Quella di Edison Duraj, ragazzo albanese che sta per compiere 18 anni, è una di quelle storie in cui vai a sbattere (quasi) per caso. Quasi … visto che ha comunque avuto come palcoscenico il sito web del Corriere della Sera (vedi). Edison è arrivato in Italia all’età di 9 anni, attraversando l’Adriatico su un gommone, senza la sua famiglia. Il padre immigrato clandestino in Italia, la madre ancora in Albania con l’altro figlio. Oggi ha diritto a tutele particolari, pur essendo irregolare, in quanto minorenne. Ma il 19 novembre 2008, al compimento del diciottesimo anno di età, questo “stato di grazia” giungerà a termine. Per la legge oggi in vigore (Legge 30 luglio 2002, n.189, la cosiddetta Bossi-Fini) dovrà ritornare al suo paese, oppure diventare clandestino. A meno che non riesca ad ottenere un lavoro a tempo indeterminato (al diavolo gli studi!) e una fissa dimora. Solo che in questi 9 anni in Italia Edison si è conquistato sul campo “l’integrazione”: ha vissuto in diversi istituti, interpretato uno spettacolo teatrale, realizzato un film documentario e quasi terminato la scuola superiore (frequenta un istituto alberghiero). L’associazione Oistros, che organizza laboratori teatrali per progetti d’integrazione, ha lanciato una petizione per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa complicata situazione (vedi; nel sito si trovano anche alcuni video con brani teatralizzati della storia di Edison). Se per salvare l’Alitalia “italiana” vengono sospese le norme antitrust, lo stato si accolla la bad company ed i relativi debiti, davanti al caso di Edison e degli altri ragazzi come lui, si potrà trovare una soluzione? Ce la può fare lo Stato italiano a riconoscere un’integrazione avvenuta sul campo e certificata da nove anni di “buona condotta” in Italia? Sarebbe bello scoprire di sì. Poter dare la cittadinanza, magari non “honoris causa”, ma per meriti guadagnati sul campo, nella vita vera, a chi, con l’eroismo della quotidianità, dimostra di essere un “cittadino” italiano.
Ultima annotazione. Anche sull’immigrazione abbiamo bisogno di nuove modalità comunicative. Un film, un’opera teatrale, un videoclip possono fare tanto per far capire il “volto normale” dell’immigrazione. Quello della stragrande maggioranza di immigrati che fugge dal proprio paese ed approda anche da noi alla ricerca di un futuro migliore, vuole rispettare le regole, è disposto a lavorare sodo, cerca di evitare guai con la giustizia. L’Unione Terre di Castelli ha prodotto, nel 2003, un bel video (con la regia di Daria Menozzi), che però non è stato adeguatamente valorizzato, non è stato adeguatamente diffuso (ne è stato distribuito solo un migliaio di copie, ma le famiglie dell’Unione sono 27.000). Titolo: Racconto straniero. Vogliamo fare uno sforzo? Vogliamo trovare il modo per farlo circolare (si era pensata una distribuzione gratuita presso le edicole, in occasione di una giornata dedicata all’integrazione: diritti e doveri dei nuovi cittadini)? Vogliamo almeno diffonderlo in videostreaming? Si può fare?
vai cosi…………
continua cosi……..