo partecipativo va “partecipato”. Si eviterebbe di alimentare il sospetto di un’opera di manipolazione dietro alle scelte di tipo organizzativo (ma assai rilevanti ai fini degli esiti). Si eviterebbero, probabilmente, anche alcuni grossolani errori (la definizione delle modalità operative di “Via della partecipazione” è stata svolta esclusivamente dall’amministrazione assieme a Genius Loci – una cosa che si è tradotta in modalità informative assolutamente inadeguate!). Secondo la legge l’istituzione del “comitato di pilotaggio” (a me sembra più chiara l’espressione “cabina di regia”) non è obbligatoria. O meglio, lo diventa solo nel caso in cui il progetto di partecipazione sottoposto alla Regione per l’ottenimento di un finanziamento richieda un finanziamento superiore a 20.000 euro (art.14, comma 3). In ogni caso il fatto che un tale “organismo” sia richiamato dalla legge regionale ne legittima indubbiamente esistenza e ruolo!

Un momento informativo "alternativo" nell'ambito del progetto "Via della partecipazione" (foto del 14 novembre 2009)
Ultimissima cosa riguarda l’informazione – un aspetto assolutamente decisivo ai fini della qualità del processo partecipativo. La legge non entra nel dettaglio di modalità e caratteristiche dell’informazione. Rimandando di fatto ad indirizzi successivi probabilmente da parte del “tecnico di garanzia in materia di partecipazione”. C’è però nella legge un richiamo di principio che vale la pena sottolineare: “per garantire l’informazione, quale premessa necessaria ai processi partecipativi, la Regione e gli enti locali adottano adeguati strumenti, anche informatici, idonei a consentire ai cittadini di accedere facilmente alle informazioni possedute dalle amministrazioni, allo scopo di realizzare un quadro conoscitivo il più possibile condiviso” (art.10, comma 1). Basta guardare il sito web del Comune di Vignola per rendersi conto di quanto sia distante il principio dalla realtà.