Il presente documento ha il compito di introdurre la discussione del Forum tematico Scuola (giovedì 11 dicembre, ore 20.30 in municipio) per l’elaborazione del programma del PD per le elezioni amministrative del 2009. La prima stesura ha potuto beneficiare di osservazioni di Maurizia Rabitti, Paola Covili, Valter Cavedoni ed è stata conseguentemente modificata. Ecco la versione pdf con le note.
L’acceso dibattito che ha accompagnato l’iter parlamentare del “decreto Gelmini” ha evidenziato senza ombra di dubbio che il provvedimento del governo è stato mosso esclusivamente dall’obiettivo di tagliare la spesa per la pubblica istruzione, senza alcuna vera e solida finalità pedagogica o di riforma della scuola (vedi). Invece sappiamo che la scuola italiana ha bisogno di provvedimenti che le diano più qualità. Ne ha bisogno in ogni ordine e grado, anche se, come confermano le indagini nazionali ed internazionali, la scuola primaria (scuola elementare) “funziona meglio” della scuola secondaria. Tuttavia le leve principali da azionare per ottenere un miglioramento della qualità del sistema scolastico (reclutamento, formazione, valutazione degli insegnanti; contenuti degli apprendimenti; ecc.) non stanno a livello locale, bensì a livello nazionale. Dipendono, infatti, dagli interventi del governo e del parlamento. E per una parte di competenze (es. diritto allo studio) delle Regioni. Una scuola che in questi mesi si è vista (quasi esclusivamente) destinataria di tagli difficilmente è una scuola che “sta bene” dal punto di vista psicologico. I provvedimenti del governo “deprimono” dunque ulteriormente uno stato di benessere, anche psicologico, già provato dal turbinio di riforme e controriforme degli ultimi anni. In questa situazione le istituzioni scolastiche locali ed i principali stakeholder (gli enti locali, ma non solo) debbono trovare nuove motivazioni e nuove energie per reagire, per riaffermare la centralità della scuola nella società democratica e nella società della conoscenza. Occorre, in altri termini, accentuare lo sforzo sia progettuale, sia di collaborazione scuola-istituzioni-società, così da “vincere la depressione” che altrimenti, nella scuola e negli strati più consapevoli dei cittadini, rischierebbe di diffondersi (Il riferimento è al bel saggio di Alessandro Cavalli, sociologo che da tempo si occupa del mondo della scuola, “Consigli per vincere la depressione”, Il Mulino, n.2, 2008, pp.250-258). Ecco, dunque, alcune suggestioni per una nuova progettualità tra scuola, ente locale, comunità territoriale. Non ancora una bozza di programma in senso stretto, ma piuttosto una visione – una visione della scuola locale, del suo futuro, dei suoi rapporti con le istituzioni e la comunità.
[1] Del tempo scuola. Riduzione a 24 ore del tempo normale nella scuola primaria. Riduzione del tempo scuola anche nella scuola secondaria. Tempo pieno e tempo prolungato probabilmente messi in discussione. Questi gli effetti del “decreto Gelmini”. Si tratta qui di riprendere una riflessione avviata già ai tempi della “riforma Moratti” circa la possibilità di spostare almeno una parte dei progetti di qualificazione dell’offerta formativa (e relative risorse) al di fuori del tempo scuola, portando tali attività ad integrazione del tempo scuola canonico, così da poter recuperare un diverso orario, più lungo (e meno vuoto rispetto al “doposcuola” ipotizzato dalla Gelmini). E di pensare ad una integrazione di attività extrascolastica (sport, cultura, arte, ecc.) nella sede scolastica, riducendo fortemente la discontinuità tra intra ed extra. Priorità all’intervento sulla scuola primaria e, quindi, alla secondaria di primo grado. Se l’obiettivo è condiviso si può avviare l’analisi della fattibilità, la stima dei costi, la rilevazione dell’interesse. In tal modo ci si muoverebbe anche lungo la direzione di una riduzione della separatezza tra educazione intrascolastica ed educazione territoriale.
[2] Una scuola, la sua comunità. L’articolo citato di Alessandro Cavalli osserva che, per gli insegnanti, le soddisfazioni intrinseche alla professione sono fondamentali. Oggi, tuttavia, è importantissimo che siano accompagnati da “riconoscimenti esterni”: dalle famiglie, dai mass media, dalle classi dirigenti. Occorre lavorare nel medio-lungo periodo per ridare alla scuola l’orgoglio della propria funzione nella comunità. Ci sono cose che si possono fare a livello locale. Sia per rafforzare l’orgoglio interno, di appartenenza ad una data scuola (esemplare è l’esperienza dell’Istituto Primo Levi, ma anche del Circolo Didattico di Vignola). Significa fare della scuola una comunità. Sia per rafforzare l’orgoglio della comunità per la propria scuola. Questo significa legare ancora di più la scuola al territorio. Significa soprattutto ridisegnare le relazioni, le comunicazioni tra scuola e comunità. Significa innanzitutto incrementare le occasioni, i momenti di “rilevanza pubblica”, per la comunità, della vita scolastica. E’ realistico pensare di conseguire risultati un po’ significativi in questa direzione? Dall’idea di una scuola-fondazione possiamo cercare di salvare, di “rielaborare”, questo aspetto? C’è un secondo aspetto del nesso scuola-comunità che va esplorato. Di recente si è costituita, a Vignola, un’associazione denominata Associazione Comunità Educante (ACE). Un’associazione di genitori, di insegnanti, di “educatori” che operano in contesti extrascolastici. Si tratta di un’intuizione interessante: l’idea di una comunità educante, di una comunità che non intende delegare (interamente) ad una agenzia specializzata una funzione educativa che ritiene anche propria, di una comunità che intende ri-appropriarsi di questa funzione educativa. C’è posto per le istituzioni scolastiche in questo disegno? Per le istituzioni, non per i singoli insegnanti od educatori. Cosa significa collocare l’istituzione scolastica quale perno di questa attività di “educazione”? Proviamo ad immagine una scuola che offre le proprie competenze educative alle altre agenzie extrascolastiche che hanno anch’esse una funzione educativa, seppure in senso lato. Ad esempio le associazioni sportive. E’ pensabile una scuola che offre proprie competenze, propri servizi al mondo dello sport giovanile? E che magari ne ottiene una migliore conoscenza di quei processi nella società da cui anche la propria attività è influenzata. Ad esempio una scuola che offre (sulla base di accordi di collaborazione per reciproci scambi) corsi di formazione per allenatori, operatori sportivi, animatori. Insomma fare passi in avanti nel superare la separatezza tra educazione intrascolastica ed educazione territoriale.
[3] Una scuola “riflessiva”. Deficit di riflessività, ovvero deficit di auto-osservazione. In questo modo uno dei più famosi sociologi contemporanei (Niklas Luhmann) ha descritto lo stato del sistema scolastico. In effetti la teoria pedagogica è rimasta indietro rispetto alla realtà e la scuola (ma anche gli osservatori esterni: politici, intellettuali, ecc.) è sempre meno in grado di comprendere come essa produce ciò che produce: conoscenze e abilità nella mente di studenti. In attesa di nuove teorie in grado di spiegare la realtà dei processi di apprendimento, come questi possono essere migliorati e cosa si apprende a scuola, una serie di indagini internazionali (es. OCSE-Pisa) ha richiamato l’attenzione sul tema della “valutazione degli apprendimenti”. Alcune cose possono essere misurate e queste misure di ciò che gli alunni hanno appreso possono essere intese come misure, certo parziali, della performance della scuola. Questa misurazione degli apprendimenti, certo parziale e perfettibile, non è importante solo per valutare la performance del sistema scolastico complessivo (e dunque per fare confronti tra sistemi scolastici nazionali o regionali). E qui, come noto, i risultati non sono rassicuranti, neppure per il sistema scolastico dell’Emilia-Romagna (vedi). Ugualmente importante è la rilevazione degli apprendimenti per ciascun singolo istituto. Sia perché, rilevando gli apprendimenti anno dopo anno, si mette in luce il trend in atto (purtroppo discendente, secondo le indagini di G.Gasperoni della seconda metà degli anni ’90). Sia perché consente di avere dati che aiutano l’istituzione scolastica ad interrogarsi sulla propria performance, dunque sull’efficacia della propria azione educativa, e sui fattori che la determinano. Priva di un sistema di “misurazione” della performance la scuola si ritrova senza una misurazione oggettiva della “qualità” del proprio operato. L’ente locale dovrebbe pertanto sostenere le istituzioni scolastiche del territorio nel promuovere un sistema di valutazione degli apprendimenti, nel diffondere una cultura della valutazione ed in tal modo nell’aiutare l’istituzione scolastica ad aumentare la propria capacità di auto-osservazione, ovvero la propria riflessività. Interrogarsi sugli apprendimenti, sull’output dell’azione educativa, significa interrogarsi anche sull’efficacia della didattica, aprendo lo spazio ad innovazioni della metodologia didattica.
[4] Una didattica da innovare? La riflessione sull’innovazione della didattica e sulla didattica efficace è avviata da tempo. Di recente stimoli ulteriori sono stati elaborati nell’ambito delle teorie ed esperienze di insegnamento agli adulti (apprendimento auto-diretto, apprendimento centrato sulla risoluzione dei problemi, integrazione tra esperienza ed apprendimento teorico, ecc.). Ugualmente importante è la riflessione sull’ausilio delle nuove tecnologie. Anche in questo caso si tratta di impostare programmi di lavoro in grado, grazie a nuove esperienze didattiche ed alla valutazione della loro efficacia, di determinare processi di accumulazione di conoscenze ed abilità circa l’efficacia didattica. Il Laboratorio per l’Innovazione Didattica e la Documentazione (LIDD) è stato istituito con questa finalità, cercando di mettere in rete le istituzioni scolastiche e dunque di facilitare lo scambio e la riflessione sulla didattica efficace ed, al tempo stesso, produrre “buone pratiche” da disseminare. Ad oggi questo obiettivo non è stato conseguito e ciò deve portare a ripensare finalità, organizzazione e risorse del LIDD, sapendo che quella di una didattica (più) efficace è una sfida vera per la scuola (specie secondaria). Occorre verificare l’idea di fondo che ha portato alla costituzione del LIDD nel 2004: l’idea che istituzioni scolastiche (specie superiori) e agenzie nel territorio che si occupano di educazione degli adulti potessero beneficiare dal lavorare assieme all’innovazione delle metodologie didattiche.
[5] Rendere conto. Agli utenti, alla comunità. Occorre affermare il principio, valido per tutte le istituzioni pubbliche, della rendicontazione. Non come atto formale o di marketing, ma come strumento di auto-osservazione (riflessività) e di governance. Misurare, raccogliere dati, descrivere il grado di raggiungimento di obiettivi, significa dotarsi di strumenti di auto-osservazione, per comprendere meglio ciò che si sta facendo. A tutti i livelli istituzionali ci si sta muovendo in questa direzione. Ciò dovrebbe avvenire anche a livello locale. La collaborazione tra Ufficio Scolastico Regionale e Regione Emilia-Romagna consente oggi di produrre un report sul sistema scolastico regionale, la sua attività, i suoi risultati. Perché le singole istituzioni scolastiche non dovrebbero dotarsi di uno strumento evoluto di rendicontazione? Un bilancio di missione (o bilancio sociale)? Oppure, se si ritiene troppo gravosa la rendicontazione a livello di singola istituzione, la si porti al livello territoriale, ad esempio con una rendicontazione dei risultati della scuola dei cinque comuni dell’Unione. Rendere conto vuol dire più trasparenza, ed anche relazioni più trasparenti tra scuola e stakeholder. Una scuola che acquista maggiore consapevolezza dei risultati della sua azione. Una comunità, un territorio che acquista più consapevolezza dell’importanza della propria scuola. Ma un rendere conto anche come strumento della governance del sistema. La scuola vive anche grazie ai servizi ed alle risorse che il territorio mette a disposizione (enti locali, comitati di genitori, imprese, ecc.). Oggi l’integrazione tra servizi e risorse scolastiche ed extrascolastiche è garantito da convenzioni o dispositivi pattizi (es. patto per la scuola). Occorre interrogarsi sull’efficacia di tali strumenti (forse troppo deboli?) di “integrazione”, di “raccordo”. Occorre interrogarsi se non sia opportuno e possibile rafforzare la governance del sistema, ovvero instaurare un “confronto” più serrato tra scuola e “territorio” tramite cui definire obiettivi, mobilitare risorse, verificare i risultati. Provocazione: l’idea di un “consiglio di amministrazione” in ogni scuola è così peregrina? O, forse meglio, di un organismo di coinvolgimento e consultazione degli stakeholder (non solo genitori e operatori interni). Rendere conto come strumento di auto-osservazione, ma anche come strumento per innalzare il livello di consapevolezza degli utenti (i genitori, le famiglie, i soggetti economici del territorio, le istituzioni). Proprio il dibattito sul decreto Gelmini ha evidenziato il rischio di concezioni ipersemplificate dei fattori che “fanno” la qualità della scuola. In troppi hanno ritenuto plausibile che il maestro unico fosse garanzia di maggiore qualità. E’ un episodio che ha reso evidente che la scuola oggi ha terribilmente bisogno di usare le proprie routines, le proprie relazioni con le famiglie, con il territorio, anche per comunicare sui requisiti necessari per la propria qualità! Dunque rendicontare anche per diffondere, all’esterno, una corretta cultura della qualità scolastica. Per ridurre la presa di visioni ipersemplicistiche! E allora non sarebbe il caso di tenere almeno un evento all’anno in cui la scuola non solo “si apre” alla nuova utenza, ma presenta i propri risultati alla comunità ed insieme alla comunità si interroga sul cosa fare per migliorare la propria performance? Oggi il “settembre pedagogico” ha un valore un po’ troppo rituale (il rito dell’augurarsi un buon inizio …), mentre c’è bisogno, forse anche solo in aggiunta, di un evento più “riflessivo”, centrato sulla rendicontazione e sulla ricerca di strade innovative per superare i problemi. Pensiamo all’effetto che potrebbe avere un programma di medio-lungo periodo, 5-10 anni di “eventi” significativi sulla cultura dell’educare e sulla formazione di insegnanti ed educatori (genitori, animatori, allenatori, ecc.).
[6] Accogliere ed integrare. Uno dei processi sociali che nell’ultimo decennio più ha attraversato e trasformato la scuola è quello dell’immigrazione straniera (da non sottovalutare, tuttavia, anche l’immigrazione dal Sud Italia). Sappiamo che le nostre scuole debbono essere in grado di offrire momenti intensivi di alfabetizzazione ed insegnamento italiano L2 ed allo stesso tempo garantire l’integrazione sociale inserendo anche gli alunni stranieri con scarsa conoscenza dell’italiano nel gruppo classe. Con l’istituzione del Centro servizi per cittadini stranieri, nel 1999, questo intervento è stato significativamente sviluppato, mettendo a disposizione della rete di scuole risorse e competenze (oggi la competenza è dell’Unione Terre di Castelli). Occorre interrogarsi sull’efficacia di queste azioni. Sono sufficienti le risorse messe a disposizione dagli enti locali ed integrate con quelle della Fondazione di Vignola? In ogni caso è opportuno sviluppare un unico progetto, evitando che ogni istituzione scolastica si inventi un proprio progetto. Punti critici sono anche le relazioni con le famiglie straniere, spesso con donne che non sono in grado di parlare correttamente l’italiano (ed usano i figli come “mediatori”). Fare integrazione significa anche pretendere (ed ottenere) modalità di adesione alla vita scolastica da parte dei genitori stranieri (partecipazione alle riunioni di classe e di istituto od ai momenti di festa comuni, corretta interazione scuola-famiglia e famiglia-scuola, capacità di seguire i figli a casa per i compiti scolastici, ecc.) che non sia dissimile da quella delle famiglie italiane. Occorre inoltre chiedersi se l’incanalamento massiccio verso specifici percorsi scolastici (all’IPI Primo Levi gli alunni stranieri sono circa il 44%, contro il 3% al Liceo A.Paradisi) non costituisca un problema su cui cercare di intervenire (vedi). Occorre, in sostanza, tendere ad una realtà in cui il più possibile i ragazzi stranieri abbiano le stesse chances di carriera scolastica e di carriera lavorativa dei loro coetanei italiani.
[7] Per la scuola secondaria di secondo grado: raccordarsi con il mondo del lavoro, con l’università. Proprio nei giorni scorsi l’Unione Terre di Castelli ha rinnovato la convenzione con gli Istituti di Istruzione Superiore del territorio con al centro tre temi: qualificazione dell’offerta formativa, innovazione della didattica (partecipazione al Laboratorio per l’Innovazione Didattica e la Documentazione – LIDD), raccordo scuola-lavoro ed orientamento. Su questi temi occorre allargare la rete includendo anche la Provincia che è titolare di queste competenze. Occorre, probabilmente, includere anche i “portatori di interessi” del mercato del lavoro e dell’economia. Il tema dell’orientamento scolastico e dell’integrazione verticale tra ordini scolastici, così come quello dell’orientamento verso l’offerta di formazione universitaria o verso il mondo del lavoro attende nuovi stimoli e nuovi modelli di intervento. Le competenze di questi interventi sulla scuola secondaria di secondo grado sono della Provincia. Ma occorre che gli enti locali giochino una loro parte (cosa che in effetti hanno fatto almeno dal 2002, anno dell’originaria convenzione tra Istituti di istruzione Superiore e Comune di Vignola, ora Unione Terre di Castelli). Non si tratta di pensare di governare questi aspetti o di innovare la progettazione a livello locale, ma piuttosto di partecipare ad un network di innovazione che necessariamente fa perno sull’ente provinciale.
[8] Servizi per l’infanzia (0-3 anni). Uno dei punti di forza dell’amministrazione comunale di Vignola è indubbiamente costituito dai servizi per l’infanzia. Sul fronte delle scuole dell’infanzia (4-6 anni) si è da tempo raggiunto il livello di “generalizzazione”: più del 96% dei bambini della corrispondente fascia di età vi accede. La statalizzazione dell’ultima scuola dell’infanzia comunale (N.Bruni) rispondeva anche all’esigenza di liberare risorse per un’amministrazione che voleva accrescere la propria offerta nel segmento di competenza esclusiva, quello 0-3 anni. Alla crescita della natalità (dai 103 nati del 1987, punto più basso, ai 258 del 2006, punto ad oggi più alto, ma che sarà superato dal 2008: circa 270 nati attesi) ha corrisposto un incremento dell’offerta: nel 2004 è stato inaugurato il terzo asilo nido di Vignola (Capuccetto Rosso, nel quartiere “Le coorti”). Un altro asilo nido (in località Il Poggio) è attualmente in costruzione ed è destinato a sostituire il nido “Le coccinelle” (via G.Galilei), strutturalmente inadeguato. Negli ultimi dieci anni sostanzialmente tutte le domande di accesso al nido sono state soddisfatte (con l’eccezione dell’a.s. 2003/2004). La rete dei servizi per l’infanzia si compone, oltre al nido, anche di centro giochi. La centralità del nido non è in discussione. I progetti regionali volti ad affiancare forme “a domicilio”, come le educatrici familiari, non hanno avuto successo. Si è invece articolata la gamma dell’offerta-nidi dal punto di vista istituzionale anche a Vignola: oltre ai tre nidi comunali (ma il nuovo nido in costruzione avrà una gestione esterna, affidata ad una coop sociale), partecipa alla rete anche il nido parrocchiale di Brodano (21 posti). Ma vi sono famiglie vignolesi che fruiscono anche del nido aziendale della CMS di Marano. Ad oggi oltre un terzo dei bambini della fascia d’età 0-3 anni frequentano l’asilo nido. L’ulteriore espansione dell’offerta si scontra però con vincoli di bilancio (più dei 2/3 del costo del servizio gravano sul bilancio comunale), in assenza di finanziamenti nazionali o regionali per la loro gestione.
L’esperienza del nido è rilevante anche dal punto di vista delle politiche familiari. Non solo perché la dotazione di servizi per l’infanzia contribuisce alla permanenza delle donne nel mercato del lavoro – uno degli elementi che consentono una più alta ricchezza delle famiglie modenesi.
Ma anche perché l’esperienza del nido consente di stabilire forti reti di relazioni in una fase dove queste sono un ingrediente fondamentale del benessere della famiglia. Da questo punto di vista occorre perseguire una più stretta integrazione tra asilo nido (e, in generale, servizi per l’infanzia) e Centro per le famiglie (attivo dal 2004, ma necessitante di indirizzi politico-programmatici più forti).
[9] Educazione degli adulti, educazione permanente. Un’educazione che prosegue per tutta la vita. Un’educazione che offre di nuovo opportunità a chi ha lasciato precocemente il sistema scolastico ed a chi vuole fare nuovi percorsi di apprendimento, magari legati a nuovi percorsi professionali. Questo dovrebbe essere lo standard di una moderna società della conoscenza. E per la realizzazione di questo standard servono dispositivi istituzionali, risorse, competenze pedagogiche specifiche (educazione adulti). Purtroppo l’Italia non ha sviluppato un sistema moderno di educazione permanente o di educazione degli adulti. Dalla seconda metà degli anni ’90 esistono i Centri Permanenti Territoriali (CPT) di educazione degli adulti. Vignola è stato il quarto comune della provincia a dotarsi di un CPT, nel 2002, ed ha sin da subito adottato un modello peculiare, a rete, con sedi di insegnamento in tre comuni (Vignola, Castelnuovo, Spilamberto). Ogni anno qualche centinaio di adulti, in larga parte stranieri, frequentano i corsi del CPT: alfabetizzazione, licenza media, lingua inglese, informatica. Sin da subito, inoltre, si è cercato di “fare sistema” realizzando un accordo tra CPT, Università della Libera età N.Gizburg ed ente locale per gestire in modo integrato l’offerta di corsi di formazione per adulti. Questo modello di integrazione, oltre al ruolo propulsivo dell’Università della Libera età N.Ginzburg (1.090 partecipanti ad 85 corsi realizzati sul territorio distrettuale), pone l’Unione Terre di Castelli all’avanguardia nel settore dell’educazione degli adulti. Ciò nonostante la realtà dell’educazione degli adulti sul territorio è decisamente insufficiente rispetto al bisogno – se non altro per l’assenza di significativi investimenti nazionali o regionali (cfr. però le enunciazioni di principio della L.R. n.12/2003, art.40, comma 1). E’ possibile fare di più con le sole risorse degli enti locali? Come rafforzare la rete ed aumentare le sinergie? Siamo ancora in attesa dell’istituzione di un organismo di “governo” dell’educazione degli adulti: il Comitato locale, dove siedono le rappresentanze delle istituzioni pubbliche, delle istituzioni scolastiche e dei “portatori d’interessi” del mondo del lavoro e dell’economia.
Ho scoperto oggi che l’Asilo nido il Poggio non sostituirà sicuramente “le coccinelle” perchè sarà un asilo full time, a differenza del nido vecchio… e il nuovo non sarà comunale ma CONVENZIONATO.
Avete novità?
Ciao Francesca, il nuovo asilo nido, costruito in località Il Poggio, è realizzato in project financing secondo una formula che mette assieme costruzione, prima, e gestione, poi. Nel pool di aziende che hanno vinto la gara c’é infatti anche la Coop sociale Dolce di Bologna che, a partire dall’anno scolastico 2009/2010, si occuperà della gestione del nuovo asilo nido. Questo sostituirà il nido “Le Coccinelle” che per motivi strutturali risultava sempre più inadeguato (è per questo che oggi ospita solo sezioni part-time). Il suo personale verrà redistribuito, plausibilmente, nei restanti servizi per l’infanzia. Se vuoi avere informazioni più precise contatta l’assessore alla scuola Maurizia Rabitti.