Il 15 marzo 2006 l’Unione Terre di Castelli ha adottato (delibera n.20/2006) il Piano delle strategie. Metodologia per lo sviluppo sostenibile in area vasta, redatto da Massimo Casolari di Studio Agoraa (RE). Esso traccia le linee guida di un modello di sviluppo sostenibile locale per il nostro territorio per i prossimi 15-20 anni (vedi il documento in formato pdf, 2,8MB) ed è un documento preliminare al Piano Strutturale interComunale (PSC) oggi in corso di elaborazione. E’ dunque importante conoscerlo e valutarlo anche criticamente, recuperando un’azione di diffusione e discussione (come si deve) a livello locale. Il testo che segue vuole essere una presentazione sintetica del Piano, con un primissimo accenno di “analisi critica”.
Il concetto di sviluppo locale che il Piano assume ha forti affinità con la visione tracciata da Carlo Trigilia, uno dei massimi esperti di sociologia economica in Italia (vedi). La filosofia di fondo è infatti quella di una valorizzazione delle “risorse locali” per promuovere uno “sviluppo locale” che, rafforzando i tratti di identità del territorio, coglie le opportunità dischiuse dalla crescente globalizzazione, resistendo però ai processi di omogeneizzazione culturale. In altri termini, l’obiettivo è potenziare i tratti distintivi di questo territorio – innanzitutto di tipo ambientale e culturale – e metterli a frutto per lo sviluppo economico: “l’identità locale quale miglior prodotto per la visibilità nelle logiche della globalizzazione” (p.IV). L’intento, dunque, non è solo quello di rafforzare i vincoli e le tutele del patrimonio ambientale e culturale di quest’area, ma di collocare tali scelte di tutela all’interno di “logiche produttive” (p.II), dunque in un percorso . L’asse portante di questo modello di sviluppo locale sta nella “valorizzazione dei beni culturali e naturali … per creare un sistema integrato di qualità attraverso il quale competere con altri territori per essere visibili all’interno degli scenari nazionali ed internazionali nell’offerta di turismo.” (p.IV) Detto in modo ancora più esplicito: “l’area può organizzarsi per attrarre e trattenere un turismo diretto verso mete più famose e conosciute” (p.IV) Ed ancora: “si tratta di verificare se le tematiche ambientali e culturali possono sostenere il ruolo di “motore” del modello di sviluppo locale” (p.VI). Ad essere sinceri occorre innanzitutto ricordare che l’obiettivo della valorizzazione turistica ed economica del territorio e del suo patrimonio ambientale e culturale era già individuato come centrale per lo sviluppo di quest’area nel documento di Eco&Eco, La popolazione e le attività produttive dell’area. Storia, caratteri e scelte, febbraio 1994 – un documento preliminare al PRG in forma associata dei Comuni di Vignola, Savignano, Marano. Il Piano delle Strategie, questo va riconosciuto, affronta il compito di delineare un percorso di sviluppo con strumenti concettuali e metodologie più rigorose (che certamente beneficiano anche della riflessione teorica e delle esperienze maturate negli oltre dieci anni che lo separano dal documento di piano del 1994). In ogni caso al territorio dei 5 comuni (Castelnuovo, Castelvetro, Savignano, Spilamberto e Vignola) è riconosciuta una grande potenzialità, tanto da parlare in più occasioni di un “pezzo di Toscana” (“la regione più famosa al mondo”) in Emilia. Ma si tratta di un “pezzo di Toscana” da valorizzare od anche da ripristinare, recuperando quegli effetti dello sviluppo “quantitativo” dei decenni del secondo dopoguerra. Ed in effetti la diagnosi formulata da Casolari non nasconde le criticità prodotte da un modello di sviluppo e di “uso” del territorio ancora oggi predominante. Quattro sono gli elementi critici oggi riscontrabili:
[1] una spinta edificatoria che, oltre ad aver consumato territorio, ha portato a fenomeni di conurbazione, ovvero di “fusione” di diverse realtà urbane e di commistione tra edilizia residenziale, attività produttive, ecc.;
[2] una rete inadeguata di infrastrutture per la mobilità, però con prospettiva di miglioramento con l’imminente realizzazione della Pedemontana (ed altre opere viarie “collaterali”);
[3] una bassa qualità dell’architettura di numerosi edifici, così come una “commistione di funzioni incompatibili” e la presenza di “episodi architettonici che innescano la percezione di degrado e di marginalità del territorio.” (p.IX)
[4] la mancanza di una “reputazione d’area” che può certo essere costruita, ma che richiede un impegno costante sul medio periodo. Il territorio dell’Unione Terre di Castelli non è organizzato “per offrire un vero «sistema dei castelli», in quanto non esiste una rete delle funzioni in grado di assicurare l’utilizzo dei monumenti” (p.IX).
Tuttavia, ancora oggi questo territorio esibisce risorse preziose che potrebbero consentire di innescare o rafforzare processi di sviluppo locale basati sul patrimonio ambientale e culturale. Il Piano ricorda, infatti, sia il paesaggio agrario di pregio che si riscontra in alcune aree, specie collinari (le coltivazioni a vigneto e frutteto costituiscono “un vero paesaggio culturale, che può essere paragonato ai terrazzamenti della Costiera Amalfitana, delle Cinque Terre e del Lago di Garda.” (p.VI)). Sia la presenza di numerosi “beni culturali”: la “forte presenza di castelli, rocche e fortificazioni”, ma anche “architetture religiose, palazzi nobiliari e grossi insediamenti produttivi storici”, senza trascurare, inoltre, “insediamenti e architetture minori: costruzioni strettamente collegate alle attività agricole che formano un tutt’uno con il paesaggio rurale.” (p.VII) Case padronali, poderi e cascine, insediamenti agricoli tipici della tradizione sono certo presenti e danno valore al paesaggio. Questo patrimonio ambientale e culturale, ereditato dalle epoche passate e perno dell’identità del territorio, può essere messo a frutto per un nuovo sviluppo economico, centrato sul turismo sia locale che internazionale. Il Piano identifica pertanto, per il nostro territorio, un obiettivo strategico, una “mission”: l’organizzazione del Parco europeo dell’ospitalità. Questo termine, decisamente enfatico, richiama un insieme coerente di azioni (di tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale, nonché di marketing ambientale, culturale e di prodotto) per elevare la qualità del territorio e la sua dotazione di servizi. Ogni azione ed ogni intervento delle amministrazioni (e, possibilmente, dei privati) dovrà essere misurato in termini di coerenza con questa missione ed in termini di apporto alla sua realizzazione (di valore “aggiunto”). Ma oltre alla mission, individua anche degli “assi strategici” – veri perni su cui innestare il nuovo modello di sviluppo:
[1] uso di “barriere verdi” (es. un bosco che costeggia il tracciato della pedemontana) per proteggere questo territorio dalle pressioni al degrado (p.XIV). Il fiume Panaro pensato come “«autostrada» di funzioni nel verde” (p.XXIII);
[2] un modello “funzionale” di governance che individua una divisione del lavoro e delle funzioni di governo a ciascuno dei 5 comuni in base alle proprie specificità tipiche;
[3] la creazione di un marchio per la promozione europea dei prodotti agroalimentari di zona come elemento centrale del marketing di prodotto e del rafforzamento dell’identità locale;
[4] la realizzazione di “un polo logistico per la mobilità pesante collocato in prossimità del casello autostradale di Modena Sud” (p.XV), un centro che dovrebbe offrire servizi sia ad autostrasportatori che turisti (sic!);
[5] promozione di progetti di “integrazione tra grandi polarità produttive e territorio” (p.XVI), con particolare riferimento al polo di lavorazione delle carni di Castelvetro e Castelnuovo, prospettando la delocalizzazione di funzioni (foresterie, centro congressi, show-room, ecc.) nei beni monumentali e nei borghi da rivitalizzare;
[6] la realizzazione di un “asse dell’innovazione” nell’area ex-Sipe: “un progetto europeo attorno al quale «fare sistema»” (p.XVI).
Oltre a questi “assi strategici” di area vasta, sono identificate altri interventi strategici:
[7] la suddivisione del territorio – seguendo il tracciato della pedemontana – in due zonee omogenee con tratti distintivi: quella a nord, meglio dotata di infrastrutture per la mobilità, in cui collocare “il maggior numero di polarità e servizi attrativi, rivolti a grandi numeri di utenti (residenti e turisti)”, un’area vocata per “grandi eventi, manifestazioni, concerti” (p.XIX); quella a sud, caratterizzata da “un sistema di flussi di relazione più lenti e poco numerosi” (p.XVII) in cui spingere di più con la tutela e la valorizzazione ambientale e culturale, dunque con “funzioni di paesaggio di qualità: mountain-bike, trekking, turismo equestre, auto elettriche, sentieristica, ecc.” (p.XVII)
[8] la collocazione, al centro dell’area, di uno “show room del territorio, centro informativo e di sistema dell’offerta complessiva d’area: da esso si possono programmare le visite ed i percorsi tematici.” (p.XIX)
[9] l’avvio di un processo di riqualificazione dei centri urbani, specie dei “centri storici”, centrato su valorizzazione delle fortificazioni (oggi spesso occultate dal verde), recupero delle piazze ad usi sociali (e loro liberazione dalle auto), recupero delle tecniche tradizionali di trattamento e finitura degli edifici, riordino dell’arredo urbano, riorganizzazione e recupero delle aree marginali od in degrado (da riqualificare in sostituzione dell’urbanizzazione di nuove aree).
Nonostante il Piano delle strategie risalga all’inizio del 2006, esso attende ancora una necessaria “lettura critica” (per questo esprimo rammarico: sarebbe stato opportuno diffondere sul territorio seminari, eventi, gruppi di lavoro per leggerlo, farlo conoscere, verificarlo, approfondirlo). Al momento mi limito ad abbozzare quelli che, a mio modo di vedere, sono i principali elementi di criticità del piano (pur condividendo assolutamente la filosofia di fondo: la valorizzazione ai fini dello sviluppo locale – nel senso di Trigilia – del patrimonio ambientale e culturale del territorio). Innanzitutto risulta evidente che la complessità del territorio e, soprattutto, dell’economia di questo territorio è ricondotta, con qualche forzatura, all’interno di un unico disegno: quello, appunto, della “messa a produzione” di ambiente e cultura sotto il titolo di Parco europeo dell’ospitalità. Ne consegue che il piano pone un’enfasi molto forte sugli aspetti paesaggistici e sulle attività economiche finalizzabili al “parco”, lasciando nell’ombra altre attività economiche presenti o (auspicabilmente) insediabili (pensiamo alle attività economiche basate sulle tecnologie dell’informazione, del virtuale od anche della cultura, che intrattengono un legame debole con il territorio). In questa prospettiva il progetto di recupero dell’area ex-Sipe (che pure è previsto a p.XVI) mantiene un ruolo marginale, non del tutto integrato nello scenario tratteggiato attorno all’idea della mission territoriale (alcune parti danno l’idea di un inserimento forzato, “a richiesta”). Oltre a ciò manca di approfondire l’aspetto dell’effettiva “fattibilità” di un progetto di valorizzazione territoriale a fini turistici (anche internazionale) sapendo che vi sono territori, non molto distanti da qui (pensiamo alla fascia pedemontana di Parma o di Forlì-Cesena) ambientalmente più integri e che questa direttrice di sviluppo l’hanno imboccata con particolare impegno da oltre un decennio (pensiamo all’area di Brisighella a sud di Faenza). Senza un posizionamento di questo territorio, dei suoi asset, rispetto ai benchmark presenti, si rischia di identificare progetti tanto ambiziosi quanto non realizzabili (sono certo che molte cose potranno essere fatte, ma poiché il tempo è una variabile decisiva, potrebbero non essere sufficienti per recuperare i gap esistenti). Sempre legato a ciò, manca una valutazione, anche solo di massima, della mole degli investimenti da mobilitare, magari per le singole fasi di un piano che si prefigura come almeno “ventennale” (consideriamo anche le condizioni in cui versa questo paese, l’Italia!). Manca un approfondimento sull’effettiva fattibilità di una riqualificazione dell’ambiente agrario che non può che passare dall’integrazione della produzione agricola con attività economiche aggiuntive di tipo turistico: agriturismi, b&b, laboratori locali legati alle produzioni artigianali, attività legate alle culture locali, ecc. Risulta abbastanza contenuta (e dunque un po’ generica) la parte che cerca di legare le “polarità produttive” al territorio, nel senso non più (solo) del consumo di territorio, ma di una sua riqualificazione e valorizzazione.
No.
Il piano delle strategie non è affatto un documento preliminare al PSC (ci sarà infatti un vero Documento Preliminare) ma una cosa in più, che a mio parere non porta valutazioni particolarmente significative. Dimentichiamolo / dimenticatelo.
E’ inutile fare una lettura critica di un documento lacunoso e che ha mio avviso è stato un errore commissionare, specialmente a chi ha elaborato documenti analoghi e altrettanto pieni di buone intenzioni, aria fritta ed elucubrazioni ben confezionate in vari altri comuni italiani.
Passiamo cortesemente alle cose serie, quindi all’analisi del PSC in corso e alla partecipazione della cittadinanza al processo di pianificazione.
Ciao Marcello, il tuo giudizio mi sembra troppo sbrigativo. Il Piano delle strategie non figura tra i documenti necessari del PSC (diversamente dal quadro conoscitivo, valutazione di sostenibilità ambientale, ecc.), ma dai 5 comuni è stato inteso come documento orientativo ai fini della definizione del PSC. E’ lacunoso? Probabilmente. Anche perché è focalizzato essenzialmente sull’aspetto “paesaggistico” e sulla tutela del territorio, con qualche indicazione sull’allocazione di nuove funzioni. Manca, a mio modo di vedere, una valutazione approfondita dell’economia del territorio e delle possibili linee “strategiche” di sviluppo. In ogni caso mi sembra un documento interessante, specie se sarà davvero assunto come orientativo del PSC. Il problema vero, a mio modo di vedere, sta nello scarto tra documenti di piano, anche ben fatti, e implementazione. Ovvero quello che avviene nella realtà. Ma di questo ne parliamo al più presto. Andrea Paltrinieri