Tetto del 30% per gli alunni stranieri. A che gioco gioca la Gelmini?

“Si tratta di un provvedimento di buonsenso che nasce dall’esperienza”. Così avrebbe affermato il ministro all’istruzione Mariastella Gelimini nel presentare i contenuti della nota contenente “indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana” (vedi la nota del suo ufficio stampa dell’8 gennaio: vedi). La notizia è finita su tutti i giornali di ieri, 9 dicembre, con il titolo “tetto del 30% per gli alunni stranieri”. Poniamo per un attimo che l’intento dichiarato dal ministro Gelmini sia vero: favorire l’integrazione degli alunni stranieri nella scuola italiana. Se questo è l’assunto – “la scuola deve essere il luogo dell’integrazione” – come valutare questo provvedimento? Proviamo dunque ad interrogarci sulla sua applicabilità e sulla sua efficacia. Potremmo scoprire che quello che manca, nel provvedimento del ministro, è proprio il buonsenso.

Inaugurazione della mostra "Buon compleanno Costituzione!". Da sinistra: il sindaco Roberto Adani, il dirigente scolastico Gianni Ravaldi, il presidente del Senato Renato Schifani (22 novembre 2008)

[1] Possiamo desumere i contenuti della “circolare” del ministro Gelmini dalla nota rilasciata dal suo ufficio stampa (vedi). Il nodo centrale è appunto il tetto del 30% agli alunni stranieri: “le iscrizioni di minori non italiani non dovranno superare il 30% degli iscritti”. In particolare “il numero degli alunni stranieri presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30% del totale degli iscritti, quale esito di una equilibrata distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana tra istituti dello stesso territorio”. Questo limite entrerà in vigore in modo graduale, a partire dall’anno scolastico 2010-2011 dove riguarderà le classi prime (della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado; non si dice nulla, invece, della scuola dell’infanzia). Tale limite, però, potrà essere innalzato (o ridotto) – con determinazione del Direttore generale dell’ufficio scolastico regionale – a fronte della presenza di alunni stranieri già in possesso delle adeguate competenze linguistiche (o invece con padronanza della lingua italiana ancora inadeguata). Dunque viene fissato un limite nella misura del 30%, però poi sarà possibile derogare (ma con l’autorizzazione del Direttore dell’Ufficio scolastico regionale) in base al vero elemento rilevante che non è la nazionalità, ma la competenza linguistica. Perché il 30%? Non è dato sapere (anche se questa soglia era già stata annunciata a marzo 2009: vedi). Nell’intervista rilasciata a “Il Tempo” di ieri il ministro Gelmini afferma: “Il 30% che abbiamo fissato è frutto di un ragionamento e di una valutazione puntuale. E’ chiaro, poi, che può esistere una discrezionalità su singoli casi” (vedi). Plausibile che nella determinazione della soglia al 30% rientrino anche ragioni attinenti alla “comunicazione politica”, ma che nulla c’entrano con la ricerca di una soluzione al problema.

Inaugurazione della mostra "Buon compleanno Costituzione!". Intervento del maestro Augusto Bonaiuti, coordinatore del progetto (foto del 22 novembre 2008)

[2] A livello nazionale gli stranieri sono il 7,7% nella scuola primaria (negli ordini scolastici successivi la percentuale è inferiore). Tra i comuni capoluogo di provincia quelli con la percentuale più alta di alunni stranieri sono Mantova (15,4%), Prato (15,2%) e Piacenza (15,0%). Modena si colloca al sesto posto con il 13,0%. La presenza degli alunni stranieri è in effetti significativamente più alta nel Nord Italia. Tra le regioni, la percentuale più alta di alunni stranieri sul totale dei frequentanti si ha in Emilia-Romagna (12,7%), seguita da Umbria (12,2%) e da Lombardia (11,3%) (i dati si riferiscono all’anno scolastico 2008-2009: vedi). E’ dunque nel Nord Italia che la scuola è messa sotto stress per l’accoglienza e l’integrazione dei bambini stranieri. Poiché, però, la distribuzione sul territorio non è affatto omogenea (i flussi migratori si concentrano dove il sistema produttivo e dei servizi richiede manodopera), in alcune realtà locali si registra sia una percentuale più alta di stranieri residenti, sia una percentuale più alta di alunni stranieri. Così avviene anche qui da noi (come in diverse zone della provincia di Modena, Reggio Emilia, Bologna). A Vignola gli stranieri residenti sono il 15%, mentre gli alunni stranieri nella scuola elementare e nella scuola media sono più del 20% (la situazione a marzo 2008 è presentata in questo post: vedi). Sono cifre destinate ad aumentare – ad oggi non è prevedibile una riduzione della popolazione straniera anche nell’attuale situazione di crisi economica (vedi). La giovane età di questi immigrati, inoltre, si traduce in formazione di famiglia e nascita di figli (tra i nati del 2009 a Vignola gli stranieri sono il 37,4%: vedi). In alcune realtà limitrofe il dato è ancora più alto (a Spilamberto i nati stranieri sono circa il 50%). Già solo questi dati evidenziano che tra pochi anni la soglia del 30% non potrà essere rispettata. E ciò per un semplice motivo: dovendo accogliere tutti i minori stranieri a scuola (trattandosi di scuola dell’obbligo) sarà automatico avere percentuali di alunni stranieri più alte del “tetto” oggi fissato. Diventa così già chiaro che fissare un “tetto” a livello nazionale, in una realtà fortemente disomogenea, è un assoluto nonsense che risponde solo ad esigenze di comunicazione politica. Con ogni probabilità ugualmente privo di senso sarà il fissare un eventuale “tetto” regionale, visto che anche nei 341 comuni dell’Emilia-Romagna (per fare un esempio) l’incidenza degli stranieri sui residenti e sugli alunni è già oggi diversissima.

Carabiniere e gonfaloni in occasione dell'inaugurazione della mostra "Buon compleanno Costituzione!" (foto del 22 novembre 2008)

[3] Questo ragionamento ci aiuta anche ad inquadrare meglio il problema. In fondo lo riconosce anche la nota del ministro Gelmini: l’aspetto davvero rilevante è la competenza linguistica. Seguiamo ancora per un attimo il ministro che afferma: “oggi in molte classi gli studenti vengono penalizzati nell’apprendimento mentre i ragazzi immigrati non riescono ad integrarsi” (vedi). Considerazioni assolutamente condivisibili. Chi vorrebbe iscrivere il proprio figlio o la propria figlia in una classe dove metà degli alunni non conosce la lingua italiana e dunque “rallenta” l’attività didattica? Nessuno. Ma, appunto, il tema vero è quello della competenza linguistica. Il problema è complesso, ma il rimedio individuato non sembra essere la giusta soluzione. Non si tratta di spalmare meglio gli alunni stranieri, si tratta di garantire un’offerta didattica tale da rispondere al bisogno di formazione delle necessarie competenze linguistiche prima dell’inizio della scuola elementare (o media, ecc.) o nelle primissime settimane di questa. Una soluzione potrebbe essere quella di generalizzare per davvero la frequenza all’ultimo anno di scuola dell’infanzia. In questo caso anche i bambini stranieri di 5 anni avrebbero la possibilità di formare o migliorare le proprie competenze di lingua italiana. Ma per fare questo occorrono più risorse di quelle che la Gelmini ed il governo sono disposti a mettere a disposizione del sistema scolastico italiano (ricordo che nell’anno scolastico 2009/2010 non sono state attivate alcune sezioni di scuola dell’infanzia nel territorio dell’Unione Terre di Castelli perché lo stato non ha garantito i necessari insegnanti!). Un’altra soluzione potrebbe essere quella di mettere le scuole in condizione di integrare la propria attività didattica ordinaria, consentendo l’offerta di corsi intensivi di lingua italiana per quegli alunni stranieri che non hanno le necessarie competenze linguistiche. In effetti a questo fa riferimento anche la nota ministeriale, dove si dice che “il Ministero assegnerà apposite risorse finanziarie per gli interventi di sostegno alle scuole per l’inserimento di bambini stranieri e ulteriori finanziamenti saranno previsti per le scuole dei territori con alta presenza di cittadini stranieri.” Già il fatto che si “promettano” risorse senza specificarne l’importo non è buona cosa. Anche perché sino ad ora l’operato della Gelmini è stato in direzione di una riduzione di risorse al sistema scolastico italiano, lasciato in condizioni di sofferenza (vedi). Il ministro, inoltre, ha aumentato il numero massimo di alunni per classe – un’altra norma che non va nella direzione di agevolare l’inserimento e l’integrazione degli alunni stranieri. Come organizzare questa ulteriore offerta didattica? Il ministro Gelmini sembra voler riproporre le “classi-ponte” oggetto di una proposta della Lega Nord, anche se, pare, in forma attenuata. La sua dichiarazione stampa afferma infatti: “Oltre al tetto, inoltre, è fondamentale prevedere classi di inserimento di durata limitata per poter insegnare la nostra lingua a chi è appena arrivato in Italia ad un livello sufficiente per non sentirsi in difficoltà con i coetanei. Questi momenti di inserimento si svolgeranno sia la mattina che il pomeriggio, mentre nella scuola media una parte di ore della seconda lingua potrà essere usata per lo studio dell’italiano” (vedi). Quale valutazione dare della proposta? Sapendo che, come spesso succede, il diavolo sta nei dettagli è bene sospendere il giudizio fino a quando questi non saranno noti. Se l’espressione “classi di inserimento di durata limitata” sottintende classi separate fatte solo da stranieri che fanno attività didattica per diversi mesi (tra cui anche apprendimento della lingua) per poi essere redistribuiti nelle classi “miste” d’approdo, questa soluzione è da valutare negativamente. La discussione sulle cosiddette “classi ponte” dovrebbe averci dato la consapevolezza che per un’azione efficace occorre tenere assieme entrambi gli aspetti: l’inserimento nel gruppo-classe (evitare la formazione di classi separate) e l’offerta di formazione intensiva sulla lingua italiana (vedi).

Il presidente del Senato Renato Schifani consegna una copia della Costituzione italiana ad un'alunna della scuola elementare di Vignola (foto del 22 novembre 2008)

[4] E’ il tetto del 30% la misura più appropriata per chi vuole sia la migliore integrazione degli alunni stranieri, sia evitare penalizzazioni di quelli italiani? Nonostante le rassicurazioni del ministro di non voler assolutamente fare un provvedimento “ideologico” le tracce dell’ideologia sono del tutto evidenti. Determinare una soglia “nazionale” quando la realtà nazionale e regionale (ma anche delle diverse province) è così diversificata ha assai poco senso. Risulta difficilmente applicabile e necessita di numerose deroghe. Oggi si registra una presenza più alta di alunni stranieri nel “tempo pieno” o “tempo prolungato” (ed anche ai fini del perfezionamento linguistico ciò non dovrebbe essere valutato negativamente). Domani come si concilierebbe la scelta dell’orario scolastico con il rispetto di una soglia che già oggi risulta stretta per molti territori (tra cui il nostro)? Si pensi poi alla concentrazione di alunni stranieri negli indirizzi professionali delle medie superiori (scuola secondaria di secondo grado). Anche in quel caso come conciliare la scelta dell’indirizzo (su cui pure sarebbe bene poter intervenire, ma per altri motivi e con strumenti meno rozzi) con il rispetto del tetto? In altri casi, infine, la concentrazione degli stranieri in determinate scuole – il “ghetto” scolastico – è la conseguenza di una concentrazione in alcuni quartieri della città – il “ghetto” territoriale. Qui la scuola non fa che recepire modelli insediativi già verificatisi sul territorio (ed è lì che, semmai, bisognerebbe intervenire per evitare concentrazioni troppo alte di cittadini stranieri: vedi). Per tutte queste ragioni il provvedimento prefigurato dal ministro Gelmini risulterà sia scarsamente applicabile, sia inutilmente complicato (es. per la richiesta di autorizzazioni alla deroga al Dirigente dell’Ufficio scolastico regionale), sia scarsamente efficace. Ha dalla sua un “vantaggio”, però. Trasmette un messaggio consono alle aspettative di una parte non irrilevante della popolazione italiana (come già avvenuto anche per il “pacchetto sicurezza” e le ronde). Anzi, probabilmente è tarato soprattutto su questa esigenza comunicativa, più che sull’efficacia nell’affrontare un problema reale (che c’è). L’impressione è che sempre più spesso il sistema politico italiano abbia smesso di occuparsi dei problemi della società con l’ottica di fornire soluzioni efficaci. L’ottica adottata è, invece, troppo spesso quella della “seduzione” dell’opinione pubblica. Se poi le misure proposte non funzionano, pazienza. Poché in molti casi i risultati si vedono diversi anni dopo che le misure sono state adottate si può confidare sulla tradizionale debolezza della memoria dei cittadini italiani e soprattutto sull’assenza di istituzioni (es. il sistema dei mass media) in grado di costringere chi governa a rendere davvero conto dei provvedimenti che adotta. Sulla scuola italiana sia con la Moratti prima, sia con la Gelmini oggi le cose vanno in questo modo.

PS Ulteriore confusione sul contenuto del provvedimento è stata prodotta dallo stesso ministro Gelmini che nel corso di una trasmissione televisiva ha “precisato” che il provvedimento non riguarderà gli stranieri nati in Italia (vedi). Nella circolare n.2/2010 questa “interpretazione” non è esplicitata, tant’é che anche l’articolista del Il Sole 24 Ore che se n’é occupato il 10 gennaio afferma: “Il tetto del 30% varrà anche per gli stranieri di seconda generazione” (vedi). La stessa cosa dice la nota dell’ufficio stampa del ministro. Ancora il 12 gennaio su Il Sole 24 Ore il provvedimento è presentato in modo contraddittorio: si dice sia che “i bambini stranieri nati in Italia avranno lo stesso trattamento degli italiani”, sia che sono possibili deroghe (autorizzate dall’Ufficio scolastico regionale) per gli “alunni stranieri nati in Italia con adeguata conoscenza dell’italiano” (cosa che presuppone che il provvedimento non esenti in modo automatico dal conto i minori stranieri nati in Italia!) (vedi). In ogni caso si tratta dell’ulteriore conferma del fatto che non è la nazionalità quella che conta, ma la competenza linguistica (e qui si potrebbe aprire una qualche riflessione anche su qualche italiano …). Sui limiti all’applicabilità del provvedimento, pur confermando la posizione del ministro, si è espresso anche il dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Modena sul Corriere della Sera (vedi). Alla fine cosa rimane? Tanto rumore … forse non per nulla, ma certamente per molto poco. Ribadisco: il problema è reale. La soluzione prospettata pessima.

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