Un operaio egiziano di 32 anni, residente a Bazzano, è morto ieri sul lavoro a Bologna (vedi). Il nome è Ahmed Eisa Mohamed Ali Mousa. Precario da due anni, in procinto di un’assunzione a tempo indeterminato, un matrimonio programmato per agosto nel suo paese – così riportano le cronache sui giornali. E’ morto mentre lavorava nella ditta Almet Italia Srl di Bologna. Colpito alla testa da una barra di alluminio “sparata” da una macchina utensile a poca distanza da lui. Purtroppo un altro morto sul lavoro. Uno dei troppi morti sul lavoro: tanti italiani, ma tanti (sempre più) stranieri. Ricordiamo anche, a novembre 2008, l’episodio alla Marconigomma di Sasso Marconi (BO), dove Fabio Costanzi e Iadav Ranjaz, italiano il primo, indiano il secondo, hanno perso la vita per un incidente sul lavoro. Altri tre lavoratori rimasero feriti: due tunisini ed un marocchino. I dati sulle morti sul lavoro, se analizzati rispetto alla nazionalità, evidenziano il tributo crescente dei lavoratori stranieri. Quei lavoratori che da tempo (io ricordo un sopralluogo alla Emilpress, pressofusioni in alluminio, alla fine degli anni ’80: erano quasi tutti ghanesi o nigeriani) occupano quei posti di lavoro per cui gli italiani non sono più disponibili. E che in questo modo ci ricordano del perché sono in mezzo a noi. Ci ricordano il contributo che danno allo sviluppo economico del nostro paese. Ci ricordano che, ricoprendo i ruoli meno qualificati, si espongono anche a rischi in misura maggiore degli italiani. Ci ricordano, anche, che pagano con la vita l’impegno nel lavoro.
A suo tempo, sul Corriere di Bologna del 18 novembre 2008, Giuseppe Sciortino, sociologo dell’Università di Trento, ma residente a Bologna, scrisse a proposito dell’incidente alla Marconigonna: “Ci resta da fare ancora qualche compito a casa. Una delle vittime è un lavoratore di nazionalità indiana, che era appena riuscito a ricongiungere la propria famiglia. I tre lavoratori feriti sono due di nazionalità tunisina e uno di nazionalità marocchina. Tutti immigrati, tutti regolarmente assunti, tutti residenti da anni. Come in molte altre aziende, come in molte parti della provincia di Bologna. Non dovrebbe essere attraverso le tragedie che ci ricordiamo che queste persone vivono tra di noi, che contribuiscono allo sviluppo della città e hanno i nostri stessi diritti. Quando ci infastidiamo perché i loro figli entrano nelle graduatorie per gli asili nido, perché la coda dal medico di famiglia ci appare più lunga, perché un odore diverso dal solito sale da una cucina, forse dovremmo ricordarci soprattutto questo: che pagano le nostre stesse tasse, che contribuiscono a questa città con il loro lavoro e, come ieri, con il loro sangue. Non è forse giunto il momento di pensarli come nostri concittadini anche quando sono ancora in vita?” La convivenza tra italiani e stranieri non è semplice. E’ giusto richiedere loro, con il massimo rigore, il rispetto delle leggi. Ma è giusto anche fare il possibile per non complicare loro inutilmente la vita quando debbono rinnovare il permesso di soggiorno o quando richiedono la nazionalità italiana, magari per i loro figli nati nel nostro paese (vedi). Ed è giusto, innanzitutto, riconoscere senza remore che lavorando da noi, nelle nostre fabbriche, nei nostri servizi, contribuiscono alla ricchezza di questo territorio ed al nostro stile di vita. Per questo, lo ribadisco, mentre rafforziamo i controlli sul territorio per contrastare illegalità e criminalità, lavoriamo anche per dare loro opportunità e strumenti per l’integrazione: la possibilità di alloggi a prezzi accessibili e con regolare contratto d’affitto, servizi di supporto all’autonomia ed all’occupazione delle donne, corsi di lingua italiana al CTP, sostegno ai percorsi scolastici per i figli. Tutti beni o servizi importanti per italiani e stranieri, ma per questi ultimi ancora di più per la mancanza di reti parentali di sostegno (rimaste al luogo di origine) e per l’esigenza di sentirsi accolti. Il peso e lo stigma di politiche di accoglienza non proprio benevole che cento anni fa sperimentarono gli emigranti italiani dovrebbero averci resi più sensibili.
“Ma lei chi è? Non è del castello, non è del villaggio. Lei non è nessuno. Anzi lei purtroppo è qualcosa, è uno straniero. Uno che è sempre di troppo, e sempre tra i piedi, uno che procura un sacco di grattacapi’
F.Kakfka, ‘Il Castello’